Lo
Zollverein come strumento economico
di unificazione della Germania
Lo Zollverein (lett. dal tedesco "unione doganale") fu la più importante unione doganale del
XIX secolo. Questa unione doganale ha funzionato per tre decenni, a partire dal
1834, venendo implementata nel territorio della variegata compagine statale
tedesca, erede storica del Sacro Romano Impero, abolito pochi anni prima per
volontà di Napoleone . L'iniziativa politico-economica della Prussia, principale artefice di tale iniziativa, costrinse la maggior
parte degli stati della Confederazione tedesca a gravitare progressivamente
attorno al regno prussiano e in prospettiva a garantire il conseguimento
dell'unificazione nazionale tedesca.
Il presente lavoro indaga il ruolo ricoperto da questo
strumento economico, che venne sfruttato dalla Prussia per raggiungere
l'unificazione politica della Germania sotto la sua egemonia. Inizialmente
formato con l'intento di rafforzare le relazioni tra gli stati della Germania
centrale e settentrionale contro un possibile attacco da parte dei francesi e
realizzato da statisti che provenivano dall'esperienza dell'occupazione
francese, sarebbe diventato, sin dalla sua entrata in vigore, la base
dell'egemonia prussiana contro la dominazione austriaca nella Confederazione tedesca.
Tuttavia, solo l'inibizione del primato francese in
Europa avrebbe finalmente permesso al genio del cancelliere Bismarck di
affermare l'unità germanica, a spese di una minaccia francese sempre presente e
incombente dal Reno.
Il metodo utilizzato nello studio è stato impostato su
una duplice matrice, sia politica che economica, dando un peso significativo
all'incidenza della dinamica delle relazioni internazionali tra gli stati
dell'epoca. Questo lavoro cerca essenzialmente di analizzare le conseguenze
economiche durature dell'unione doganale tedesca e sottolinea il fattore
commerciale dietro l'appartenenza della maggior parte degli Stati che hanno
preso parte allo Zollverein.
Introduzione
Il dibattito
storiografico degli ultimi secoli sul ruolo dello Zollverein, ovvero dell’Unione doganale tedesca portata a termine su
impulso dello stato prussiano, è stato orientato a due filoni interpretativi.
Un primo, espresso sul finire dell’Ottocento da Heinrich von Trieitschke, ha
visto nell’unione doganale il primo passo verso l’unificazione tedesca (tesi
sostanzialmente sostenuta anche da John Murphy ai giorni nostri), mentre un
secondo, in contrasto con questa ipotesi, risalente alle interpretazioni di
Alan John Percival Taylor e Martin Kitchen, ha rinvenuto nelle mosse della
Prussia delle motivazioni inizialmente economiche e solo in un secondo tempo
politiche, esaltando i risvolti economici. [1] Oggi il dibattito storico-economico
sembra enfatizzare piuttosto «i vantaggi fiscali derivanti dalle economie di
scala all’interno dell’amministrazione doganale».[2]
La creazione dello Zollverein trova i suoi antecedenti nelle
riforme avviate nel 1818 quando la Prussia stabilì un nuovo regime tariffario,
armonizzando la struttura doganale interna ai propri territori, che includevano
enclave e altri piccoli stati, e stabilendo che l’unica frontiera doganale
sarebbe stata quella dello stato (cancellazione dei numerosi dazi cittadini e
pedaggi stradali e fluviali).[3] Le riforme di
liberalizzazione, proseguite per un decennio a causa delle trattative tra gli
stati interessati, garantirono benefici finanziari, favorendo una più libera
circolazione delle merci e consentendo di raggiungere l’unione doganale del
paese. Portate a termine dal ministro delle finanze prussiano Friedrich Von
Motz (1825-1830), furono alla base della successiva creazione dello Zollverein, che vide la luce grazie
proprio all’instancabile attività diplomatica dello stesso Motz. Tra gli
ispiratori dell’Unione doganale vi fu anche l’economista Freidrich List. Già
nel 1819, intervenuto in qualità di capo dell’Unione dei mercanti al Bundestag
tedesco (il parlamento della Confederazione con sede a Francoforte), così si
pronunciava:
Le
numerose barriere doganali bloccano il commercio interno e producono gli stessi
effetti degli ostacoli che impediscono la libera circolazione del sangue. I
mercanti che commerciano tra Amburgo e l’Austria, o Berlino o la Svizzera
devono attraversare dieci stati, devono apprendere dieci tariffe doganali, devono
pagare dieci successive quote di transito. Chiunque viva al confine tra tre o
quattro stati è ancora più sfortunato, spendendo i suoi giorni tra ostili
esattori fiscali e ufficiali della dogana. È un uomo senza patria… Solo la
remissione delle barriere interne e l’istituzione di tariffe generali per
l’intera Federazione potrà ripristinare l’industria e il commercio nazionali o
aiutare le classe lavoratrici. [4]
Il contributo di List
alla creazione dell’Unione fu anch’esso determinante. Egli intravide nelle
possibilità di una integrazione economica, sostenuta opportunamente dall’apertura
delle frontiere e dall’aumento delle interconnessioni infrastrutturali tra le
varie entità territoriali e statuali nelle quali era divisa la Germania (notevole
il suo contributo alla realizzazione delle ferrovie in Germania, di cui aveva
notato le potenzialità durante i suoi soggiorni in Inghilterra e Stati Uniti),
la possibilità di porre le premesse per una successiva unione politica.[5] List, la cui Unione dei
mercanti fu «la prima organizzazione della classe media in Germania», condivideva
posizioni nazionalistiche che si ritrovano anche nella filosofia idealistica del
suo tempo.[6] Il sentimento patriottico
in lui si esprimeva nelle possibilità offerte dal libero commercio tra gli
stati (tedeschi) allo sviluppo nazionale. Nei riguardi degli altri stati, in particolare
verso l’import inglese, List sosteneva l’applicazione di alti dazi miranti a
tutelate la nascente industria nazionale, contrariamente alle posizioni fedeli
al libero mercato di John Prince-Smith. Vanno ricordati i suoi sforzi alla
fondazione di una economia politica diretta allo sviluppo del sistema nazionale
non solo tedesco, ma in generale occidentale.[7] Del resto, sono noti i
meriti del governo statale nell’industrializzazione della stessa Prussia e la
diretta partecipazione dello stato all’attività industriale. [8]
Dopo la fase di liberalizzazione
del mercato prussiano, l’Unione doganale tedesca avrebbe conseguito, stavolta su
scala regionale, l’abolizione delle tariffe di transito tra un paese e l’altro
(con una consistente riduzione dei costi di trasporto delle merci) e
l’implementazione di una sola tariffa esterna per i non membri. Oltre a
consentire una uniformazione progressiva di pesi e misure trai paesi che ne
sarebbero entrati a far parte e una liberalizzazione dei commerci, avrebbe
garantito la riscossione dei dazi esterni e la condivisione delle entrate
doganali (in base alla popolazione degli stati), creando le condizioni per un
mercato integrato. Ma la conseguenza più importante doveva essere un impatto
evidente e forte sulla crescita economica, sulla convergenza dei prezzi e sull’industrializzazione
della Germania (“precondizioni” e successivo take-off o big spurt industriale).
Quest’ultima è collocabile cronologicamente in coincidenza con
l’implementazione dell’Unione doganale, tra gli anni ‘30 e ‘40 e l’inizio della
grande depressione del 1873[9] o al più tardi avvertibile
secondo W.W. Rostow dal 1850,[10] processo alla fine del
quale il paese poteva affacciarsi come potenza economica sullo scenario
mondiale. [11]
David Landes ha così efficacemente sintetizzato l’impatto della creazione dello
Zollverein sul commercio in Germania:
Riguardo
alla domanda, l’unificazione interna dei mercati nazionali fu sostanzialmente
completata nell’Europa occidentale con la formazione dello Zollverein tedesco:
le lunghe file di carri che nel gelo della notte di Capodanno del 1834
aspettavano l’apertura delle barriere doganali erano una prova eloquente delle
nuove possibilità che si aprivano insieme ad esse.[12]
I prodromi dell’Unione
Primi tentativi di
giungere ad un’unione doganale risalgono già agli anni successivi al Congresso
di Vienna. L’industria tedesca era uscita pesantemente danneggiata dal blocco
continentale sancito da Napoleone contro l’Inghilterra, che aveva avvantaggiato
se non pochi settori industriali e aveva indotto l’esigenza di creare fonti
alternative di produzione. Nuove possibilità si sarebbero aperte all’interno di
un mercato in regime di franchigia doganale esteso all’intero territorio della
Confederazione, seguendo un progetto partorito dal politico ed economista del
Granducato del Baden, Karl Friedrich Nebenius.
[13]
Sin dall’inizio tuttavia,
ovvero dalla prima riunione tra i rappresentanti degli stati confederali
tenutasi a Vienna tra il 1819 e il 1820, il progetto dovette imbattersi nella
difficoltà di raggiungere un’intesa multilaterale.[14] Vienna è il luogo in cui emergono le
contraddizioni tra posizioni e interessi divergenti. Da un lato la Prussia procede
per la sua strada con la riforma del sistema delle dogane, grazie all’iniziativa
di Karl Georg von Maassen, responsabile del sistema fiscale, dall’altro
l’Austria non è ancora nelle condizioni economiche di partecipare ad un’unione
commerciale allargata. L’incaricato prussiano d’origine danese Christian Gunther von Bernstorff sostenne apertamente
i diritti della sovranità prussiana contro le ingerenze del Bundestag. L’unione
su scala confederale era all’inizio sostenuta anche da List, il quale anni dopo
divenne tra i maggiori sostenitori del modello di allargamento doganale su
impulso prussiano, che diveniva l’unico modo di riunire le più piccole unioni
doganali tra stati confinanti che si sarebbero formate dopo il fallimento
dell’incontro viennese.
L’allargamento dello
Zollverein
L’allargamento dell’Unione
doganale procedette per assimilazione dei singoli stati a partire da un
embrione di paesi costituenti un ristretto mercato allargato. Quando nel 1827,
senza che si fosse giunti ancora all’inizio formale dell’Unione doganale,
l’Assia-Durmstadt strinse accordi tariffari con la Prussia, l’influenza
economica di quest’ultima era già una realtà di fatto. L’intesa, poi
concretizzatasi nell’unione tariffaria nel 1828, costituì il primo accordo
doganale della Prussia con un vasto stato della Confederazione tedesca, andando
a costituire la “zona core” all’interno del futuro Zollverein (la tariffa sancita nell’accordo tra Assia e Prussia
sarebbe diventata poi quella dell’intera Unione).
Questo primo nucleo
doganale iniziava a minare la stessa filosofia della Confederazione germanica,
che era concepita come perpetuazione dello status
quo in Germania, mentre una unione doganale condotta da un paese egemone contribuiva
a stravolgere l’ordine uscito dal Congresso di Vienna.[15] Il peso politico, più che commerciale o
economico, di questo accordo fu chiaro in quanto non comportava vantaggi sul
lato prussiano, quanto su quello dell’Arciducato d’Assia. Tale accordo,
tuttavia, rappresentava una sorta di ingresso dell’antico Langraviato nel
“sistema politico” della Prussia.
L’anno dell’intesa con
l’Assia-Darmstadt fu anche l’anno della reazione alle manovre prussiane di un
congruo numero stati della Germania centrale, che nel settembre 1828 addivennero
ad un accordo formale per un’area di commercio alternativa, nata con finalità
difensive rispetto a quella messa in atto dalla Prussia. Più che come un’area
di libero scambio, la Mittledeutcher
Handelsverein (siglata tra Hannover, Sassonia, Assia-Kassel, Nassau,
Brunswick, principati della Turingia e le città libere di Brema e Francoforte
sul Meno) nasceva come un trattato che impegnava gli stati aderenti a non
prendere parte ad altre unioni doganali prima della fine del 1834 (in base alla
clausola della nazione più favorita), data nella quale l’accordo tra Prussia,
Assia e Darmstadt si sarebbe concluso e, inoltre, a non innalzare barriere
doganali contro gli stati membri, ma non poneva vincoli di politica economica. Essa
era animata sostanzialmente dall’obiettivo di forzare il regno prussiano ad
avviare trattative multilaterali con i potenziali paesi aderenti al proprio
blocco e mitigare le esternalità negative. [16]
Egemonie contese
Gli statisti prussiani
sospettarono l’Austria di essere dietro i tentativi di sovvertire la propria
unione doganale per tramite della Mittledeutcher
Handelsverein, che infatti vide la luce «con la benedizione di Metternich».[17] Nelle parole rivolte al
ministro degli Affari Esteri dal ministro delle Finanze prussiano Friederich
Von Maltzen, l’unione di stati centrali tedeschi appariva «favorita e promossa
dall’Austria». Veniva agitato il sospetto delle macchinazioni del rivale
asburgico finalizzate a far deflagrare il progetto di unione doganale
allargata. Tale convinzione si fece strada presso le alte sfere
dell’amministrazione prussiana e subito ne fu informata la corte: «l’Austria
era dietro l’unione doganale della Germania centrale».[18]
Per quanto dietro le
iniziative prussiane non vi fosse l’esplicita intenzione di scalzare l’egemonia
austriaca all’interno della Confederazione, tuttavia l’unificazione economica
fatta a spese dell’Austria avrebbe consentito alla Prussia di conseguire
proprio questo obiettivo. [19] D’altra parte non minore
peso avevano i timori, ancora vivi al tempo, di un’invasione francese. La
Prussia coltivava l’intenzione di compattare gli stati minori della
Confederazione attorno a sé contro un’eventuale minaccia francese, ma per far
questo, doveva ridurre il peso politico dell’Austria, quindi i condizionamenti
e le influenze austriache su questi paesi (specie quelli viciniori della
Germania meridionale). I prussiani, dal canto loro, affermavano che loro
politica si esprimeva in conformità alla Legge federale della Confederazione
Tedesca (art. 19), che invitava gli stati tedeschi ad avviare contatti intorno
ad una armonizzazione doganale finalizzata a comuni interessi commerciali
(laddove l’Austria non vi poteva assolvere in virtù della sua politica
tradizionalmente protezionistica). L’Austria non poteva che nutrire ostilità
verso il trattato prussiano con l’Assia-Darmstadt. In un certo senso la Prussia
era ricambiata nella propria ostilità verso l’impero austriaco.
Per quanto riguarda la
minaccia rappresentata dalla Francia, ben prima della rivoluzione di luglio del
1830, che sembrò riproporre scenari vecchi di almeno trent’anni, i timori per
le ambizioni francesi sul Reno erano abbastanza diffusi. Gli uomini di stato
che gettarono le basi per la successiva unione della Germania per mezzo dello Zollverein, apparivano ossessionati
dalla paura di una Germania debole e divisa contro un potere monoblocco
francese. Friedrich List guardava proprio alla Francia come modello di coesione
doganale e unità politica.[20] Al tempo stesso erano ben
vivi i ricordi del periodo in cui «da un punto di vista economico la Germania
era diventata un satellite della Francia».[21]
I burocrati prussiani
dell’epoca della Germania post-napoleonica, che lavorarono alacremente per
creare l’Unione doganale prussiana, animati da una profonda francofobia, provenivano
per la maggior parte dal servizio nell’amministrazione svolta ai tempi dell’Impero
napoleonico (Motz aveva servito in Vestfalia sotto Girolamo Bonaparte). [22] Gli eventi di luglio
avrebbero spinto a mettere da parte le acrimonie con gli Asburgo e a un
temporaneo riavvicinamento con l’Austria, al quale appariva disposta la
monarchia Hohenzollern (nel 1830, come nel 1866, quando Guglielmo I tentò di
evitare la guerra con l’Austria).[23]
L’eversione dell’unione
doganale centrale
Riguardo la sfida rappresentata
dall’unione doganale centrale, i burocrati prussiani meditarono, al fine di
contrastarla, financo la guerra economica e la riconsiderazione dei rapporti
con alcuni stati facenti parte di essa, in particolare l’Hannover (dietro il quale
v’era il sostegno della monarchia inglese, a cui era legato in unione personale)
e l’Assia-Kassel. La Prussia considerava tale unione, per citare le parole del già
citato Bernstorff, alla stregua
di un “aggregato di interessi” ostile.[24]
Nel tentativo di sfilare
membri importanti dall’Unione rivale la Prussia perseguiva una strategia di
contatti bilaterali, stabilendo trattative esclusive con il paese candidato a
entrare nella propria area commerciale. Era la stessa strategia di contatti seguita
con l’Assia Darmstadt nel 1828. Facendo ciò essa rifiutava di avviare
negoziazioni multilaterali, esercitando tutto il proprio peso politico ed economico
e la propria superiorità in termini di persuasione diplomatica nei riguardi di
ogni singolo stato potenziale aderente. Questa metodologia fu utilizzata per
spingere l’Assia-Kassel, incastonata trai possedimenti prussiani occidentali e
orientali, ad abbandonare l’Unione centrale e aderire al blocco prussiano,
passaggio che si concretizzò nel 1831, consentendo ai prussiani di realizzare
la saldatura tra le proprie province divise territorialmente.
Il ministro delle Finanze
prussiano, del resto, era ben consapevole del forte legame che univa
l’integrazione economica ad una possibile futura unità politica della Germania.
Nelle sue memorie Motz sottolineava:
È
una verità politica che importazioni, esportazioni, strumenti di transito sono
il risultato delle divisioni politiche (tra gli stati tedeschi, ndt), e ciò è vero, perciò anche
l’inverso è altrettanto vero, cioè che l’unificazione di questi stati in una
unione tariffaria e commerciale può condurre ad una unificazione in un unico e
medesimo sistema politico. [25]
Al fine di concretizzare
queste aspirazioni, Motz, Bernstorff (che espresse le medesime posizioni in un
memorandum, Denkschrift, del 1831) e
gli altri statisti prussiani si adoperano per l’ingresso nello Zollverein della Baviera-Wurttemberg,
costituitasi unione doganale propria nel 1827-1828, che fu avviato sin dopo il
primo ingresso dell’Assia-Durmstadt. Al 1828 risalgono i primi negoziati
segreti e nel 1829 avvenne la firma di un importante accordo commerciale, che
fu accompagnato dalla creazione di una rete di strade attraverso Coburgo e
Meiningen (stati turingiani parte dell’unione centrale), che avrebbe collegato
gli stati del sud a quelli del nord, rendendo di fatto insensata l’unione
doganale centrale (un trattato di libera navigazione del Reno siglato tra
Prussia e Olanda nel 1831 aprirà altre falle nell’unione centrale, contribuendo
alle connessioni con la Baviera).[26] Nel 1833, l’anno prima
dell’entrata in funzione dello Zollverein,
Baviera, Wurttemberg, Assia-Hesse entrano a tutti gli effetti a far parte
dell’Unione doganale prussiana. Le prime due aderirono grazie a laute
concessioni, tra cui la possibilità di stringere accordi con stati stranieri.
La Prussia, benché conseguisse l’adesione formale di questi stati fondamentali
sul piano geopolitico, tuttavia incorporava un rischio concreto di futura
scissione e di cambio di fronte, soprattutto con riferimento alla Baviera e al
Wurttemberg (e che rimarrà vivo fino alla vigilia della guerra
franco-prussiana).
L’ingresso della Baviera
infatti è importante non tanto per ragioni economiche, quanto politiche e
militari. Solo «in alleanza con la Baviera il fianco della Prussia renana dalla
bocca della Saar di Bingen può essere adeguatamente difeso contro la Francia», scrive
Motz nelle sue memorie.[27] Complici i sommovimenti
rivoluzionari del 1830 in Francia e Paesi Bassi, il rischio infatti di un
intervento francese a sostegno dei focolai in Sassonia e Assia-Kassel appariva
reale dopo le dichiarazioni pronunciate dal diplomatico Hector Mortier in
merito al fatto che la Francia non avrebbe potuto ignorare le attività
rivoluzionarie lungo il Reno.[28]
L’istituzione formale
dello Zollverein
Gli eventi della
rivoluzione di luglio spinsero la Prussia ad accelerare il processo di
consolidamento dell’Unione doganale, ferma a un formale trattato commerciale
con gli stati meridionali. Dopo due anni di pausa nelle trattative, nel 1831 le
negoziazioni furono riaperte da Maassen, intanto divenuto ministro delle
Finanze (1830-1834). Nel 1833 infine, tra marzo e maggio, furono conclusi i
trattati con cui nasceva lo Zollverein,
che sarebbe entrato in vigore il 1° gennaio dell’anno dopo.[29] Esso nasceva dalla
fusione tra l’unione Prussia-Assia-Darmstadt e l’unione Baviera-Wurttemberg e
incluse la partecipazione della Sassonia e dei principati turingi, con i quali
furono stretti accordi che mettevano un punto decisivo alla entrata in funzione
dell’Unione doganale. L’adesione della Baviera-Wurttemberg de facto svincolava la Sassonia dalla partecipazione alla Mittledeutcher Handelsverein, che
infatti abbandonava in favore dell’altra unione (ottobre 1833).[30]
Dopo l’istituzione
formale, il coinvolgimento del Baden (1835) fu il passaggio immediatamente
successivo del suo consolidamento. Posto all’intersezione tra Francia, Svizzera
e il resto degli stati tedeschi il Granducato costituiva una porta d’accesso
fondamentale per i commerci, rimasta isolata dopo l’adesione di Baviera e Wurttemberg.
Lo stesso accadde ad altri due importanti stati assiani, Nassau e la libera
città di Francoforte, i cui timori per un completo isolamento dai mercati
tedeschi avevano portato a sottoscrivere un accordo commerciale con la Francia
nel 1835, però poi annullato a beneficio della partecipazione allo Zollverein, Nassau nel 1835 e
Francoforte nel 1836. [31]
In particolare la città
di Francoforte subiva esternalità negative dalla adesione di Nassau, perdendo
lo sbocco alla regione renana. Il fattore dell’economia esterna riveste una
importanza fondamentale nel processo di smottamento degli stati tedeschi verso
l’unificazione commerciale con la Prussia.[32] La Prussia e gli stati
settentrionali detenevano un altro vantaggio competitivo rispetto alle
controparti meridionali. Essi, potendo contare sui porti di sblocco aperti ai
mercati internazionali, subivano esternalità inferiori rispetto ai mercati
meridionali resi asfittici dalla chiusura loro contrapposta dal blocco dello Zollverein. [33] Ciò consentiva agli stati
tedeschi settentrionali (riuniti nella Confederazione tedesca del Nord nel
1866) di ridurre le tariffe di
importazione e potenziare le rotte verso il Baltico e il Mare del Nord.
Come reazione allo Zollverein Hannover, Brunswick, dopo la fine dell’Unione doganale centrale, conclusero una propria unione nel 1834-1835, con le caratteristiche di una vera unione doganale, denominata Steuerverein (Unione fiscale), alla quale prese parte l’Oldenburg nel 1836 e il principato di Schaumburg-Lippe nel 1838. Essa ebbe fine quando il Brunswick, per rompere anch’esso l’isolamento, optò per l’adesione allo Zollverein (1842), seguito dall’Hannover (legato in unione personale con l’Inghilterra fino al 1837) e dall’Oldemburg nel 1851 e nel 1852, che contribuirono alla saldatura ulteriore delle province prussiane scollegate. [34] I rimanenti stati tedeschi non ancora inglobati furono annessi dopo la guerra austro-prussiana del 1866 (Meclemburgo e Lubecca) o cedettero infine alle pressioni della nuova entità imperiale costituita a Versailles nel 1871, come nel caso di Amburgo e Brema (1888).[35]
Come reazione allo Zollverein Hannover, Brunswick, dopo la fine dell’Unione doganale centrale, conclusero una propria unione nel 1834-1835, con le caratteristiche di una vera unione doganale, denominata Steuerverein (Unione fiscale), alla quale prese parte l’Oldenburg nel 1836 e il principato di Schaumburg-Lippe nel 1838. Essa ebbe fine quando il Brunswick, per rompere anch’esso l’isolamento, optò per l’adesione allo Zollverein (1842), seguito dall’Hannover (legato in unione personale con l’Inghilterra fino al 1837) e dall’Oldemburg nel 1851 e nel 1852, che contribuirono alla saldatura ulteriore delle province prussiane scollegate. [34] I rimanenti stati tedeschi non ancora inglobati furono annessi dopo la guerra austro-prussiana del 1866 (Meclemburgo e Lubecca) o cedettero infine alle pressioni della nuova entità imperiale costituita a Versailles nel 1871, come nel caso di Amburgo e Brema (1888).[35]
Il ruolo degli stati circonvicini
Austria e Francia
operarono scarso impegno, dovuto anche a fattori geografici, economici e a blanda
volontà politica, nel contrastare la politica di espansione doganale prussiana.
La Francia mantenne sempre alte le tariffe doganali impedendo l’ingresso di
merci tedesche, ma così facendo contribuiva ad accrescere diseconomie in quegli
stati rimasti esclusi dallo Zollverein
e che avrebbero avuto bisogno di mercati di sbocco. L’accordo di libero scambio
firmato tra Francia e Prussia nel 1862, accettato dalla Prussia su invito di
Napoleone III, pose una parola definitiva sui tentativi dell’Austria e degli
stati meridionali dello Zollverein di
trovare un’alternativa al modello di Unione prussiana, favorendo la decisiva
espulsione dell’Austria dagli affari della Confederazione per mezzo della
clausola della nazione più favorita.[36] Era la vittoria dei
sostenitori della posizione kleindeutsch,
ovvero dell’ipotesi di una Germania unificata sotto lo stato prussiano a
esclusione dell’Austria, contro quella grossdeutsch,
che privilegiava la “grande Germania” comprensiva dell’Austria.[37]
La stessa Austria,
sebbene avesse supportato l’Unione degli stati centrali e fosse vicina a quelli
meridionali, perseguì sempre una politica fin troppo accomodante verso la
Prussia che finì per agevolarne i disegni. Con una crescita economica debole
alla metà del secolo se paragonata a quella prussiana, aveva conseguito una
sorta di unione doganale interna, armonizzando le tariffe e riducendole durante
gli anni ’50 e ’60, implementando una marcata quanto insolita politica
liberista, che si spiega - più che con
una conversione degli Asburgo dal protezionismo al liberismo - con la volontà
di prendere parte al regime tariffario prussiano e auspicabilmente scalzare la
posizione della Prussia, sostituendovisi. [38] Essa però non era pronta
ad essere accolta dagli stati di media grandezza dello Zollverein, che avevano attuato politiche di condivisione delle
entrate con la Prussia, né quest’ultima intendeva accettarne la partecipazione.[39] Questi stati erano
disposti ad accettare una primazia dell’Austria nel Bundestag, non nello Zollverein. Sebbene l’Austria avesse stabilito un accordo
commerciale con lo Zollverein nel
1853, e il ministro austriaco delle Finanze Karl Ludwig von Bruck (1855-1860),
avesse proposto l’adesione dell’impero asburgico nella sua interezza nello Zollverein, tale iniziativa incontrò
l’opposizione di alcuni gruppi di interesse nell’impero (produttori di ghisa e
cotone), timorosi della politica di basse tariffe praticata dai prussiani. Un
nuovo futile tentativo di ingresso nel 1865 fu infine anch’esso respinto. L’Austria
riuscì comunque a ritagliarsi un ruolo di nazione privilegiata negli scambi con
l’unione attorno alla metà degli anni ’50, ma lo perse nel 1865 con il rinnovo
dello Zollverein, attuato sulla base
del trattato commerciale franco-prussiano.[40]
La Danimarca, soccombente
nella guerra con la Prussia nel 1864, il Belgio (separatosi dai Paesi Bassi nel
1830) che non impedì il passaggio del Lussemburgo (sotto la sovranità olandese)
nello Zollverein nel 1842, dopo aver
tentato esso stesso un’associazione dopo il 1840 (fallita per l’opposizione
francese) e la Svizzera, la cui neutralità assoluta era stata sancita a Vienna
nel 1815, non compirono anch’essi alcuno sforzo per contrastare i piani
prussiani, se non altro per il loro scarso peso economico e politico. [41] Il Belgio del resto era
conteso tra mercato integrato francese e prussiano e la stessa neutralità del
paese sancita nel 1839 non impediva di stringere unioni doganali con altri
stati. [42]
Infine, riguardo alla
Gran Bretagna, vi sono due filoni interpretativi in relazione ai rapporti con
lo Zollverein, l’uno che risale al
già citato von Trieitschke, che riconobbe nella sua creazione la causa
dell’inizio dell’ostilità anglo-tedesca (questi storici tedeschi interpretavano
l’Unione doganale unicamente come precorritrice della dominazione prussiana nel
1870), e un altro recente, più problematico, che tende a rilevare la
sottovalutazione da parte delle autorità inglesi della ricaduta industriale
dell’apertura doganale tedesca, nonché le conseguenze politiche dell’Unione
prussiana, che avrebbe finito per favorire l’ascesa tedesca in Europa. [43] John R. Davis ha dimostrato non solo la non
ostilità inglese, ma addirittura il sostegno dato dal Regno Unito allo Zollverein, anche durante le sue crisi.[44] Londra ebbe in esso uno
dei suoi più importanti mercati di sbocco (incentivata dai bassi dazi) e uguali
benefici trassero le industrie tedesche dall’import di prodotti grezzi e finiti
dalla Gran Bretagna. La politica del libero commercio inglese, inaugurata in
Europa con il trattato Cobden-Chevalier del 1860 tra Inghilterra e Francia, travalicava
i confini dei singoli stati, venendo considerata separata e in qualche modo
prioritaria rispetto alla politica delle relazioni internazionali. [45]
I paralleli storici
Un altro esempio di
unione doganale, dove però l’unificazione politica ha preceduto quella
economica (che ne è stata la conseguenza diretta), è rappresentato dalla
Confederazione degli Stati Uniti d’America. Questa, dopo aver conseguito
l’indipendenza dalla Gran Bretagna, si costituì come unione doganale tra aree
economiche del tutto diverse: il Nord industriale e il Sud agricolo, il primo, ad
alta intensità di capitale, con peculiarità protezioniste dovute al processo
embrionale di industrializzazione e il secondo, fondato invece sull’apporto
massiccio di manodopera, improntato all’economia del libero scambio. La materia
della regolazione della circolazione economica tra gli stati confederali non
era stata affrontata dalla prima Costituzione americana e da tale vacatio derivò disordine economico, cui
si rispose in maniera definitiva soltanto con la Costituzione del 1787.[46] L’ordinamento doganale
americano, secondo un disegno fatto a misura degli interessi del Nord, ammise
protezione tariffaria per i beni industriali, laddove invece quelli agricoli,
prodotti dal Sud, erano esposti alla concorrenza internazionale. Nel caso americano
quindi unificazione politica ed economica sono state perseguite si può dire
simultaneamente.
Per passare a un altro
caso, così come lo Zollverein anche
l’Unione europea, che ha assunto le caratteristiche di un mercato comune, non limitandosi alle possibilità di transito delle
merci, ma anche delle persone, dei servizi, dei capitali (che quindi la mette
in marcia verso una più stretta interrelazione con inevitabili sbocchi politici
a meno di insuccessi), è nata come unione doganale propria. In questo senso
essa operò all’inizio, in base al Trattato di Roma (entrato in vigore nel 1958),
la rimozione degli impedimenti al transito delle merci e l’istituzione di una
tariffa esterna comune (TEC), attuata solo nel 1968. Allo stesso modo
dell’Unione europea, che da comunità economica intende convertirsi in unione
politica, lo Zollverein fu inteso da
Bismarck con la riforma del 1867 come strumento per conseguire una definitiva unificazione
politica, attraverso la creazione di un Consiglio doganale e di un Parlamento
doganale (Zollparlament) che erano i
tentativi di convertire in termini politici un primato economico già conseguito
dalla Prussia.
Si può dire in
conclusione, sulla base di questi brevi esempi, che «processi di unificazione
politica e processi di unificazione economica possono non solo coesistere, ma
anche vicendevolmente condizionarsi».[47] Inoltre, «la mancanza di
un disegno politico di unificazione può creare ostacoli insormontabili ai
progetti di unificazione economica, ma sembra non valere il contrario», nel
senso che è possibile concepire una unione politica disgiunta da quella
economica.[48]
Le associazioni economiche «possono funzionare semplicemente perché gli stati
membri credono di avere più da guadagnare dalla partecipazione… che dalla non
partecipazione», mentre gli stessi stati a livello individuale conservano la
loro sovranità.[49]
Qui è chiaro il significato del successo dello Zollverein: la presenza sin dall’inizio di un intento politico ha
favorito il conseguimento della base economica, finalizzata al raggiungimento
di una successiva unificazione politica. Per stare all’altro caso, ovvero della
coesione politica disgiunta da quella economica, l’unità politica
dell’Austria-Ungheria esisteva in assenza di una convergenza tra le due
economie (quella austriaca a carattere industriale tendenzialmente protezionistica,
quella ungherese di tipo agrario più aperta al laissez-faire, sebbene in una certa misura complementari), anche se
essa andò attenuandosi sempre più dopo il compromesso del 1867 e la
costituzione della duplice monarchia. [50]
Conclusioni
L’Unione doganale tedesca
servì dunque, immediatamente dopo il conseguimento dell’indipendenza dalla
Francia, come strumento della Prussia per affrancarsi dal suo dominio e per
legare a sé gli stati disposti a nord del Meno, al fine di inibire la minaccia dell’egemonia
francese (obiettivo che si pose lo stesso “sistema bismarckiano” di alleanze
europeo). L’impatto della politica economica di armonizzazione tra i regimi
tariffari (che fruttava un forte incremento delle entrate fiscali), incentivata
dalla spinta ad aprirsi a mercati nuovi (o a vie rimaste precluse dalla
barriera dello Zollverein), ebbe
ricadute inevitabilmente politiche, pesando sull’assetto degli stati
confederali e spingendo a una loro sempre più forte coesione.[51] Infine, una volta estromessa
definitivamente l’Austria come potenza gravitante attorno alla Confederazione,
formalmente abolita, lo Zollverein
esaurì il suo ruolo, venendo inglobato nella neonata struttura federale
imperiale.
[1] Florian Ploeckl, The Zollverein
and the formation of a customs union, University of Oxford, Discussion
Papers in Economic and Social History, n. 84, August 2010, p. 5.
[2] Ibidem.
[3] Volker Hentschel, Politica economica e sociale tedesca,
1815-1939, in Valerio Castronovo
(a cura di), «Storia economica Cambridge», vol. viii, t. 2, Einaudi, Torino
1992, p. 185.
[4] William Otto Henderson, The state and the industrial revolution in Prussia. 1740-1870,
Liverpool University Press, 1967, pp. 89-90.
[5]
Roman Szporluk, Comunism and nationalism:
Karl Marx versus Friedrich List, Oxford University Press, 1988, pp. 105-106.
[6] R. Szporluk, Comunism
and nationalism cit. pp. 101-106.
[7] Ivi, p.
106 ss.
[9] Jurgen Kocka, Impresa e organizzazione manageriale nell’industrializzazione tedesca,
in Valerio Castronovo (a cura
di), «Storia economica Cambridge», vol. vii, t. 1, Einaudi, Torino 1979, p.
657.
[10] R. H. Tilly, La
formazione del capitale in Germania nel secolo XIX, in «Storia economica
Cambridge» cit., pp. 516-517.
[11] Wolfgang Keller, Carol Hua
Shiue, The trade impact of the Zollverein,
CEPR Discussion Paper
No. DP9387, March 2013, pp. 1-5.
[12] David S. Landes, Cambiamenti tecnologici e sviluppo
industriale nell’Europa occidentale, 1750-1914, in Valerio Castronovo (a c.
di), «Storia economica
Cambridge», vol. vi, Einaudi, Torino 1974, pp. 411-412.
[13] William Otto Henderson, Friedrich List, economist and visionary. 1789-1846, Routledge,
2004, p. 42.
[14] W. O. Henderson, The state and the industrial revolution cit. p. 90.
[15] Hegen Schulze, Storia della Germania, Donzelli, Roma
2000, p. 83.
[16] F. Ploeckl, The Zollverein
cit. p. 18
[17] William Otto Henderson, The rise of German industrial power.
1834-1914, University of California Press, Los Angeles 1975, p. 35.
[18] John Murphy, Prussian aims for
the Zollverein, 1828-1833, in « The Historian » 53 (December 1991), p. 290
[19] J. Murphy, Prussian aims
cit. p. 291
[20] W. Keller,
C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 6.
[21] W. O.
Henderson, The rise of German industrial
power cit. p. 29.
[22] J. Murphy, Prussian aims cit.
p. 296
[23] Ivi, pp. 297-98; John Breuilly, The
formation of the first german nation-state, 1800-1871, Mcmillan-St. Martin’s, 1996, trad. it. Marco
Santoro, La formazione dello stato
nazionale tedesco, Il Mulino, Bologna 2004, p. 103.
[24] J. Murphy, Prussian aims
cit. p. 293
[25] Ivi, p. 296
[26] Ivi, p. 301; F. Ploeckl, The
Zollverein cit. pp. 19-20; W. O. Henderson, The state and the industrial revolution
cit. p. 94.
[27] J. Murphy, Prussian aims
cit. p. 297
[28] Ivi, p. 300
[29] Ivi, p. 300
[30] F. Ploeckl, The Zollverein cit. pp. 20-21
[31] Ivi, p. 22
[32] Ivi, pp. 8-12
[33] Ivi, p. 23
[34] W. Keller, C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 9.
[35] Ibidem.
[36] V. Hentschel, Politica
economica e sociale tedesca cit. pp. 188-189; W. O. Henderson, The rise of German industrial power cit.
p. 153.
[37] J. Breuilly, The formation cit.
pp. 11-15.
[38] Scott M. Eddie, Politica economica e sviluppo dell’economia
nell’Austria-Ungheria, 1867-1913, in Valerio Castronovo (a c. di), «Storia economica Cambridge», vol.
viii, t. 2, Einaudi, Torino 1992, pp. 254-256.
[39] John
Breuilly, Austria, Prussia and the making
of Germany: 1806-1871, Routledge, 2nd. Edition, 2011, p. 60
[40] J.
Breuilly, The formation cit., pp.
55-56. W. O. Henderson, The rise of
German industrial power cit. p. 155.
[41] F. Ploeckl, The Zollverein
cit. p. 24
[42] W. O. Henderson, Friedrich List cit. p. 95
[43] Cfr. John
R. Davis, Britain and the German
Zollverein. 1848-1866, St Martin’s Press, New York 1998.
[44] James M.
Brophy, Britain
and the German Zollverein 1848-66, by John R. Davis, in «Victorian Studies», vol. 42, no. 1
(Autumn, 1998 - Autumn, 1999), pp. 149-151.
[45] Ibidem.
[46] Paolo Gramatica, Economia e tecnica degli scambi
internazionali, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 509-523.
[47] P. Gramatica, Economia e tecnica degli scambi, p. 523.
[48] Ibidem.
[49] J.
Breuilly, The formation cit., pp.
35-36.
[50] S. M. Eddie, Politica economica e sviluppo cit. pp. 270-271.
[51] W. Keller,
C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 31.
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