Lo
Scisma d’Oriente del 1054
Il
prevalere delle fazioni più estremiste in seno alle Chiese romana e
costantinopolitana determinò la rottura delle relazioni tra il patriarcato bizantino
e il papato nel 1054, così come ad agire nel senso della separazione furono le
manovre del patriarca Michele Cerulario, subentrato ad Alessio nel 1043. I
tentativi operati da alcuni storici di ricondurre la rottura dei rapporti
ecclesiastici agli eventi successivi alla scomunica di Cerulario del 1054 (in
particolare al sacco crociato del 1204), piuttosto che alle infruttuose
trattative sull’Unione che portarono alle reciproche scomuniche di Cerulario e
Leone IX, appaiono inesatti, in quanto lo scisma fra Roma e Bisanzio risulta
già compiuto alla metà dell’XI secolo, come dimostrato proprio dalle trattative
per l’Unione in questa fase.
Michele Cerulario, miniatura del XII secolo |
Il retroterra storico e
politico della frattura fra Roma e Bisanzio (nota come Scisma d’Oriente) è
quello della rivolta di Melo da Bari contro la dominazione bizantina (1009),
appoggiato dai Longobardi e successivamente dai Normanni. Al centro c’era il
conflitto più generale che animava il contesto geopolitico del Mezzogiorno e i possedimenti
bizantini in Puglia e Campania, contesi tra il IX secolo e l’XI secolo fra tre
potenze: il papato, l’Impero di Germania e quello di Bisanzio. Una quarta
potenza, quella musulmana, ruotava attorno a questo scenario, anche se la sua
presenza territoriale nel Sud Italia era divenuta ormai irrilevante nell’XI
secolo (se si esclude la Sicilia, in mano alla dinastia araba dei Kalbiti, che
vedrà cadere Palermo in mano normanna nel 1072). Una quinta forza, quella dei
Longobardi, era ormai marginalizzata (Bari era stata un gastaldato longobardo)
e ridotta all’obbedienza imperiale e pontificia, per quanto depositaria di fasce
di autonomia.
Le questioni dottrinarie,
al pari delle vicende politiche e belliche, ebbero un loro peso nell’aggravare
lo iato religioso tra Oriente e Occidente, in particolare la questione della
Processione dello Spirito Santo (vertente sul fatto se la Terza persona dello
Spirito dovesse considerarsi procedente dalla prima e non insieme dalla prima e
dalla seconda come nella liturgia occidentale), comunemente nota come questione
del “filioque”, ma i conflitti per il potere ebbero un ruolo decisivo nel
determinare la rottura, come l’appoggio del papa alla rivolta di Melo e l’avvicinamento
del papato all’Impero di Germania nel contesto della lotta contro gli Arabi e i
Bizantini, le due principali potenze mediterranee del tempo.
Dalla rottura con
Bisanzio in poi, sanzionata dalle bolle di scomunica emesse da Leone IX e
Michele Cerulario, il papato volgerà per sempre le spalle a Bisanzio. Eppure,
per secoli, i papi non avevano smesso di considerarsi parte di una compagine
imperiale i cui unici depositari erano gli imperatori di Costantinopoli (dove
il basileus poteva considerarsi unico
legittimo successore degli imperatori romani), il cui primato era stato contestato
dall’evento dell’impero di Germania (noto come Sacro Romano Impero). Roma, che
fino all’VIII secolo permane bizantina, con la conquista carolingia e la
successiva incoronazione di Carlo Magno a imperatore, cessò di riconoscersi
nella Pars Orientis, per assegnare un
nuovo ruolo all’Impero carolingio all’interno dell’Europa cristiana. Carlo
Magno al tempo stesso, ricevendo l’investitura papale, rafforzava l’autorità
del papa e indeboliva quella dell’Impero bizantino, a quel tempo guidato da una
imperatrice donna, Irene, mentre infuriava la lotta iconoclasta.[1] Poco dopo il consumarsi
dello Scisma d’Oriente, però, la lotta per le investiture avrebbe incrinato
profondamente i rapporti tra papato e Impero di Germania.
Come sottolineano
Giovanni Tabacco e Grado G. Merlo, la disputa in materia disciplinare tra Roma
e i patriarcati orientali concorse a determinare la rottura del 1054: «…l’anima della resistenza bizantina agli
sviluppi dell’idea papale romana fu Michele Cerulario, patriarca di
Costantinopoli, altrettanto energico propugnatore dell’autonomia ecclesiastica
di fronte al potere del principe […] quanto avversario di una supremazia romana
che non si mantenesse nei termini di un primato soprattutto onorifico».[2] Le più importanti sedi
episcopali d’Oriente, ovvero le sedi patriarcali di Costantinopoli, Antiochia,
Gerusalemme e Alessandria, difendevano infatti l’antico ordinamento
pentarchico, risalente all’origine della storia cristiana e all’assetto
stabilito dai primi concili, ma una direzione collegiale della Chiesa non era
nelle minime intenzioni del papato. Al tempo stesso però Cerulario era
sostenitore di un’autocefalia costantinopolitana che contrastava con
l’aspirazione ad una monarchia universale del papato e che al tempo stesso
contraddiceva la pentarchia difesa dai patriarcati orientali.
Su un piano parallelo al
conflitto di ordine disciplinare c’era la disputa sulla liturgia e la
giurisdizione delle chiese dell’Italia meridionale, di non minore peso nel
contesto delle lotte tra Normanni e Bizantini e tra questi ultimi e i
Longobardi per il predominio e il controllo del Sud Italia. L’arrivo dei primi
contingenti di uomini provenienti dalla Normandia non è chiaro se sia stato
provocato da un esplicito invito rivolto dal principe di Salerno Guaimario IV,
costretto a difendersi dalle incursioni saracene, ma di sicuro i primi Normanni
giunti nel Mezzogiorno (250 all’inizio del XI secolo, giunti fino a 2500 alla
fine del secolo) si schierarono a favore del ribelle Melo. [3] L’emigrazione normanna era
funzionale ai vari interessi delle parti coinvolte nella lotta del Mezzogiorno,
tanto ai Longobardi per sostenere lo scontro con Bisanzio, quanto ai ribelli
capeggiati da Melo, per conseguire una emancipazione da quest’ultima, nonché al
papato stesso, di cui in futuro diverranno braccio d’azione (inquadrati
legalmente come vassalli del potere pontificio).[4] La rivolta di Melo,
appoggiato dal principato di Salerno, favorì peraltro l’ingresso delle bande
mercenarie normanne. Già tra il 1011 e il 1013 il catepano Basilio Mesardonites
riusciva però a ristabilire l’ordine, riprendendo Bari e nel 1018 presso Canne
le forze normanne venivano decimate.[5] L’appoggio stesso alla
causa di Melo da parte del papato deve essere letto in chiave antibizantina,
sul cui sfondo si pone la questione liturgica della volontà del papato di
ristabilire l’autorità e giurisdizione pontificie e quindi anche la liturgia
latina sul Mezzogiorno (fenomeno che nella storia del cristianesimo prende il
nome di Rekatholisierung). [6]
Un altro campo di scontro
per il controllo delle chiese e nello specifico del monopolio
dell’evangelizzazione erano i Balcani e l’area slava, dove era in atto da circa
due secoli il passaggio degli slavi al cristianesimo. [7] Il conflitto tra Chiesa
greca e romana riguardava la conversione degli Slavi in Serbia e Macedonia,
nonché in Russia (questi ultimi convertiti a partire dal X secolo). Disputato
era anche il controllo della Chiesa bulgara, passata all’obbedienza
costantinopolitana con la conversione di re Boris (dopo il battesimo Michele), che
il patriarcato di Bisanzio affermava per questo motivo essere
incontrovertibilmente sotto la propria giurisdizione. Proprio sul controllo
della Chiesa bulgara si verificò il primo grande scontro tra Bisanzio e Roma quando
il patriarca Fozio fece scomunicare dal sinodo di Costantinopoli papa Niccolò
per le intrusioni papali nelle vicende bizantine, appellandosi al “filioque”.[8]
Il Mezzogiorno era
naturalmente rivendicato anche dall’impero di Germania, dove gli imperatori
dopo Ottone I rivendicarono i territori della Langobardia minor alla sovranità imperiale. Alle rivendicazioni
dell’Impero si sommavano quelle del papato che, facendo leva sull’apocrifa Donatio Constantini, aspirava ad
affermare il proprio dominio sui territori italici. La rottura della comunione
tra le Chiese d’Oriente e Occidente va colta inoltre nel contesto più generale
dello scontro proprio tra i due imperi, ovvero tra l’Impero di Germania e l’Impero
bizantino. La necessità di un accordo tra papato e Impero germanico (nel 1052
Leone si incontrava con Enrico III per convincerlo a scendere in Italia contro
i Normanni), risalente però a tempo addietro all’anno ufficiale della rottura
dei rapporti ecclesiastici tra Oriente e Occidente, era motivata dall’esigenza
di confronto, in particolare del papato, da un lato contro i Bizantini e
dall’altro contro gli Arabi.
La figura di Michele
Cerulario è del resto particolare e andrebbe analizzata maggiormente per capire
le cause dello scisma. Essa denota un tratto di leadership e ambizione non
sconosciuta ai patriarchi costantinopolitani. Nel 1040, tre anni prima di
succedere al patriarcato, fu coinvolto in una congiura ordita contro
l’imperatore Michele IV Paflagone (1034-1041) e sostenuta da ambienti
aristocratici. Secondo Giovanni Skylitze sarebbe stato il Cerulario candidato
al trono per succedere a Michele IV. [9] Con l’ascesa di Costantino
IX Monomaco (1042-1055), Cerulario divenne uno dei più stretti consiglieri del basileus. Dopo la nomina a protosincello
da parte di Alessio, carica che ne faceva di fatto il successore, con la morte
di questi, venne elevato al patriarcato. Già dopo l’elevazione al soglio
patriarcale, Michele non inaugurava la carica all’insegna dei buoni rapporti
con Roma, decidendo di non inviare la lettera sinodale, con cui veniva
annunciata la successione, a Benedetto IX. Lo stesso nome del papa non veniva
pronunciato durante gli uffici liturgici, ma ciò avveniva già dai tempi in cui
sulla cattedra patriarcale sedeva Sergio (999-1019), durante il pontificato di
Giovanni XVIII. [10]
Mentre ciò accadeva sul
piano dei rapporti tra patriarcati orientali e papato, ancora nei domini
bizantini pugliesi il figlio del ribelle Melo (morto a Bamberga nel 1020 dove
veniva solennemente tumulato nella Cattedrale per volere di un riconoscente
Enrico II), Argiro, nonostante fosse stato allevato a Bisanzio dove era stato
tradotto in giovane età per essere educato al costume bizantino, tornava a
condurre la rivolta nel contesto di una lotta dinastica in seno all’impero. All’inizio
sostenuto da Normanni e Longobardi, dopo un acuto ripensamento veniva nominato
catepano, segnando la riconciliazione (per quanto temporanea) con Bisanzio dopo
i falliti tentativi del generale bizantino Giorgio Maniace di riconquistare il
Sud Italia con la forza. Evidente il cambio di politica maturato alla corte di
Costantino IX, dove si comprese che la priorità doveva essere non combattere il
ribelle Argiro, ma il crescente peso dei Normanni nella regione (invisi tanto
al papato, quanto ai bizantini). I Normanni, privati del loro capo, in quanto
Argiro era stato nominato dalle bande mercenarie normanne nel 1042 “principe e duca
d’Italia”, si rivolsero al principe di Salerno Guaimario.[11] Argiro, nel tentativo di
liquidare la questione normanna, si fece latore di un accordo tra papato, Impero
di Germania (su cui regnava Enrico III) e basileus
d’Oriente contro i Normanni. Di portata geniale il disegno di Argiro e di
Costantino IX, che se fosse andato in porto avrebbe potuto mettere fuori gioco
le fazioni “separatiste” in seno alla due Chiese, consentendo di unire gli
sforzi contro i Normanni.
Tale accordo, potendo
determinare un ripristino della normalità dei rapporti tra Roma e Bisanzio,
avrebbe potuto nuocere all’autonomia del patriarcato di Costantinopoli, spesso
in competizione, come si è già visto, con l’imperatore bizantino. Difatti
Cerulario, alla testa del partito antiromano maggioritario in Costantinopoli,
prese misure volte ad aggravare i rapporti già tesi con Roma, come l’ordine di
chiusura delle chiese e dei monasteri di rito latino a Costantinopoli
appellandosi alla questione degli azzimi, decisa dopo aver ricevuto uno scritto
del melkita Ibn Botlan.[12]
La vittoria conseguita
dai Normanni a Civitate nel 1053 (18 giugno), dove trovava la disfatta una
coalizione di forze comprendenti cavalieri tedeschi, conti latini (longobardi) e
forze bizantine, che non riuscirono a congiungersi sul campo grazie all’estrema
rapidità dell’azione normanna, scompaginava il quadro. Leone IX veniva fatto
prigioniero dai Normanni (23 giugno), segnando la sconfitta completa dei
progetti del papato (e di Bisanzio) di liberarsi del crescente peso delle bande
di Normanni ormai infeudate nel Mezzogiorno. I Normanni sarebbero in seguito
venuti a patto con il papato con la firma nel 1059 del concordato di Melfi e
con il matrimonio tra Roberto il Guiscardo e Sichelgaita, figlia di Guaimario
IV, imprimendo un carattere chiaramente antibizantino alla futura monarchia
normanna di Sicilia. Tale accordo avrebbe comportato il passaggio degli
eventuali territori strappati al potere bizantino dalla giurisdizione
ecclesiale bizantina a quella romana.
A Bisanzio la sconfitta
del progetto argiriano e pontificio faceva scatenare i sostenitori di Cerulario
che provocavano una violenta campagna pubblicitaria contro Roma. Nel 1053 la
tensione tra Roma e Bisanzio è leggibile nella lettera inviata dall’arcivescovo
Leone di Ochrida all’omologo Giovanni di Trani in cui venivano denunciati i delitti
dei “latini”. Tra le accuse imputate alle chiese di rito latino l’uso del pane
azimo durante la cerimonia dell’eucarestia, proibito a Bisanzio, dove si faceva
ricorso al pane fermentato. [13]Il documento di Leone,
trasmesso a Leone IX, suscitò una altrettanto piccata risposta del cardinale
Umberto di Silvacandida, capo del partito anti-bizantino a Roma.
Un ultimo ma fallimentare
tentativo di intesa con il patriarcato venne cercato proprio da Leone IX con
l’invio (nel gennaio 1054) di una delegazione a Costantinopoli, di cui facevano
parte, oltre allo stesso Umberto di Silvacandida, il cancelliere Federico di
Lorena e l’arcivescovo Pietro di Amalfi. Giunti nel 1054 nella capitale
bizantina i delegati vennero volutamente presentati da Michele Cerulario,
sempre deciso a ostacolare qualsiasi possibilità di accordo col papato, agli
occhi di Costantino IX come emissari del “ribelle” Argiro. I legati, sperando
in un appoggio dell’imperatore, pronto a sacrificare Cerulario per mantenere la
pace con Roma, il 16 luglio 1054 scomunicarono Cerulario depositando una bolla
di scomunica sull’altare di Santa Sofia. [14] C’è da notare che
l’ambasceria, dopo la morte di Leone intervenuta ad aprile (poche settimane
dopo la liberazione dalla prigionia), non avrebbe più dovuto avere valore, ma
essa proseguì ugualmente il proprio mandato, agevolando i tentativi di
Cerulario di delegittimarla. [15] Il potente patriarca per
tutta risposta, suscitò un tumulto in Costantinopoli per evitare ogni contatto
tra la delegazione e il basileus,
minando definitivamente qualsiasi possibilità di riconciliazione. Alla
scomunica della delegazione romana, a seguito del riallineamento del debole e
altalenante Costantino IX sulle posizioni del patriarca, seguì naturalmente la
scomunica da parte del sinodo residenziale verso i legati latini, mentre
l’imperatore provvedeva a far bruciare l’anatema lasciato da Umberto da
Silvacandida unitamente alla bolla di scomunica.[16]
Per quanto i tentativi di
riappacificazione e contatti si siano avuti dopo il 1054, come quelli operati
da Gregorio VII e Michele VII Ducas o quelli di Urbano II con Alessio I
Comneno, tuttavia nessuna trattativa ebbe esito completo. Un episodio
importante fu il Concilio di Bari del 1098, che vide riuniti 189 padri tra il 4
e il 10 ottobre di quell’anno. Urbano II, la cui attività iniziale a favore
dell’Oriente cristiano è considerata all’origine della prima crociata,
intendeva riallacciare i rapporti con l’Oriente e nel far questo trovava una
convergenza di interessi con Ruggero “il Granconte”, favorevole su questo
punto. Quest’ultimo, impegnato nell’opera di consolidamento dello stato
normanno in Sicilia e nel Sud Italia, non nutriva ambizioni antibizantine come
il predecessore Roberto il Guiscardo, desiderando chiudere la controversia per
favorire il rafforzamento dei suoi domini, dove rilevante era la componente
greca. [17]
La separazione definitiva
tra Chiesa orientale e occidentale, già di fatto esistente ai tempi della
contesa tra Cerulario e il partito di cui era capo Umberto, oltre ad essere
indicativa di una posizione di debolezza dell’Impero di Bisanzio e al tempo
stesso di una gran forza assunta dalle rispettive sedi patriarcali di Roma e
Costantinopoli, costituì un evento di portata negativa per Bisanzio che così
cessava di poter aspirare a un dominio universale e conseguentemente falliva
nel riappropriarsi dei territori dell’Italia meridionale (nel 1071 con la
conquista di Bari avveniva la cacciata dei Bizantini dal Meridione). Lo
strapotere assunto dalla sede patriarcale divenne manifesto quando, alla morte
di Costantino Monomaco, Cerulario si adoperò per contrastare il successore
designato da Teodora (moglie di Constatino, succeduta al marito), Michele VI
Stratiotico, sostenendo la sedizione delle truppe d’Asia guidate da Isacco
Comneno, iniziatore della dinastia dei Comneni. Ma fu proprio l’ascesa di
Isacco a segnare l’inizio del declino della potenza politica di Cerulario.
Bibliografia
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Concilio di Bari del 1098, Atti del convegno storico
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Salvatore Palese e Giancarlo Locatelli, Edipuglia, Bari 1999
Note
[1]
Massimo Montanari, Storia Medievale,
Laterza, Roma-Bari 2002, p. 62.
[2]
Giovanni Tabacco, Grado G. Merlo, Medioevo,
Il Mulino, Bologna 1981, 1989, ed. spec. RCS libri, Milano 2004, pp. 216-217.
[3]
Hubert Houben, I Normanni, Il Mulino,
Bologna 2013, p. 60.
[4]
Salvatore Tramontana, Il mezzogiorno dai
Normanni agli Svevi, in La
storia: i grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, a cura di Nicola Tranfaglia, Massimo Firpo, vol.
II, tomo 2, “Il Medioevo”, Utet, Torino 1986, pp. 494-495.
[5]
Pasquale Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia. Nuovi
studi, Vito Radio editore, Putignano 2012, p. 32.
[6]
P. Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia,
cit., pp. 33, 129.
[7]
Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri
originali di un’età di transizione, Sansoni, Firenze, 2000, pp. 186-188.
[8]
Georg Ostrogorsky, Storia
dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1968, 1999, p. 211.
[10]
Cesare Alzati, La Chiesa ortodossa,
in Cristianesimo, a cura di Giovanni
Filoramo, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 468.
[11]
Vera Von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia
meridionale. Dal IX all’XI secolo, Ecumenica editrice, Bari 1978, p. 61.
[12]
C. Alzati, La Chiesa ortodossa, cit.,
ivi.
[13]
Tra gli altri motivi di contrasto fra le due chiese, già denunciati dal
patriarca costantinopolitano Fozio, il digiuno quaresimale del sabato, la confermazione
episcopale e il divieto di matrimonio dei preti.
[14]
P. Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia, cit.,
p. 36. L’imperatore era sinceramente disposto a un accordo in extremis con il papato, cosciente del fatto che i domini
bizantini in Italia versavano in uno stato disastroso, mentre la cattività del
papa acuiva la minaccia normanna.
[15]
Michel Parisse, Leone IX, papa, santo,
in Dizionario Biografico degli Italiani,
vol. 64, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005
<http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-ix-papa-santo_(Dizionario-Biografico)/>
[16]
C. Alzati, La Chiesa ortodossa, cit.,
p. 469.
[17]
Carmelo Capizzi, Il concilio di Bari
(1098): riflessi e silenzi nella tradizione bizantina e nella storiografia
orientale, in «Il Concilio di Bari del 1098», Atti del Convegno storico
internazionale e celebrazioni del IX centenario del Concilio, a cura di
Salvatore Palese e Giancarlo Locatelli, Edipuglia, Bari 1999, pp. 72-75.
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