lunedì 27 aprile 2020

Antiche e nuove rotte eurasiatiche



Antiche e nuove rotte eurasiatiche e attualità della "via della seta"



Se per il giurista tedesco Carl Schmitt ("Terra e mare") l'epoca aurea del dominio dell’Occidente conosce il suo preludio negli anni dell’apertura delle rotte atlantiche e con la proiezione sui mari di una potenza (l’Inghilterra) un tempo "terranea", l’inizio di una nuova fase cinese di egemonia e predominio nel contesto eurasiatico può forse dirsi aperta oggi tramite la rivitalizzazione degli antichi tracciati delle vie della seta che interconnettono le due estremità dell’Eurasia operata da parte di una potenza da sempre "terranea" ovvero continentale come la Cina


Il progetto di Pechino, noto come “One Belt, One Road” (OBOR nell’acronimo inglese), comporta la realizzazione di una imponente rete infrastrutturale tra la Cina e l'Europa lungo il continente eurasiatico. Complementare al progetto delle nuove vie della seta è la Banca asiatica di investimento per le infrastrutture (AIIB), che ha il compito di promuovere lo sviluppo delle opere infrastrutturali in Asia e quindi anche di favorire la realizzazione del progetto che ha in mente Pechino.


(tratta da https://icebergfinanza.finanza.com/2019/03/13/brexit-e-la-via-della-seta/)


Breve storia della via della seta

Nel corso della storia la via della seta ha costituito un asse privilegiato dei rapporti culturali, commerciali e politici tra Europa e Asia. Prima dell’avvio della predominanza europea cinque secoli fa il cuore dell’Eurasia era appunto la Cina, che deteneva il dominio dell’economia mondiale e lo esercitava per mezzo della via della seta, a partire dalla dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.). Questa rete di collegamenti irregolari tra le due sponde del continente, faceva dell’Eurasia un’area dal punto di vista della vitalità economica e culturale unitaria. Ma già prima, sin dall’epoca ellenistica, la storia di Europa e Asia è stata fortemente intrecciata come dimostrano Cardini e Vanoli nel loro testo dedicato all'argomento[1].

La via della seta, tra il 130 a.C. e il 300 d.C. si articolava lungo due direttrici, una marittima, l’altra terrestre, interconnettendo l’impero cinese con l’India, l’impero Kushana, il regno dei Parti e l’impero romano. La prima direttrice, quella marittima, partiva dal porto di Canton, passava per l’istmo di Kra e poi, dopo gli scali di Poduca e Mizeris in India, giungeva a Barbaricon, nell’attuale Pakistan, per poi sboccare nel Mar Rosso fino a Berenice e Alessandria. Una seconda diramazione da Barbaricon, passando per il Golfo Persico, giungeva alla foce del Tigri e dell’Eufrate, per poi risalire lungo il loro corso verso Ctesifonte, capitale dell’impero persiano, e Seleucia. Di qui, così come ad Alessandria e Berenice, o a Tiro e Petra, le merci asiatiche e cinesi venivano smerciate in tutto il mondo conosciuto. Il ramo terrestre della via della seta partiva dalla Cina, in particolare da Chang’an e Luoyang, e attraversata la porta di Giada (che univa la Cina all’Asia centrale), dopo aver transitato nel deserto del Taklamakan, giungeva lungo alcuni corridoi nel Turkestan, fino a Bukhara e di qui si congiungeva a Seleucia e Ctesifonte. 

Lungo i tracciati delle vie della seta si produsse un vero e proprio sincretismo culturale, come appare evidente nell’arte del Gandhara, a cavallo di Pakistan e Afghanistan attuali, tra il I a.C. e il IV-V secolo d.C. Lo stile dell’arte buddista del Gandhara si distingue per un repertorio che unisce influssi greci e romani a quelli tipici della cultura delle steppe: le rappresentazioni del Buddha presentano vesti greco-ellenistiche e atteggiamenti caratteristici dell’arte mediterranea, accanto a elementi tipici dell’iconografia indiana buddista (i lobi delle orecchie allungati, oppure i gesti delle mani) o che ricordano, per mezzo del riferimento al cavallo, il sostrato nomadico della cultura del Gandhara.[2]

Con la conquista islamica delle regioni orientali dell’impero bizantino e la contestuale caduta dell’impero persiano sasanide, il tratto occidentale della via della seta entrò a far parte dei circuiti commerciali musulmani che inglobarono, oltre alle regioni che erano state parte dell’impero bizantino (Egitto, Siria, Nordafrica), la macro-regione mesopotamico-iranica. Quest’ultima saldò direttamente l’Europa con le direttrici commerciali centroasiatiche. 

Se ai tempi dei bizantini le conoscenze geografiche erano ferme all’area persiana, con la conquista musulmana (VII sec.) tutta l’area mediorientale viene coinvolta all'interno di una vasta rete commerciale unitaria che giunge fino alle estreme propaggini orientali, nel Sind, ai confini con l’India e oltre. L’oceano indiano divenne un vasto bacino commerciale, il più grande al mondo almeno fino all’arrivo dei portoghesi, dominato dai mercanti musulmani, persiani ed ebrei e aperto ai commerci e ai contatti tra India, Cina, penisola arabica, Africa ed Europa.

Mentre negli stessi secoli dell’espansione islamica è in atto il “rinascimento carolingio”, che tuttavia ignora pressoché la sapienza greca, in Oriente il califfato abbaside (e poi anche quello fatimita) si fa erede della tradizione greca. Lungo tutto l’arco dell’impero una ricca e articolata cultura filosofica (dal Maghreb al Kazakistan), grazie ai contatti costanti con il mondo indiano e cinese, riscopre il valore dei classici greci, reinterpretandone il significato e spesso integrandone l’eredità in una nuova sintesi greco-araba che sarà fondamentale per la storia culturale del mondo.[3] Come sostengono Cardini e Vanoli, senza la via della seta il Canone di medicina di Avicenna semplicemente non esisterebbe  e gli avanzamenti nel campo della geodesia e della geografia, della matematica e dell’astronomia non sarebbero stati possibili[4].

Con le invasioni mongole, che definiscono una vasta area a controllo turco-mongolo dalla Cina, al Caucaso, fino al Vicino Oriente e alla Russia, le vie della seta riprendono vita e conoscono un fiorire di commerci e contatti, incentivati dalle stesse autorità mongole. A sfruttare la pax mongolica vi furono mercanti italiani (veneziani e genovesi), così come predicatori cattolici che aprirono la strada alla scoperta e all’esplorazione di un mondo rivolto a Oriente fino ad allora ritenuto pressoché sconosciuto e avvolto tra le nebbie del mito. Uno dei più importanti di questi mercanti italiani fu il veneziano Marco Polo, che ci ha restituito la storia del suo viaggio nell'opera "Il Milione", scritta sotto dettatura da parte di Rustichello da Pisa quando era in carcere a Genova. 

Polo, partito nel 1271 da Laiazzo in Turchia, impiegò più di tre anni per raggiungere la Cina. Il suo percorso, attraversate la Mesopotamia e la Persia centromeridionale, si riallacciò poi a uno dei bracci della Via della seta nell’Asia centrale, risalendo il Pamir e attraversando il Turkestan orientale e la porzione meridionale del deserto del Gobi, fino a raggiungere Pechino (che Polo chiama «Cambaluc», da Khanbaliq «città del sovrano»). Ottenuta la fiducia dell'imperatore della nuova dinastia mongola che governava la Cina, Kublai Khan, ebbe l'incarico di fare ispezioni e missioni politico-amministrative all’interno dell’impero [5]. Assolti gli incarichi presso la corte di Pechino, decise di rientrare a Venezia verso la fine del secolo, giungendo a nella città natale nel 1295. Poco dopo, forse in occasione della battaglia navale di Curzola (settembre 1298), fu catturato dai genovesi. Nel corso di tale prigionia, come già detto, scrisse la sua opera più nota.  


Note




[1] Franco Cardini, Alessandro Vanoli, La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente, il Mulino, Bologna 2017.

[2] F. Cardini, A. Vanoli, La via della seta, cit., pp. 93-95.

[3] Loris Sturlese, Filosofia nel Medioevo, Carocci, Roma 2014, p. 29.

[4] F. Cardini, A. Vanoli, La via della seta, cit., p. 138.

[5] Polo, Marco Dizionario di Storia (2011)




[Bibliografia utile alla comprensione del progetto della moderna via della seta]

-Caracciolo, Lucio (genn. 2017), La Cina s’avvicina, l’America s’allontana, Limes “Cina-Usa. La sfida”, pp. 7-30. 

-Cardini, Franco, Vanoli, Alessandro (2017), La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente, Bologna: Il Mulino. 

-Cicalese, Pasquale (2018), Il nuovo paradigma cinese, Accessibile al sito: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/28780-il-qnuovo-paradigmaq-cinese (accesso: 18/03/2018). 

-Grappi, Giorgio (2017), Il confucianesimo logistico che cambia il mondo, Limes “Cina-Usa. La sfida”, pp. 163-168. 

-Losurdo, Domenico (13 ott. 2017), La nuova via della seta e il dialogo tra le civiltà, testo presentato al Forum «Cina e UE. I nodi politici ed economici nell’orizzonte della “nuova via della seta” e di una “nuova mondializzazione”». 

-Mango, Cyril (2004), La civiltà bizantina, Milano: RCS Quotidiani. 

-Maringiò, Francesco (2015), Cinque punti sul dibattito politico cinese, “Marx in Cina. Appunti sulla Repubblica popolare cinese oggi”, pp. 95-107. 

-Mingardi, Alberto (13 mar. 2018), I demagoghi della nazione, Accessibile al sito: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2018-03-13/i-demagoghi-nazione183016.shtmlUuid=aehexbbe (accesso: 18/03/2018). 

-Schmitt, Carl (2002), Terra e mare, Milano: Adelphi, pp. 66-74. 

-Schmitt, Carl (1991), Il nomos della Terra nel diritto internazionale dello “Jus publicum Europaeum”, Milano: Adelphi edizioni, pp. 30-103.

 -Sturlese, Loris (2014), Filosofia nel Medioevo, Roma: Carocci. 

-Zhang Jian, Dong Yifan (genn. 2017), AIIB e vie della seta due facce della stessa medaglia, Limes “Cina-Usa. La sfida”, pp. 67-73.

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