giovedì 23 aprile 2020

Lo "Zollverein" o unione doganale tedesca




Lo Zollverein come strumento economico di unificazione della Germania



Lo Zollverein (lett. dal tedesco "unione doganale") fu la più importante unione doganale del XIX secolo. Questa unione doganale ha funzionato per tre decenni, a partire dal 1834, venendo implementata nel territorio della variegata compagine statale tedesca, erede storica del Sacro Romano Impero, abolito pochi anni prima per volontà di Napoleone . L'iniziativa politico-economica della Prussia, principale artefice di tale iniziativa, costrinse la maggior parte degli stati della Confederazione tedesca a gravitare progressivamente attorno al regno prussiano e in prospettiva a garantire il conseguimento dell'unificazione nazionale tedesca.

Il presente lavoro indaga il ruolo ricoperto da questo strumento economico, che venne sfruttato dalla Prussia per raggiungere l'unificazione politica della Germania sotto la sua egemonia. Inizialmente formato con l'intento di rafforzare le relazioni tra gli stati della Germania centrale e settentrionale contro un possibile attacco da parte dei francesi e realizzato da statisti che provenivano dall'esperienza dell'occupazione francese, sarebbe diventato, sin dalla sua entrata in vigore, la base dell'egemonia prussiana contro la dominazione austriaca nella Confederazione tedesca.

Tuttavia, solo l'inibizione del primato francese in Europa avrebbe finalmente permesso al genio del cancelliere Bismarck di affermare l'unità germanica, a spese di una minaccia francese sempre presente e incombente dal Reno.

Il metodo utilizzato nello studio è stato impostato su una duplice matrice, sia politica che economica, dando un peso significativo all'incidenza della dinamica delle relazioni internazionali tra gli stati dell'epoca. Questo lavoro cerca essenzialmente di analizzare le conseguenze economiche durature dell'unione doganale tedesca e sottolinea il fattore commerciale dietro l'appartenenza della maggior parte degli Stati che hanno preso parte allo Zollverein.


Introduzione 


Il dibattito storiografico degli ultimi secoli sul ruolo dello Zollverein, ovvero dell’Unione doganale tedesca portata a termine su impulso dello stato prussiano, è stato orientato a due filoni interpretativi. Un primo, espresso sul finire dell’Ottocento da Heinrich von Trieitschke, ha visto nell’unione doganale il primo passo verso l’unificazione tedesca (tesi sostanzialmente sostenuta anche da John Murphy ai giorni nostri), mentre un secondo, in contrasto con questa ipotesi, risalente alle interpretazioni di Alan John Percival Taylor e Martin Kitchen, ha rinvenuto nelle mosse della Prussia delle motivazioni inizialmente economiche e solo in un secondo tempo politiche, esaltando i risvolti economici. [1] Oggi il dibattito storico-economico sembra enfatizzare piuttosto «i vantaggi fiscali derivanti dalle economie di scala all’interno dell’amministrazione doganale».[2]
La creazione dello Zollverein trova i suoi antecedenti nelle riforme avviate nel 1818 quando la Prussia stabilì un nuovo regime tariffario, armonizzando la struttura doganale interna ai propri territori, che includevano enclave e altri piccoli stati, e stabilendo che l’unica frontiera doganale sarebbe stata quella dello stato (cancellazione dei numerosi dazi cittadini e pedaggi stradali e fluviali).[3] Le riforme di liberalizzazione, proseguite per un decennio a causa delle trattative tra gli stati interessati, garantirono benefici finanziari, favorendo una più libera circolazione delle merci e consentendo di raggiungere l’unione doganale del paese. Portate a termine dal ministro delle finanze prussiano Friedrich Von Motz (1825-1830), furono alla base della successiva creazione dello Zollverein, che vide la luce grazie proprio all’instancabile attività diplomatica dello stesso Motz. Tra gli ispiratori dell’Unione doganale vi fu anche l’economista Freidrich List. Già nel 1819, intervenuto in qualità di capo dell’Unione dei mercanti al Bundestag tedesco (il parlamento della Confederazione con sede a Francoforte), così si pronunciava:
Le numerose barriere doganali bloccano il commercio interno e producono gli stessi effetti degli ostacoli che impediscono la libera circolazione del sangue. I mercanti che commerciano tra Amburgo e l’Austria, o Berlino o la Svizzera devono attraversare dieci stati, devono apprendere dieci tariffe doganali, devono pagare dieci successive quote di transito. Chiunque viva al confine tra tre o quattro stati è ancora più sfortunato, spendendo i suoi giorni tra ostili esattori fiscali e ufficiali della dogana. È un uomo senza patria… Solo la remissione delle barriere interne e l’istituzione di tariffe generali  per l’intera Federazione potrà ripristinare l’industria e il commercio nazionali o aiutare le classe lavoratrici. [4]
Il contributo di List alla creazione dell’Unione fu anch’esso determinante. Egli intravide nelle possibilità di una integrazione economica, sostenuta opportunamente dall’apertura delle frontiere e dall’aumento delle interconnessioni infrastrutturali tra le varie entità territoriali e statuali nelle quali era divisa la Germania (notevole il suo contributo alla realizzazione delle ferrovie in Germania, di cui aveva notato le potenzialità durante i suoi soggiorni in Inghilterra e Stati Uniti), la possibilità di porre le premesse per una successiva unione politica.[5] List, la cui Unione dei mercanti fu «la prima organizzazione della classe media in Germania», condivideva posizioni nazionalistiche che si ritrovano anche nella filosofia idealistica del suo tempo.[6] Il sentimento patriottico in lui si esprimeva nelle possibilità offerte dal libero commercio tra gli stati (tedeschi) allo sviluppo nazionale.  Nei riguardi degli altri stati, in particolare verso l’import inglese, List sosteneva l’applicazione di alti dazi miranti a tutelate la nascente industria nazionale, contrariamente alle posizioni fedeli al libero mercato di John Prince-Smith. Vanno ricordati i suoi sforzi alla fondazione di una economia politica diretta allo sviluppo del sistema nazionale non solo tedesco, ma in generale occidentale.[7] Del resto, sono noti i meriti del governo statale nell’industrializzazione della stessa Prussia e la diretta partecipazione dello stato all’attività industriale. [8]
Dopo la fase di liberalizzazione del mercato prussiano, l’Unione doganale tedesca avrebbe conseguito, stavolta su scala regionale, l’abolizione delle tariffe di transito tra un paese e l’altro (con una consistente riduzione dei costi di trasporto delle merci) e l’implementazione di una sola tariffa esterna per i non membri. Oltre a consentire una uniformazione progressiva di pesi e misure trai paesi che ne sarebbero entrati a far parte e una liberalizzazione dei commerci, avrebbe garantito la riscossione dei dazi esterni e la condivisione delle entrate doganali (in base alla popolazione degli stati), creando le condizioni per un mercato integrato. Ma la conseguenza più importante doveva essere un impatto evidente e forte sulla crescita economica, sulla convergenza dei prezzi e sull’industrializzazione della Germania (“precondizioni” e successivo take-off o big spurt industriale). Quest’ultima è collocabile cronologicamente in coincidenza con l’implementazione dell’Unione doganale, tra gli anni ‘30 e ‘40 e l’inizio della grande depressione del 1873[9] o al più tardi avvertibile secondo W.W. Rostow dal 1850,[10] processo alla fine del quale il paese poteva affacciarsi come potenza economica sullo scenario mondiale. [11] David Landes ha così efficacemente sintetizzato l’impatto della creazione dello Zollverein sul commercio in Germania:
Riguardo alla domanda, l’unificazione interna dei mercati nazionali fu sostanzialmente completata nell’Europa occidentale con la formazione dello Zollverein tedesco: le lunghe file di carri che nel gelo della notte di Capodanno del 1834 aspettavano l’apertura delle barriere doganali erano una prova eloquente delle nuove possibilità che si aprivano insieme ad esse.[12]

I prodromi dell’Unione

Primi tentativi di giungere ad un’unione doganale risalgono già agli anni successivi al Congresso di Vienna. L’industria tedesca era uscita pesantemente danneggiata dal blocco continentale sancito da Napoleone contro l’Inghilterra, che aveva avvantaggiato se non pochi settori industriali e aveva indotto l’esigenza di creare fonti alternative di produzione. Nuove possibilità si sarebbero aperte all’interno di un mercato in regime di franchigia doganale esteso all’intero territorio della Confederazione, seguendo un progetto partorito dal politico ed economista del Granducato del Baden, Karl Friedrich Nebenius. [13]
Sin dall’inizio tuttavia, ovvero dalla prima riunione tra i rappresentanti degli stati confederali tenutasi a Vienna tra il 1819 e il 1820, il progetto dovette imbattersi nella difficoltà di raggiungere un’intesa multilaterale.[14]  Vienna è il luogo in cui emergono le contraddizioni tra posizioni e interessi divergenti. Da un lato la Prussia procede per la sua strada con la riforma del sistema delle dogane, grazie all’iniziativa di Karl Georg von Maassen, responsabile del sistema fiscale, dall’altro l’Austria non è ancora nelle condizioni economiche di partecipare ad un’unione commerciale allargata. L’incaricato prussiano d’origine danese Christian Gunther von Bernstorff sostenne apertamente i diritti della sovranità prussiana contro le ingerenze del Bundestag. L’unione su scala confederale era all’inizio sostenuta anche da List, il quale anni dopo divenne tra i maggiori sostenitori del modello di allargamento doganale su impulso prussiano, che diveniva l’unico modo di riunire le più piccole unioni doganali tra stati confinanti che si sarebbero formate dopo il fallimento dell’incontro viennese.

L’allargamento dello Zollverein

L’allargamento dell’Unione doganale procedette per assimilazione dei singoli stati a partire da un embrione di paesi costituenti un ristretto mercato allargato. Quando nel 1827, senza che si fosse giunti ancora all’inizio formale dell’Unione doganale, l’Assia-Durmstadt strinse accordi tariffari con la Prussia, l’influenza economica di quest’ultima era già una realtà di fatto. L’intesa, poi concretizzatasi nell’unione tariffaria nel 1828, costituì il primo accordo doganale della Prussia con un vasto stato della Confederazione tedesca, andando a costituire la “zona core” all’interno del futuro Zollverein (la tariffa sancita nell’accordo tra Assia e Prussia sarebbe diventata poi quella dell’intera Unione).
Questo primo nucleo doganale iniziava a minare la stessa filosofia della Confederazione germanica, che era concepita come perpetuazione dello status quo in Germania, mentre una unione doganale condotta da un paese egemone contribuiva a stravolgere l’ordine uscito dal Congresso di Vienna.[15]  Il peso politico, più che commerciale o economico, di questo accordo fu chiaro in quanto non comportava vantaggi sul lato prussiano, quanto su quello dell’Arciducato d’Assia. Tale accordo, tuttavia, rappresentava una sorta di ingresso dell’antico Langraviato nel “sistema politico” della Prussia.
L’anno dell’intesa con l’Assia-Darmstadt fu anche l’anno della reazione alle manovre prussiane di un congruo numero stati della Germania centrale, che nel settembre 1828 addivennero ad un accordo formale per un’area di commercio alternativa, nata con finalità difensive rispetto a quella messa in atto dalla Prussia. Più che come un’area di libero scambio, la Mittledeutcher Handelsverein (siglata tra Hannover, Sassonia, Assia-Kassel, Nassau, Brunswick, principati della Turingia e le città libere di Brema e Francoforte sul Meno) nasceva come un trattato che impegnava gli stati aderenti a non prendere parte ad altre unioni doganali prima della fine del 1834 (in base alla clausola della nazione più favorita), data nella quale l’accordo tra Prussia, Assia e Darmstadt si sarebbe concluso e, inoltre, a non innalzare barriere doganali contro gli stati membri, ma non poneva vincoli di politica economica. Essa era animata sostanzialmente dall’obiettivo di forzare il regno prussiano ad avviare trattative multilaterali con i potenziali paesi aderenti al proprio blocco e mitigare le esternalità negative. [16]

Egemonie contese

Gli statisti prussiani sospettarono l’Austria di essere dietro i tentativi di sovvertire la propria unione doganale per tramite della Mittledeutcher Handelsverein, che infatti vide la luce «con la benedizione di Metternich».[17] Nelle parole rivolte al ministro degli Affari Esteri dal ministro delle Finanze prussiano Friederich Von Maltzen, l’unione di stati centrali tedeschi appariva «favorita e promossa dall’Austria». Veniva agitato il sospetto delle macchinazioni del rivale asburgico finalizzate a far deflagrare il progetto di unione doganale allargata. Tale convinzione si fece strada presso le alte sfere dell’amministrazione prussiana e subito ne fu informata la corte: «l’Austria era dietro l’unione doganale della Germania centrale».[18]
Per quanto dietro le iniziative prussiane non vi fosse l’esplicita intenzione di scalzare l’egemonia austriaca all’interno della Confederazione, tuttavia l’unificazione economica fatta a spese dell’Austria avrebbe consentito alla Prussia di conseguire proprio questo obiettivo. [19] D’altra parte non minore peso avevano i timori, ancora vivi al tempo, di un’invasione francese. La Prussia coltivava l’intenzione di compattare gli stati minori della Confederazione attorno a sé contro un’eventuale minaccia francese, ma per far questo, doveva ridurre il peso politico dell’Austria, quindi i condizionamenti e le influenze austriache su questi paesi (specie quelli viciniori della Germania meridionale). I prussiani, dal canto loro, affermavano che loro politica si esprimeva in conformità alla Legge federale della Confederazione Tedesca (art. 19), che invitava gli stati tedeschi ad avviare contatti intorno ad una armonizzazione doganale finalizzata a comuni interessi commerciali (laddove l’Austria non vi poteva assolvere in virtù della sua politica tradizionalmente protezionistica). L’Austria non poteva che nutrire ostilità verso il trattato prussiano con l’Assia-Darmstadt. In un certo senso la Prussia era ricambiata nella propria ostilità verso l’impero austriaco.
Per quanto riguarda la minaccia rappresentata dalla Francia, ben prima della rivoluzione di luglio del 1830, che sembrò riproporre scenari vecchi di almeno trent’anni, i timori per le ambizioni francesi sul Reno erano abbastanza diffusi. Gli uomini di stato che gettarono le basi per la successiva unione della Germania per mezzo dello Zollverein, apparivano ossessionati dalla paura di una Germania debole e divisa contro un potere monoblocco francese. Friedrich List guardava proprio alla Francia come modello di coesione doganale e unità politica.[20] Al tempo stesso erano ben vivi i ricordi del periodo in cui «da un punto di vista economico la Germania era diventata un satellite della Francia».[21]
I burocrati prussiani dell’epoca della Germania post-napoleonica, che lavorarono alacremente per creare l’Unione doganale prussiana, animati da una profonda francofobia, provenivano per la maggior parte dal servizio nell’amministrazione svolta ai tempi dell’Impero napoleonico (Motz aveva servito in Vestfalia sotto Girolamo Bonaparte). [22] Gli eventi di luglio avrebbero spinto a mettere da parte le acrimonie con gli Asburgo e a un temporaneo riavvicinamento con l’Austria, al quale appariva disposta la monarchia Hohenzollern (nel 1830, come nel 1866, quando Guglielmo I tentò di evitare la guerra con l’Austria).[23]

L’eversione dell’unione doganale centrale
Riguardo la sfida rappresentata dall’unione doganale centrale, i burocrati prussiani meditarono, al fine di contrastarla, financo la guerra economica e la riconsiderazione dei rapporti con alcuni stati facenti parte di essa, in particolare l’Hannover (dietro il quale v’era il sostegno della monarchia inglese, a cui era legato in unione personale) e l’Assia-Kassel. La Prussia considerava tale unione, per citare le parole del già citato Bernstorff, alla stregua di un “aggregato di interessi” ostile.[24]
Nel tentativo di sfilare membri importanti dall’Unione rivale la Prussia perseguiva una strategia di contatti bilaterali, stabilendo trattative esclusive con il paese candidato a entrare nella propria area commerciale. Era la stessa strategia di contatti seguita con l’Assia Darmstadt nel 1828. Facendo ciò essa rifiutava di avviare negoziazioni multilaterali, esercitando tutto il proprio peso politico ed economico e la propria superiorità in termini di persuasione diplomatica nei riguardi di ogni singolo stato potenziale aderente. Questa metodologia fu utilizzata per spingere l’Assia-Kassel, incastonata trai possedimenti prussiani occidentali e orientali, ad abbandonare l’Unione centrale e aderire al blocco prussiano, passaggio che si concretizzò nel 1831, consentendo ai prussiani di realizzare la saldatura tra le proprie province divise territorialmente.
Il ministro delle Finanze prussiano, del resto, era ben consapevole del forte legame che univa l’integrazione economica ad una possibile futura unità politica della Germania. Nelle sue memorie Motz sottolineava:
È una verità politica che importazioni, esportazioni, strumenti di transito sono il risultato delle divisioni politiche (tra gli stati tedeschi, ndt), e ciò è vero, perciò anche l’inverso è altrettanto vero, cioè che l’unificazione di questi stati in una unione tariffaria e commerciale può condurre ad una unificazione in un unico e medesimo sistema politico. [25]
Al fine di concretizzare queste aspirazioni, Motz, Bernstorff (che espresse le medesime posizioni in un memorandum, Denkschrift, del 1831) e gli altri statisti prussiani si adoperano per l’ingresso nello Zollverein della Baviera-Wurttemberg, costituitasi unione doganale propria nel 1827-1828, che fu avviato sin dopo il primo ingresso dell’Assia-Durmstadt. Al 1828 risalgono i primi negoziati segreti e nel 1829 avvenne la firma di un importante accordo commerciale, che fu accompagnato dalla creazione di una rete di strade attraverso Coburgo e Meiningen (stati turingiani parte dell’unione centrale), che avrebbe collegato gli stati del sud a quelli del nord, rendendo di fatto insensata l’unione doganale centrale (un trattato di libera navigazione del Reno siglato tra Prussia e Olanda nel 1831 aprirà altre falle nell’unione centrale, contribuendo alle connessioni con la Baviera).[26] Nel 1833, l’anno prima dell’entrata in funzione dello Zollverein, Baviera, Wurttemberg, Assia-Hesse entrano a tutti gli effetti a far parte dell’Unione doganale prussiana. Le prime due aderirono grazie a laute concessioni, tra cui la possibilità di stringere accordi con stati stranieri. La Prussia, benché conseguisse l’adesione formale di questi stati fondamentali sul piano geopolitico, tuttavia incorporava un rischio concreto di futura scissione e di cambio di fronte, soprattutto con riferimento alla Baviera e al Wurttemberg (e che rimarrà vivo fino alla vigilia della guerra franco-prussiana).
L’ingresso della Baviera infatti è importante non tanto per ragioni economiche, quanto politiche e militari. Solo «in alleanza con la Baviera il fianco della Prussia renana dalla bocca della Saar di Bingen può essere adeguatamente difeso contro la Francia», scrive Motz nelle sue memorie.[27] Complici i sommovimenti rivoluzionari del 1830 in Francia e Paesi Bassi, il rischio infatti di un intervento francese a sostegno dei focolai in Sassonia e Assia-Kassel appariva reale dopo le dichiarazioni pronunciate dal diplomatico Hector Mortier in merito al fatto che la Francia non avrebbe potuto ignorare le attività rivoluzionarie lungo il Reno.[28]

L’istituzione formale dello Zollverein
Gli eventi della rivoluzione di luglio spinsero la Prussia ad accelerare il processo di consolidamento dell’Unione doganale, ferma a un formale trattato commerciale con gli stati meridionali. Dopo due anni di pausa nelle trattative, nel 1831 le negoziazioni furono riaperte da Maassen, intanto divenuto ministro delle Finanze (1830-1834). Nel 1833 infine, tra marzo e maggio, furono conclusi i trattati con cui nasceva lo Zollverein, che sarebbe entrato in vigore il 1° gennaio dell’anno dopo.[29] Esso nasceva dalla fusione tra l’unione Prussia-Assia-Darmstadt e l’unione Baviera-Wurttemberg e incluse la partecipazione della Sassonia e dei principati turingi, con i quali furono stretti accordi che mettevano un punto decisivo alla entrata in funzione dell’Unione doganale. L’adesione della Baviera-Wurttemberg de facto svincolava la Sassonia dalla partecipazione alla Mittledeutcher Handelsverein, che infatti abbandonava in favore dell’altra unione (ottobre 1833).[30]
Dopo l’istituzione formale, il coinvolgimento del Baden (1835) fu il passaggio immediatamente successivo del suo consolidamento. Posto all’intersezione tra Francia, Svizzera e il resto degli stati tedeschi il Granducato costituiva una porta d’accesso fondamentale per i commerci, rimasta isolata dopo l’adesione di Baviera e Wurttemberg. Lo stesso accadde ad altri due importanti stati assiani, Nassau e la libera città di Francoforte, i cui timori per un completo isolamento dai mercati tedeschi avevano portato a sottoscrivere un accordo commerciale con la Francia nel 1835, però poi annullato a beneficio della partecipazione allo Zollverein, Nassau nel 1835 e Francoforte nel 1836. [31]
In particolare la città di Francoforte subiva esternalità negative dalla adesione di Nassau, perdendo lo sbocco alla regione renana. Il fattore dell’economia esterna riveste una importanza fondamentale nel processo di smottamento degli stati tedeschi verso l’unificazione commerciale con la Prussia.[32] La Prussia e gli stati settentrionali detenevano un altro vantaggio competitivo rispetto alle controparti meridionali. Essi, potendo contare sui porti di sblocco aperti ai mercati internazionali, subivano esternalità inferiori rispetto ai mercati meridionali resi asfittici dalla chiusura loro contrapposta dal blocco dello Zollverein. [33] Ciò consentiva agli stati tedeschi settentrionali (riuniti nella Confederazione tedesca del Nord nel 1866) di ridurre le tariffe di importazione e potenziare le rotte verso il Baltico e il Mare del Nord.
Come reazione allo Zollverein Hannover, Brunswick, dopo la fine dell’Unione doganale centrale, conclusero una propria unione nel 1834-1835, con le caratteristiche di una vera unione doganale, denominata Steuerverein (Unione fiscale), alla quale prese parte l’Oldenburg nel 1836 e il principato di Schaumburg-Lippe nel 1838. Essa ebbe fine quando il Brunswick, per rompere anch’esso l’isolamento, optò per l’adesione allo Zollverein (1842), seguito dall’Hannover (legato in unione personale con l’Inghilterra fino al 1837) e dall’Oldemburg nel 1851 e nel 1852, che contribuirono alla saldatura ulteriore delle province prussiane scollegate. [34] I rimanenti stati tedeschi non ancora inglobati furono annessi dopo la guerra austro-prussiana del 1866 (Meclemburgo e Lubecca) o cedettero infine alle pressioni della nuova entità imperiale costituita a Versailles nel 1871, come nel caso di Amburgo e Brema (1888).[35]


Il ruolo degli stati circonvicini
Austria e Francia operarono scarso impegno, dovuto anche a fattori geografici, economici e a blanda volontà politica, nel contrastare la politica di espansione doganale prussiana. La Francia mantenne sempre alte le tariffe doganali impedendo l’ingresso di merci tedesche, ma così facendo contribuiva ad accrescere diseconomie in quegli stati rimasti esclusi dallo Zollverein e che avrebbero avuto bisogno di mercati di sbocco. L’accordo di libero scambio firmato tra Francia e Prussia nel 1862, accettato dalla Prussia su invito di Napoleone III, pose una parola definitiva sui tentativi dell’Austria e degli stati meridionali dello Zollverein di trovare un’alternativa al modello di Unione prussiana, favorendo la decisiva espulsione dell’Austria dagli affari della Confederazione per mezzo della clausola della nazione più favorita.[36] Era la vittoria dei sostenitori della posizione kleindeutsch, ovvero dell’ipotesi di una Germania unificata sotto lo stato prussiano a esclusione dell’Austria, contro quella grossdeutsch, che privilegiava la “grande Germania” comprensiva dell’Austria.[37]
La stessa Austria, sebbene avesse supportato l’Unione degli stati centrali e fosse vicina a quelli meridionali, perseguì sempre una politica fin troppo accomodante verso la Prussia che finì per agevolarne i disegni. Con una crescita economica debole alla metà del secolo se paragonata a quella prussiana, aveva conseguito una sorta di unione doganale interna, armonizzando le tariffe e riducendole durante gli anni ’50 e ’60, implementando una marcata quanto insolita politica liberista, che si spiega  - più che con una conversione degli Asburgo dal protezionismo al liberismo - con la volontà di prendere parte al regime tariffario prussiano e auspicabilmente scalzare la posizione della Prussia, sostituendovisi. [38] Essa però non era pronta ad essere accolta dagli stati di media grandezza dello Zollverein, che avevano attuato politiche di condivisione delle entrate con la Prussia, né quest’ultima intendeva accettarne la partecipazione.[39] Questi stati erano disposti ad accettare una primazia dell’Austria nel Bundestag, non nello Zollverein.  Sebbene l’Austria avesse stabilito un accordo commerciale con lo Zollverein nel 1853, e il ministro austriaco delle Finanze Karl Ludwig von Bruck (1855-1860), avesse proposto l’adesione dell’impero asburgico nella sua interezza nello Zollverein, tale iniziativa incontrò l’opposizione di alcuni gruppi di interesse nell’impero (produttori di ghisa e cotone), timorosi della politica di basse tariffe praticata dai prussiani. Un nuovo futile tentativo di ingresso nel 1865 fu infine anch’esso respinto. L’Austria riuscì comunque a ritagliarsi un ruolo di nazione privilegiata negli scambi con l’unione attorno alla metà degli anni ’50, ma lo perse nel 1865 con il rinnovo dello Zollverein, attuato sulla base del trattato commerciale franco-prussiano.[40]
La Danimarca, soccombente nella guerra con la Prussia nel 1864, il Belgio (separatosi dai Paesi Bassi nel 1830) che non impedì il passaggio del Lussemburgo (sotto la sovranità olandese) nello Zollverein nel 1842, dopo aver tentato esso stesso un’associazione dopo il 1840 (fallita per l’opposizione francese) e la Svizzera, la cui neutralità assoluta era stata sancita a Vienna nel 1815, non compirono anch’essi alcuno sforzo per contrastare i piani prussiani, se non altro per il loro scarso peso economico e politico. [41] Il Belgio del resto era conteso tra mercato integrato francese e prussiano e la stessa neutralità del paese sancita nel 1839 non impediva di stringere unioni doganali con altri stati. [42]
Infine, riguardo alla Gran Bretagna, vi sono due filoni interpretativi in relazione ai rapporti con lo Zollverein, l’uno che risale al già citato von Trieitschke, che riconobbe nella sua creazione la causa dell’inizio dell’ostilità anglo-tedesca (questi storici tedeschi interpretavano l’Unione doganale unicamente come precorritrice della dominazione prussiana nel 1870), e un altro recente, più problematico, che tende a rilevare la sottovalutazione da parte delle autorità inglesi della ricaduta industriale dell’apertura doganale tedesca, nonché le conseguenze politiche dell’Unione prussiana, che avrebbe finito per favorire l’ascesa tedesca in Europa. [43]  John R. Davis ha dimostrato non solo la non ostilità inglese, ma addirittura il sostegno dato dal Regno Unito allo Zollverein, anche durante le sue crisi.[44] Londra ebbe in esso uno dei suoi più importanti mercati di sbocco (incentivata dai bassi dazi) e uguali benefici trassero le industrie tedesche dall’import di prodotti grezzi e finiti dalla Gran Bretagna. La politica del libero commercio inglese, inaugurata in Europa con il trattato Cobden-Chevalier del 1860 tra Inghilterra e Francia, travalicava i confini dei singoli stati, venendo considerata separata e in qualche modo prioritaria rispetto alla politica delle relazioni internazionali. [45]

I paralleli storici

Un altro esempio di unione doganale, dove però l’unificazione politica ha preceduto quella economica (che ne è stata la conseguenza diretta), è rappresentato dalla Confederazione degli Stati Uniti d’America. Questa, dopo aver conseguito l’indipendenza dalla Gran Bretagna, si costituì come unione doganale tra aree economiche del tutto diverse: il Nord industriale e il Sud agricolo, il primo, ad alta intensità di capitale, con peculiarità protezioniste dovute al processo embrionale di industrializzazione e il secondo, fondato invece sull’apporto massiccio di manodopera, improntato all’economia del libero scambio. La materia della regolazione della circolazione economica tra gli stati confederali non era stata affrontata dalla prima Costituzione americana e da tale vacatio derivò disordine economico, cui si rispose in maniera definitiva soltanto con la Costituzione del 1787.[46] L’ordinamento doganale americano, secondo un disegno fatto a misura degli interessi del Nord, ammise protezione tariffaria per i beni industriali, laddove invece quelli agricoli, prodotti dal Sud, erano esposti alla concorrenza internazionale. Nel caso americano quindi unificazione politica ed economica sono state perseguite si può dire simultaneamente.
Per passare a un altro caso, così come lo Zollverein anche l’Unione europea, che ha assunto le caratteristiche di un mercato comune, non limitandosi alle possibilità di transito delle merci, ma anche delle persone, dei servizi, dei capitali (che quindi la mette in marcia verso una più stretta interrelazione con inevitabili sbocchi politici a meno di insuccessi), è nata come unione doganale propria. In questo senso essa operò all’inizio, in base al Trattato di Roma (entrato in vigore nel 1958), la rimozione degli impedimenti al transito delle merci e l’istituzione di una tariffa esterna comune (TEC), attuata solo nel 1968. Allo stesso modo dell’Unione europea, che da comunità economica intende convertirsi in unione politica, lo Zollverein fu inteso da Bismarck con la riforma del 1867 come strumento per conseguire una definitiva unificazione politica, attraverso la creazione di un Consiglio doganale e di un Parlamento doganale (Zollparlament) che erano i tentativi di convertire in termini politici un primato economico già conseguito dalla Prussia.
Si può dire in conclusione, sulla base di questi brevi esempi, che «processi di unificazione politica e processi di unificazione economica possono non solo coesistere, ma anche vicendevolmente condizionarsi».[47] Inoltre, «la mancanza di un disegno politico di unificazione può creare ostacoli insormontabili ai progetti di unificazione economica, ma sembra non valere il contrario», nel senso che è possibile concepire una unione politica disgiunta da quella economica.[48] Le associazioni economiche «possono funzionare semplicemente perché gli stati membri credono di avere più da guadagnare dalla partecipazione… che dalla non partecipazione», mentre gli stessi stati a livello individuale conservano la loro sovranità.[49] Qui è chiaro il significato del successo dello Zollverein: la presenza sin dall’inizio di un intento politico ha favorito il conseguimento della base economica, finalizzata al raggiungimento di una successiva unificazione politica. Per stare all’altro caso, ovvero della coesione politica disgiunta da quella economica, l’unità politica dell’Austria-Ungheria esisteva in assenza di una convergenza tra le due economie (quella austriaca a carattere industriale tendenzialmente protezionistica, quella ungherese di tipo agrario più aperta al laissez-faire, sebbene in una certa misura complementari), anche se essa andò attenuandosi sempre più dopo il compromesso del 1867 e la costituzione della duplice monarchia. [50]

Conclusioni

L’Unione doganale tedesca servì dunque, immediatamente dopo il conseguimento dell’indipendenza dalla Francia, come strumento della Prussia per affrancarsi dal suo dominio e per legare a sé gli stati disposti a nord del Meno, al fine di inibire la minaccia dell’egemonia francese (obiettivo che si pose lo stesso “sistema bismarckiano” di alleanze europeo). L’impatto della politica economica di armonizzazione tra i regimi tariffari (che fruttava un forte incremento delle entrate fiscali), incentivata dalla spinta ad aprirsi a mercati nuovi (o a vie rimaste precluse dalla barriera dello Zollverein), ebbe ricadute inevitabilmente politiche, pesando sull’assetto degli stati confederali e spingendo a una loro sempre più forte coesione.[51] Infine, una volta estromessa definitivamente l’Austria come potenza gravitante attorno alla Confederazione, formalmente abolita, lo Zollverein esaurì il suo ruolo, venendo inglobato nella neonata struttura federale imperiale.



[1] Florian Ploeckl, The Zollverein and the formation of a customs union, University of Oxford, Discussion Papers in Economic and Social History, n. 84, August 2010, p. 5.
[2] Ibidem.
[3] Volker Hentschel, Politica economica e sociale tedesca, 1815-1939, in Valerio Castronovo (a cura di), «Storia economica Cambridge», vol. viii, t. 2, Einaudi, Torino 1992, p. 185.
[4] William Otto Henderson, The state and the industrial revolution in Prussia. 1740-1870, Liverpool University Press, 1967, pp. 89-90.
[5] Roman Szporluk, Comunism and nationalism: Karl Marx versus Friedrich List, Oxford University Press, 1988, pp. 105-106.
[6] R. Szporluk, Comunism and nationalism cit. pp. 101-106.
[7] Ivi, p. 106 ss.
[8] W. O. Henderson, The state and the industrial revolution cit. pp. Xiii-xxiii.
[9] Jurgen Kocka, Impresa e organizzazione manageriale nell’industrializzazione tedesca, in Valerio Castronovo (a cura di), «Storia economica Cambridge», vol. vii, t. 1, Einaudi, Torino 1979, p. 657.
[10] R. H. Tilly, La formazione del capitale in Germania nel secolo XIX, in «Storia economica Cambridge» cit., pp. 516-517.
[11] Wolfgang Keller, Carol Hua Shiue, The trade impact of the Zollverein, CEPR Discussion Paper No. DP9387, March 2013, pp. 1-5.
[12] David S. Landes, Cambiamenti tecnologici e sviluppo industriale nell’Europa occidentale, 1750-1914, in Valerio Castronovo (a c. di), «Storia economica Cambridge», vol. vi, Einaudi, Torino 1974, pp. 411-412.
[13] William Otto Henderson, Friedrich List, economist and visionary. 1789-1846, Routledge, 2004, p. 42.
[14] W. O. Henderson, The state and the industrial revolution cit. p. 90.
[15] Hegen Schulze, Storia della Germania, Donzelli, Roma 2000, p. 83.
[16] F. Ploeckl, The Zollverein cit. p. 18
[17] William Otto Henderson, The rise of German industrial power. 1834-1914, University of California Press, Los Angeles 1975, p. 35.
[18] John Murphy, Prussian aims for the Zollverein, 1828-1833, in « The Historian » 53 (December 1991), p. 290
[19] J. Murphy, Prussian aims cit. p. 291
[20] W. Keller, C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 6.
[21] W. O. Henderson, The rise of German industrial power cit. p. 29.
[22] J. Murphy, Prussian aims cit. p. 296
[23] Ivi, pp. 297-98; John Breuilly, The formation of the first german nation-state, 1800-1871, Mcmillan-St. Martin’s, 1996, trad. it. Marco Santoro, La formazione dello stato nazionale tedesco, Il Mulino, Bologna 2004, p. 103.
[24] J. Murphy, Prussian aims cit. p. 293
[25] Ivi, p. 296
[26] Ivi, p. 301; F. Ploeckl, The Zollverein cit. pp. 19-20; W. O. Henderson, The state and the industrial revolution cit. p. 94.
[27] J. Murphy, Prussian aims cit. p. 297
[28] Ivi, p. 300
[29] Ivi, p. 300
[30] F. Ploeckl, The Zollverein cit. pp. 20-21
[31] Ivi, p. 22
[32] Ivi, pp. 8-12
[33] Ivi, p. 23
[34] W. Keller, C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 9.
[35] Ibidem.
[36] V. Hentschel, Politica economica e sociale tedesca cit. pp. 188-189; W. O. Henderson, The rise of German industrial power cit. p. 153.
[37] J. Breuilly, The formation cit. pp. 11-15.
[38] Scott M. Eddie, Politica economica e sviluppo dell’economia nell’Austria-Ungheria, 1867-1913, in Valerio Castronovo (a c. di), «Storia economica Cambridge», vol. viii, t. 2, Einaudi, Torino 1992, pp. 254-256.
[39] John Breuilly, Austria, Prussia and the making of Germany: 1806-1871, Routledge, 2nd. Edition, 2011, p. 60
[40] J. Breuilly, The formation cit., pp. 55-56. W. O. Henderson, The rise of German industrial power cit. p. 155.
[41] F. Ploeckl, The Zollverein cit. p. 24
[42] W. O. Henderson, Friedrich List cit. p. 95
[43] Cfr. John R. Davis, Britain and the German Zollverein. 1848-1866, St Martin’s Press, New York 1998.
[44] James M. Brophy, Britain and the German Zollverein 1848-66, by John R. Davis, in «Victorian Studies», vol. 42, no. 1 (Autumn, 1998 - Autumn, 1999), pp. 149-151.
[45] Ibidem.
[46] Paolo Gramatica, Economia e tecnica degli scambi internazionali, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 509-523.
[47] P. Gramatica, Economia e tecnica degli scambi, p. 523.
[48] Ibidem.
[49] J. Breuilly, The formation cit., pp. 35-36.
[50] S. M. Eddie, Politica economica e sviluppo cit. pp. 270-271.
[51] W. Keller, C. H. Shiue. The trade impact cit. p. 31.

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