L’Ucraina
nella visione alternativa di John J. Mearsheimer
In un articolo apparso su
Foreign Affairs, John J. Mearsheimer[1], docente di Scienze della
politica all’Università di Chicago, aveva messo in guardia gli strateghi di
Washington sulle conseguenze di un probabile ingresso nella NATO dell’Ucraina,
il cui governo ha già aperto l’iter per l’adesione, programmando l’abrogazione
della legge che sancisce la neutralità dai blocchi militari del paese.[2] A detta di Mearsheimer USA
e UE dovrebbero rifiutare la richiesta di ingresso nella NATO e nell’UE, due
dei passaggi del “triplice pacchetto” di politiche in vista dell’adesione al
blocco occidentale, al fine di preservare la neutralità del paese e farne una
“nuova Austria”, ispirandosi al ruolo che questa ebbe durante la guerra fredda,
in modo da dare vita a una sorta di stato cuscinetto trai due blocchi, da
preservarsi sovrano, che non ricada in nessuno dei due campi, né occidentale,
né eurasiatico. Da fedele al modello “statalista”, altrimenti detto “realista”,
egli è fiducioso nella supremazia degli stati e crede che la sovranità sia la
chiave dell’equilibrio nel mondo globalizzato post-guerra fredda.
Secondo la visione di
Mearsheimer, USA e UE dovrebbero operare, quindi, una clamorosa marcia indietro
e, dopo aver deliberatamente provocato la crisi di governo in Ucraina, come
ammette lo stesso analista, volta a installare un esecutivo filo-occidentale a
Kiev, dismettere il piano di allargamento dell’Alleanza Atlantica e ridefinire
inopinatamente lo status del paese in
senso neutralistico. Ciò tuttavia richiederebbe una apertura di dialogo verso
la Russia, anche perché non si capisce come azioni unilaterali da parte
occidentale possano servire a ridisegnare il ruolo stesso di Kiev nel senso
auspicato dall’autore.
La strategia della Casa
Bianca va, purtroppo, nella direzione opposta, come dimostra l’inasprimento
delle sanzioni alla Russia, che hanno contribuito ad aggravare la crisi
diplomatica tuttora in atto e ben lungi dal risolversi in maniera indolore per
tutti gli attori in campo.
La Russia viene definita
dall’autore una “grande potenza declinante”, con una demografia stagnante e una
economia con poco dinamismo, fattori che rendono il containment ai danni di Mosca irrilevante. Anche a livello
militare, le “mediocri forze armate” della Federazione (e che assomiglierebbero
molto vagamente ad una “moderna Wehrmacht”, alludendo alle analogie che vi
sarebbero tra intervento russo in Ucraina e invasione nazista della Polonia nel
1939) avrebbero certo fallito nell’obiettivo di un’occupazione militare
permanente del territorio dell’est ucraino, benché meno dell’intero paese.
Se la Russia è debole,
non lo è però il suo leader: Mearsheimer ammette la caratura da “stratega di
prima classe” di Putin e ben lungi dal dare credito alle parole presunte di
Merkel in una conversazione telefonica con Obama, riportate dal New York Times, nella quale la
Cancelliera avrebbe parlato dell’” irragionevolezza” del presidente russo,[3] affermazione smentita però
dal Die Welt,[4] sostiene che non vi siano
ragioni per ritenere insano di mente Putin. L’autore asserisce che, benché la
Russia non sia stata all’altezza di procedere all’annessione dell’est ucraino
con altrettanta rapidità con cui ha proceduto ad inglobare la Crimea, il che
appare un chiaro fallimento strategico di Mosca, agli occhi di Mearsheimer tuttavia
la risposta prudente degli strateghi del Cremlino al piano ostile
dell’Occidente ha dimostrato le indubbie capacità politiche e diplomatiche del leader
russo.
Una via d’uscita
all’attuale stallo secondo Mearsheimer , dovrebbe contemplare un ritiro delle
sanzioni da parte dell’Occidente, che non serviranno a far arretrare la Russia
rispetto ai propri interessi strategici e che appaiono utili unicamente a
indispettire gli alleati europei, una dismissione del piano di
occidentalizzazione dell’Ucraina, con buona pace dei 5 miliardi di dollari
spesi dagli Usa dal 1991 per aiutare il paese a raggiungere “il futuro che essa
desidera”, nelle parole della responsabile statunitense per gli affari europei
ed eurasiatici Victoria Nuland: in altre parole un ritorno allo “status quo
ante”, ovvero alla condizione di sovranità precedente al colpo di stato del 22
febbraio scorso.
Tale autocritica è spia
di una valutazione della possibilità di errori strategici nella questione
ucraina e nel perseguimento di una volontà di netta rottura con la Russia. Non
è chiaro infatti quanto utile possa essere perseguire un disegno di
allargamento delle frontiere della NATO, in linea con la strategia di
espansione avviata dall’amministrazione Clinton negli anni ’90, se ciò si dovesse
ottenere a spese di un ritorno a un clima da “guerra fredda” e gli Stati Uniti dovessero
esporsi, così come pare avvenire, al pericolo dell’abbraccio tra Mosca e
Pechino, foriero di un partenariato strategico globale insieme a tutti i BRICS,
capace di spezzare l’egemonia americana.
Non tutti a Washington
sono convinti dell’efficacia della strategia di rottura netta con Mosca, con
tutta evidenza; ciò appare tanto più curioso, quanto più una tale riflessione
critica, contenuta nell’articolo del Foreign
Affairs, proviene da uno dei teorizzatori del contenimento della Cina. Si
chiede infatti Mearsheimer, come reagirebbero gli USA se la Repubblica Popolare,
a capo di una considerevole alleanza militare, tentasse di includere il Canada
o il Messico nella propria sfera di interessi? I leader russi post-sovietici,
rincara la dose l’autore, avevano avvertito in più occasioni che non avrebbero
tollerato un’espansione della NATO in Georgia e in Ucraina, un messaggio che la
guerra del 2008 tra Russia e Georgia aveva reso ancora più chiaro. Come dunque
stupirsi della reazione di Mosca al colpo di stato operato a Kiev a febbraio
scorso?
L’invito ad un
“appeasement” rivolto alla Russia lanciato da Mearsheimer si spiega, più che
con una improbabile russofilia dell’autore, con la convinzione che in realtà la
sfida principale agli USA provenga dalla Cina e non dalla Russia. Lo studioso, partendo dall’assunto della
inconciliabilità tra espansione economica e contestuale ascesa geopolitica indolore
della Cina, sostiene la tesi della impossibilità di una pacifica espansione
cinese.[5] In un’intervista del 2012 Mearsheimer,
a proposito della questione iraniana, si era pronunciato anche sull’utilità per
gli USA di concedere la dotazione dell’atomica all’Iran come deterrente per il
rischio di instabilità nella regione, sostenendo la tesi dell’arma atomica come
“strumento di pace”.[6]
Quella dell’avallo allo
sviluppo di arsenali atomici come strumento per istituire pesi e contrappesi
tra superpotenze regionali e conseguire la stabilità geopolitica, è una vecchia
tesi di Mearsheimer. A proposito dell’Ucraina, questi aveva già previsto nel
1993 in un articolo su Foreign Affairs
che l’accesa rivalità tra Mosca e Kiev sarebbe esplosa a causa dell’insicurezza
lungo le loro frontiere e aveva sostenuto che l’Ucraina, per prevenire tale
prospettiva, avrebbe dovuto mantenere le riserve di armi atomiche dell’epoca
sovietica. [7]
Ciò nondimeno nel 1994 l’Ucraina avrebbe acconsentito a liberarsi dell’intero
ex arsenale nucleare sovietico, un processo portato a termine entro il 1996,
avviandosi a divenire un “trofeo conteso” tra i due blocchi di interesse,
americano e russo. [8]
Se il rapporto russo-ucraino
sta all’Europa orientale come quello franco-tedesco sta all’Europa occidentale,
come aveva sostenuto John Morrison, [9]allora, secondo lo studioso
di Chicago, è vitale recuperare il rapporto russo-americano ripristinando o
favorendo lo sviluppo di un’Ucraina sovrana necessaria al mantenimento degli
equilibri della regione. L’obiettivo dovrebbe essere quello, all’interno di una
dinamica più ampia, di avvicinare i grandi attori regionali come la Russia e
l’Iran nella prospettiva di un contenimento cinese, evitando il raccordo tra
Mosca e Pechino, il vero ostacolo al controllo statunitense dell’Eurasia. Le
tesi sostenute da Mearsheimer non sembrano avere tuttavia grande peso al
momento a Washington.
[1] Mearsheimer, John J. "Why the
Ukraine Crisis Is the West’s Fault." Foreign Affairs. 22 Aug. 2015.
Web. 22 Aug. 2015. <https://www.foreignaffairs.com/articles/russia-fsu/2014-08-18/why-ukraine-crisis-west-s-fault>.
[2] Putin: “Rinforzeremo il potenziale nucleare”. Ucraina, l’altolà della Nato:
“Mosca si fermi”, La Stampa, 29 agosto 2014, accessibile all’indirizzo
[3] Peter Baker, Pressure Rising as Obama Works to Rein In Russia, The New York
Times, 2 marzo 2014, accessibile all’indirizzo http://www.nytimes.com/2014/03/03/world/europe/pressure-rising-as-obama-works-to-rein-in-russia.html
[4] Robin AlexanderMerkels Drahtseilakt
zwischen Putin und Obama,
Die Welt, 3 marzo 2014, accessibile all’indirizzo
[5] John J. Mearsheimer, "China's Unpeaceful Rise", in Current History, n.
105 (690), aprile
2006, pp. 160–162
[6] Intervista alla TV pubblica
statunitense, vd. http://www.pbs.org/newshour/bb/world-july-dec12-iran2_07-09/
[7] John J. Mearsheimer, "The case for a Ukrainian nuclear deterrent", in Foreign Affairs, n. 72, estate 1993, pp. 50-66.
[8] Contrariamente alla visione
di Mearsheimer, Huntington sostenne l’improbabilità di uno
scontro trai due paesi in virtù della loro sostanziale “comunanza di civiltà”
(pur ammettendo, ma nondimeno sottovalutando, la spaccatura tra Ucraina
orientale ortodossa e russofona e Ucraina occidentale uniate) e auspicò per tal
ragione lo smantellamento dell’arsenale nucleare ucraino come segno di
cooperazione trai due paesi. Cfr. S.
Huntington, Lo scontro delle civiltà
e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, pp. 38-39.
[9] Cit. in S. Huntington, op. cit., p. 242.
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