lunedì 27 aprile 2020

Lo Scisma d’Oriente del 1054


Lo Scisma d’Oriente del 1054



Il prevalere delle fazioni più estremiste in seno alle Chiese romana e costantinopolitana determinò la rottura delle relazioni tra il patriarcato bizantino e il papato nel 1054, così come ad agire nel senso della separazione furono le manovre del patriarca Michele Cerulario, subentrato ad Alessio nel 1043. I tentativi operati da alcuni storici di ricondurre la rottura dei rapporti ecclesiastici agli eventi successivi alla scomunica di Cerulario del 1054 (in particolare al sacco crociato del 1204), piuttosto che alle infruttuose trattative sull’Unione che portarono alle reciproche scomuniche di Cerulario e Leone IX, appaiono inesatti, in quanto lo scisma fra Roma e Bisanzio risulta già compiuto alla metà dell’XI secolo, come dimostrato proprio dalle trattative per l’Unione in questa fase.



Michele Cerulario, miniatura del XII secolo



Il retroterra storico e politico della frattura fra Roma e Bisanzio (nota come Scisma d’Oriente) è quello della rivolta di Melo da Bari contro la dominazione bizantina (1009), appoggiato dai Longobardi e successivamente dai Normanni. Al centro c’era il conflitto più generale che animava il contesto geopolitico del Mezzogiorno e i possedimenti bizantini in Puglia e Campania, contesi tra il IX secolo e l’XI secolo fra tre potenze: il papato, l’Impero di Germania e quello di Bisanzio. Una quarta potenza, quella musulmana, ruotava attorno a questo scenario, anche se la sua presenza territoriale nel Sud Italia era divenuta ormai irrilevante nell’XI secolo (se si esclude la Sicilia, in mano alla dinastia araba dei Kalbiti, che vedrà cadere Palermo in mano normanna nel 1072). Una quinta forza, quella dei Longobardi, era ormai marginalizzata (Bari era stata un gastaldato longobardo) e ridotta all’obbedienza imperiale e pontificia, per quanto depositaria di fasce di autonomia.

Le questioni dottrinarie, al pari delle vicende politiche e belliche, ebbero un loro peso nell’aggravare lo iato religioso tra Oriente e Occidente, in particolare la questione della Processione dello Spirito Santo (vertente sul fatto se la Terza persona dello Spirito dovesse considerarsi procedente dalla prima e non insieme dalla prima e dalla seconda come nella liturgia occidentale), comunemente nota come questione del “filioque”, ma i conflitti per il potere ebbero un ruolo decisivo nel determinare la rottura, come l’appoggio del papa alla rivolta di Melo e l’avvicinamento del papato all’Impero di Germania nel contesto della lotta contro gli Arabi e i Bizantini, le due principali potenze mediterranee del tempo. 

Dalla rottura con Bisanzio in poi, sanzionata dalle bolle di scomunica emesse da Leone IX e Michele Cerulario, il papato volgerà per sempre le spalle a Bisanzio. Eppure, per secoli, i papi non avevano smesso di considerarsi parte di una compagine imperiale i cui unici depositari erano gli imperatori di Costantinopoli (dove il basileus poteva considerarsi unico legittimo successore degli imperatori romani), il cui primato era stato contestato dall’evento dell’impero di Germania (noto come Sacro Romano Impero). Roma, che fino all’VIII secolo permane bizantina, con la conquista carolingia e la successiva incoronazione di Carlo Magno a imperatore, cessò di riconoscersi nella Pars Orientis, per assegnare un nuovo ruolo all’Impero carolingio all’interno dell’Europa cristiana. Carlo Magno al tempo stesso, ricevendo l’investitura papale, rafforzava l’autorità del papa e indeboliva quella dell’Impero bizantino, a quel tempo guidato da una imperatrice donna, Irene, mentre infuriava la lotta iconoclasta.[1] Poco dopo il consumarsi dello Scisma d’Oriente, però, la lotta per le investiture avrebbe incrinato profondamente i rapporti tra papato e Impero di Germania. 

Come sottolineano Giovanni Tabacco e Grado G. Merlo, la disputa in materia disciplinare tra Roma e i patriarcati orientali concorse a determinare la rottura del 1054: «…l’anima della resistenza bizantina agli sviluppi dell’idea papale romana fu Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, altrettanto energico propugnatore dell’autonomia ecclesiastica di fronte al potere del principe […] quanto avversario di una supremazia romana che non si mantenesse nei termini di un primato soprattutto onorifico».[2] Le più importanti sedi episcopali d’Oriente, ovvero le sedi patriarcali di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria, difendevano infatti l’antico ordinamento pentarchico, risalente all’origine della storia cristiana e all’assetto stabilito dai primi concili, ma una direzione collegiale della Chiesa non era nelle minime intenzioni del papato. Al tempo stesso però Cerulario era sostenitore di un’autocefalia costantinopolitana che contrastava con l’aspirazione ad una monarchia universale del papato e che al tempo stesso contraddiceva la pentarchia difesa dai patriarcati orientali. 

Su un piano parallelo al conflitto di ordine disciplinare c’era la disputa sulla liturgia e la giurisdizione delle chiese dell’Italia meridionale, di non minore peso nel contesto delle lotte tra Normanni e Bizantini e tra questi ultimi e i Longobardi per il predominio e il controllo del Sud Italia. L’arrivo dei primi contingenti di uomini provenienti dalla Normandia non è chiaro se sia stato provocato da un esplicito invito rivolto dal principe di Salerno Guaimario IV, costretto a difendersi dalle incursioni saracene, ma di sicuro i primi Normanni giunti nel Mezzogiorno (250 all’inizio del XI secolo, giunti fino a 2500 alla fine del secolo) si schierarono a favore del ribelle Melo. [3] L’emigrazione normanna era funzionale ai vari interessi delle parti coinvolte nella lotta del Mezzogiorno, tanto ai Longobardi per sostenere lo scontro con Bisanzio, quanto ai ribelli capeggiati da Melo, per conseguire una emancipazione da quest’ultima, nonché al papato stesso, di cui in futuro diverranno braccio d’azione (inquadrati legalmente come vassalli del potere pontificio).[4] La rivolta di Melo, appoggiato dal principato di Salerno, favorì peraltro l’ingresso delle bande mercenarie normanne. Già tra il 1011 e il 1013 il catepano Basilio Mesardonites riusciva però a ristabilire l’ordine, riprendendo Bari e nel 1018 presso Canne le forze normanne venivano decimate.[5] L’appoggio stesso alla causa di Melo da parte del papato deve essere letto in chiave antibizantina, sul cui sfondo si pone la questione liturgica della volontà del papato di ristabilire l’autorità e giurisdizione pontificie e quindi anche la liturgia latina sul Mezzogiorno (fenomeno che nella storia del cristianesimo prende il nome di Rekatholisierung). [6]
 
Un altro campo di scontro per il controllo delle chiese e nello specifico del monopolio dell’evangelizzazione erano i Balcani e l’area slava, dove era in atto da circa due secoli il passaggio degli slavi al cristianesimo. [7] Il conflitto tra Chiesa greca e romana riguardava la conversione degli Slavi in Serbia e Macedonia, nonché in Russia (questi ultimi convertiti a partire dal X secolo). Disputato era anche il controllo della Chiesa bulgara, passata all’obbedienza costantinopolitana con la conversione di re Boris (dopo il battesimo Michele), che il patriarcato di Bisanzio affermava per questo motivo essere incontrovertibilmente sotto la propria giurisdizione. Proprio sul controllo della Chiesa bulgara si verificò il primo grande scontro tra Bisanzio e Roma quando il patriarca Fozio fece scomunicare dal sinodo di Costantinopoli papa Niccolò per le intrusioni papali nelle vicende bizantine, appellandosi al “filioque”.[8]

Il Mezzogiorno era naturalmente rivendicato anche dall’impero di Germania, dove gli imperatori dopo Ottone I rivendicarono i territori della Langobardia minor alla sovranità imperiale. Alle rivendicazioni dell’Impero si sommavano quelle del papato che, facendo leva sull’apocrifa Donatio Constantini, aspirava ad affermare il proprio dominio sui territori italici. La rottura della comunione tra le Chiese d’Oriente e Occidente va colta inoltre nel contesto più generale dello scontro proprio tra i due imperi, ovvero tra l’Impero di Germania e l’Impero bizantino. La necessità di un accordo tra papato e Impero germanico (nel 1052 Leone si incontrava con Enrico III per convincerlo a scendere in Italia contro i Normanni), risalente però a tempo addietro all’anno ufficiale della rottura dei rapporti ecclesiastici tra Oriente e Occidente, era motivata dall’esigenza di confronto, in particolare del papato, da un lato contro i Bizantini e dall’altro contro gli Arabi.

La figura di Michele Cerulario è del resto particolare e andrebbe analizzata maggiormente per capire le cause dello scisma. Essa denota un tratto di leadership e ambizione non sconosciuta ai patriarchi costantinopolitani. Nel 1040, tre anni prima di succedere al patriarcato, fu coinvolto in una congiura ordita contro l’imperatore Michele IV Paflagone (1034-1041) e sostenuta da ambienti aristocratici. Secondo Giovanni Skylitze sarebbe stato il Cerulario candidato al trono per succedere a Michele IV. [9] Con l’ascesa di Costantino IX Monomaco (1042-1055), Cerulario divenne uno dei più stretti consiglieri del basileus. Dopo la nomina a protosincello da parte di Alessio, carica che ne faceva di fatto il successore, con la morte di questi, venne elevato al patriarcato. Già dopo l’elevazione al soglio patriarcale, Michele non inaugurava la carica all’insegna dei buoni rapporti con Roma, decidendo di non inviare la lettera sinodale, con cui veniva annunciata la successione, a Benedetto IX. Lo stesso nome del papa non veniva pronunciato durante gli uffici liturgici, ma ciò avveniva già dai tempi in cui sulla cattedra patriarcale sedeva Sergio (999-1019), durante il pontificato di Giovanni XVIII. [10]

Mentre ciò accadeva sul piano dei rapporti tra patriarcati orientali e papato, ancora nei domini bizantini pugliesi il figlio del ribelle Melo (morto a Bamberga nel 1020 dove veniva solennemente tumulato nella Cattedrale per volere di un riconoscente Enrico II), Argiro, nonostante fosse stato allevato a Bisanzio dove era stato tradotto in giovane età per essere educato al costume bizantino, tornava a condurre la rivolta nel contesto di una lotta dinastica in seno all’impero. All’inizio sostenuto da Normanni e Longobardi, dopo un acuto ripensamento veniva nominato catepano, segnando la riconciliazione (per quanto temporanea) con Bisanzio dopo i falliti tentativi del generale bizantino Giorgio Maniace di riconquistare il Sud Italia con la forza. Evidente il cambio di politica maturato alla corte di Costantino IX, dove si comprese che la priorità doveva essere non combattere il ribelle Argiro, ma il crescente peso dei Normanni nella regione (invisi tanto al papato, quanto ai bizantini). I Normanni, privati del loro capo, in quanto Argiro era stato nominato dalle bande mercenarie normanne nel 1042 “principe e duca d’Italia”, si rivolsero al principe di Salerno Guaimario.[11] Argiro, nel tentativo di liquidare la questione normanna, si fece latore di un accordo tra papato, Impero di Germania (su cui regnava Enrico III) e basileus d’Oriente contro i Normanni. Di portata geniale il disegno di Argiro e di Costantino IX, che se fosse andato in porto avrebbe potuto mettere fuori gioco le fazioni “separatiste” in seno alla due Chiese, consentendo di unire gli sforzi contro i Normanni. 

Tale accordo, potendo determinare un ripristino della normalità dei rapporti tra Roma e Bisanzio, avrebbe potuto nuocere all’autonomia del patriarcato di Costantinopoli, spesso in competizione, come si è già visto, con l’imperatore bizantino. Difatti Cerulario, alla testa del partito antiromano maggioritario in Costantinopoli, prese misure volte ad aggravare i rapporti già tesi con Roma, come l’ordine di chiusura delle chiese e dei monasteri di rito latino a Costantinopoli appellandosi alla questione degli azzimi, decisa dopo aver ricevuto uno scritto del melkita Ibn Botlan.[12]

La vittoria conseguita dai Normanni a Civitate nel 1053 (18 giugno), dove trovava la disfatta una coalizione di forze comprendenti cavalieri tedeschi, conti latini (longobardi) e forze bizantine, che non riuscirono a congiungersi sul campo grazie all’estrema rapidità dell’azione normanna, scompaginava il quadro. Leone IX veniva fatto prigioniero dai Normanni (23 giugno), segnando la sconfitta completa dei progetti del papato (e di Bisanzio) di liberarsi del crescente peso delle bande di Normanni ormai infeudate nel Mezzogiorno. I Normanni sarebbero in seguito venuti a patto con il papato con la firma nel 1059 del concordato di Melfi e con il matrimonio tra Roberto il Guiscardo e Sichelgaita, figlia di Guaimario IV, imprimendo un carattere chiaramente antibizantino alla futura monarchia normanna di Sicilia. Tale accordo avrebbe comportato il passaggio degli eventuali territori strappati al potere bizantino dalla giurisdizione ecclesiale bizantina a quella romana.  

A Bisanzio la sconfitta del progetto argiriano e pontificio faceva scatenare i sostenitori di Cerulario che provocavano una violenta campagna pubblicitaria contro Roma. Nel 1053 la tensione tra Roma e Bisanzio è leggibile nella lettera inviata dall’arcivescovo Leone di Ochrida all’omologo Giovanni di Trani in cui venivano denunciati i delitti dei “latini”. Tra le accuse imputate alle chiese di rito latino l’uso del pane azimo durante la cerimonia dell’eucarestia, proibito a Bisanzio, dove si faceva ricorso al pane fermentato. [13]Il documento di Leone, trasmesso a Leone IX, suscitò una altrettanto piccata risposta del cardinale Umberto di Silvacandida, capo del partito anti-bizantino a Roma. 

Un ultimo ma fallimentare tentativo di intesa con il patriarcato venne cercato proprio da Leone IX con l’invio (nel gennaio 1054) di una delegazione a Costantinopoli, di cui facevano parte, oltre allo stesso Umberto di Silvacandida, il cancelliere Federico di Lorena e l’arcivescovo Pietro di Amalfi. Giunti nel 1054 nella capitale bizantina i delegati vennero volutamente presentati da Michele Cerulario, sempre deciso a ostacolare qualsiasi possibilità di accordo col papato, agli occhi di Costantino IX come emissari del “ribelle” Argiro. I legati, sperando in un appoggio dell’imperatore, pronto a sacrificare Cerulario per mantenere la pace con Roma, il 16 luglio 1054 scomunicarono Cerulario depositando una bolla di scomunica sull’altare di Santa Sofia. [14] C’è da notare che l’ambasceria, dopo la morte di Leone intervenuta ad aprile (poche settimane dopo la liberazione dalla prigionia), non avrebbe più dovuto avere valore, ma essa proseguì ugualmente il proprio mandato, agevolando i tentativi di Cerulario di delegittimarla. [15] Il potente patriarca per tutta risposta, suscitò un tumulto in Costantinopoli per evitare ogni contatto tra la delegazione e il basileus, minando definitivamente qualsiasi possibilità di riconciliazione. Alla scomunica della delegazione romana, a seguito del riallineamento del debole e altalenante Costantino IX sulle posizioni del patriarca, seguì naturalmente la scomunica da parte del sinodo residenziale verso i legati latini, mentre l’imperatore provvedeva a far bruciare l’anatema lasciato da Umberto da Silvacandida unitamente alla bolla di scomunica.[16]

Per quanto i tentativi di riappacificazione e contatti si siano avuti dopo il 1054, come quelli operati da Gregorio VII e Michele VII Ducas o quelli di Urbano II con Alessio I Comneno, tuttavia nessuna trattativa ebbe esito completo. Un episodio importante fu il Concilio di Bari del 1098, che vide riuniti 189 padri tra il 4 e il 10 ottobre di quell’anno. Urbano II, la cui attività iniziale a favore dell’Oriente cristiano è considerata all’origine della prima crociata, intendeva riallacciare i rapporti con l’Oriente e nel far questo trovava una convergenza di interessi con Ruggero “il Granconte”, favorevole su questo punto. Quest’ultimo, impegnato nell’opera di consolidamento dello stato normanno in Sicilia e nel Sud Italia, non nutriva ambizioni antibizantine come il predecessore Roberto il Guiscardo, desiderando chiudere la controversia per favorire il rafforzamento dei suoi domini, dove rilevante era la componente greca. [17]
 
La separazione definitiva tra Chiesa orientale e occidentale, già di fatto esistente ai tempi della contesa tra Cerulario e il partito di cui era capo Umberto, oltre ad essere indicativa di una posizione di debolezza dell’Impero di Bisanzio e al tempo stesso di una gran forza assunta dalle rispettive sedi patriarcali di Roma e Costantinopoli, costituì un evento di portata negativa per Bisanzio che così cessava di poter aspirare a un dominio universale e conseguentemente falliva nel riappropriarsi dei territori dell’Italia meridionale (nel 1071 con la conquista di Bari avveniva la cacciata dei Bizantini dal Meridione). Lo strapotere assunto dalla sede patriarcale divenne manifesto quando, alla morte di Costantino Monomaco, Cerulario si adoperò per contrastare il successore designato da Teodora (moglie di Constatino, succeduta al marito), Michele VI Stratiotico, sostenendo la sedizione delle truppe d’Asia guidate da Isacco Comneno, iniziatore della dinastia dei Comneni. Ma fu proprio l’ascesa di Isacco a segnare l’inizio del declino della potenza politica di Cerulario.





Bibliografia

Cesare Alzati, La Chiesa ortodossa, in Cristianesimo, a cura di Giovanni Filoramo, Laterza, Roma-Bari 2004
Pasquale Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia. Nuovi studi, Vito Radio editore, Putignano 2012
Giulio Gay, L’Italia meridionale e l’impero bizantino. Dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (876-1071), Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese 1978
Georg Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1968, 1999
Michel Parisse, Leone IX, papa, santo, in Dizionario Biografico degli Italiani , vol. 64, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005 <http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-ix-papa-santo_(Dizionario-Biografico)/>

Armando Petrucci, ARGIRO, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 4, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1964 < http://www.treccani.it/enciclopedia/argiro_(Dizionario-Biografico)/>

Berardo Pio, MELO da Bari, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 73, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2009 < http://www.treccani.it/enciclopedia/melo-da-bari_(Dizionario-Biografico)/>

Giovanni Tabacco, Grado G. Merlo, Medioevo, Il Mulino, Bologna 1981, 1989, ed. spec. RCS libri, Milano 2004
Salvatore Tramontana, Il mezzogiorno dai Normanni agli Svevi, in La storia: i grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, a cura di Nicola Tranfaglia, Massimo Firpo, vol. II, tomo 2, “Il Medioevo”, Utet, Torino 1986
Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Firenze, 2000
Vera Von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale. Dal IX all’XI secolo, Ecumenica editrice, Bari 1978.
Il Concilio di Bari del 1098, Atti del convegno storico internazionale e celebrazioni del IX centenario del Concilio, a cura di Salvatore Palese e Giancarlo Locatelli, Edipuglia, Bari 1999

 Note

[1] Massimo Montanari, Storia Medievale, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 62.
[2] Giovanni Tabacco, Grado G. Merlo, Medioevo, Il Mulino, Bologna 1981, 1989, ed. spec. RCS libri, Milano 2004, pp. 216-217.
[3] Hubert Houben, I Normanni, Il Mulino, Bologna 2013, p. 60.
[4] Salvatore Tramontana, Il mezzogiorno dai Normanni agli Svevi, in La storia: i grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, a cura di Nicola Tranfaglia, Massimo Firpo, vol. II, tomo 2, “Il Medioevo”, Utet, Torino 1986, pp. 494-495.
[5] Pasquale Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia. Nuovi studi, Vito Radio editore, Putignano 2012, p. 32.
[6] P. Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 33, 129.
[7] Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Firenze, 2000, pp. 186-188.
[8] Georg Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1968, 1999, p. 211.
[9] P. Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia, cit., p.  34.
[10] Cesare Alzati, La Chiesa ortodossa, in Cristianesimo, a cura di Giovanni Filoramo, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 468.
[11] Vera Von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale. Dal IX all’XI secolo, Ecumenica editrice, Bari 1978, p. 61.
[12] C. Alzati, La Chiesa ortodossa, cit., ivi.
[13] Tra gli altri motivi di contrasto fra le due chiese, già denunciati dal patriarca costantinopolitano Fozio, il digiuno quaresimale del sabato, la confermazione episcopale e il divieto di matrimonio dei preti.
[14] P. Corsi, Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia, cit., p. 36. L’imperatore era sinceramente disposto a un accordo in extremis con il papato, cosciente del fatto che i domini bizantini in Italia versavano in uno stato disastroso, mentre la cattività del papa acuiva la minaccia normanna.  
[15] Michel Parisse, Leone IX, papa, santo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 64, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2005 <http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-ix-papa-santo_(Dizionario-Biografico)/>
[16] C. Alzati, La Chiesa ortodossa, cit., p. 469.
[17] Carmelo Capizzi, Il concilio di Bari (1098): riflessi e silenzi nella tradizione bizantina e nella storiografia orientale, in «Il Concilio di Bari del 1098», Atti del Convegno storico internazionale e celebrazioni del IX centenario del Concilio, a cura di Salvatore Palese e Giancarlo Locatelli, Edipuglia, Bari 1999, pp. 72-75.

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