domenica 26 aprile 2020

Storia della schiavitù negli Stati Uniti, dalle origini alla prima ricostruzione




 
LA CONDIZIONE DEGLI AFROAMERICANI NEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DALLE ORIGINI ALLA PRIMA RICOSTRUZIONE 


 
Un'animazione che mostra i territori e gli Stati che proibivano o permettevano la pratica della schiavitù negli USA tra gli anni 1789-1861.



Nel 1835 esisteva nel Sud degli Stati Uniti una legge che proibiva agli schiavi neri di muoversi da uno stato all’altro; per potersi spostare era necessario che mostrassero un permesso firmato dal padrone delle piantagioni delle quali erano schiavi.[1] In seguito questa legge fu estesa anche ai neri liberi, non schiavi. La sanzione per la violazione della legge consisteva nel pagamento di una cifra astronomica per i neri schiavi, mentre per gli afroamericani liberi la sanzione era la perdita della libertà. La sanzione li riportava alla condizione di schiavitù. Questo era uno dei principali motivi per cui attraversare la frontiera tra uno stato e l’altro era sempre stato un miraggio per i neri, liberi o schiavi che fossero. Più di un secolo dopo l’abolizione della schiavitù (avvenuta durante la guerra civile), esistevano ancora leggi che vincolavano la libertà di movimento dei neri. Essi potevano spostarsi ma dovevano prendere certi autobus a loro destinati, dovevano utilizzare determinate sale d’attesa alle stazioni, certi ristoranti. Inoltre gli uomini e le donne di colore, in particolare nei treni e negli autobus, dovevano alzarsi dai sedili quando un bianco lo richiedeva oppure lasciare una sala d’attesa sempre su richiesta di un bianco. La segregazione negli Stati Uniti non era solo uno strumento di divisione, ma anche di oppressione. Essa segnava il confine tra due razze ma soprattutto tra due mondi, quello bianco al potere e quello nero inerme davanti all’uomo bianco.



La data ufficiale dell’inizio della schiavitù in America è il 1619, anno in cui sbarcarono a Jamestown in Virginia, venti africani provenienti dall’Angola, all’epoca colonia portoghese (a trasportarli furono pirati olandesi che li avevano strappati a un carico portoghese).[2] Questi uomini non erano cristiani come i primi neri giunti nelle Americhe, non erano per così dire protetti dalla morale cristiana, quindi potevano essere sottoposti a detenzione, puniti e uccisi; gli africani erano la risposta al problema dei pochi servi bianchi (contrattisti vincolati e engagés[3]) che diminuirono notevolmente a causa di carestie e malattie, nonché della scarsità di indigeni. Gli africani fornirono così lavoro in quantità massiccia e soprattutto a basso prezzo, superando per numero i contrattisti bianchi soltanto nel penultimo decennio del XVII secolo. [4]

Nel 1661 la schiavitù fu legalmente istituita in Virginia, il numero degli schiavi neri aumentò in modo esponenziale, quindi si decise di creare un codice di condotta chiamato Virgin slave code per l’assoggettamento degli schiavi africani. Dal 1685 vigeva invece nelle Indie occidentali francesi il Code Noire introdotto da Luigi XIV, che regolamentava la schiavitù ma assegnando agli schiavi neri liberati gli stessi diritti dei bianchi (non facendo dunque distinzione di razza tra bianchi e neri liberi).

Il Virgin slave code consisteva in due regole: lo schiavo non poteva allontanarsi dalla piantagione e non era possibile ribellarsi al volere del suo padrone; era punito con la frusta o per le colpe più gravi con l’impiccagione. La conversione al cristianesimo da parte degli schiavi africani non cambiò assolutamente il loro status, la loro situazione rimase di fatto immutata. Ciò si affermò in particolare nelle colonie inglesi, dove leggi e consuetudini a poco a poco instaurarono un regime di separazione razziale a partire dal XVII secolo (specie Barbados e Virginia).[5] Il modello della società di piantagione nato nelle colonie inglesi fu punto di partenza del pregiudizio razziale contro i neri e il punto d’origine storico della segregazione razziale che caratterizzerà secoli più tardi gli Stati Uniti. [6]

La schiavitù si estese a macchia d’olio così in altri stati: nel Maryland nel 1663, nel North e South Carolina i gli schiavi neri giunsero nel 1680 e in Georgia, dove la schiavitù fu imposta per legge nel 1750. Lo storico inglese Philip D. Morgan ha sintetizzato la progressiva estensione della schiavitù nelle colonie, in particolare del Sud, con le seguenti parole: «Il pilastro su cui si regge l’intero stato del Sud è la schiavitù, il Sud è passato da società con schiavi, a società schiavista»[7]. Questa è una distinzione fondamentale, in quanto si è soliti distinguere tra società con schiavi, in cui la schiavitù era compresa ma senza che vi si fondasse al di sopra, e società schiavista, in cui il ruolo della schiavitù è essenziale per il sistema economico. Quest’ultimo fu certamente il caso del Sud degli Stati Uniti fino allo scoppio della guerra civile.

Nel Nord America in generale la schiavitù durante il XVII e il XVIII secolo fu un fenomeno complessivamente limitato rispetto ai Caraibi e al Brasile (fatta eccezione per la Carolina e la Georgia dove vigeva lo schiavismo caraibico). Qui la percentuale di schiavi importati dall’Africa fu minore (il 4 % del totale delle Americhe) e la possibilità di riproduzione della popolazione schiavile molto più alta a causa delle migliori condizioni di vita e della minore diffusione dell’economia di piantagione.[8] Non bisogna dimenticare però che a gestire il traffico nei Caraibi, dove si concentrava la popolazione di schiavi neri, era il governo inglese e che i traghettatori di schiavi erano i portoghesi, i cui legami economici con Londra erano strettissimi.

Del resto, sin da subito la complicità nello sfruttamento della schiavitù di allargò anche al Nord. [9] Uno studio della storica Anne Farrow ha dimostrato come gli interessi degli schiavisti del Sud fossero fortemente collegati a quelli delle borghesie settentrionali. Tale connessione contribuirà al decollo economico americano nel XIX secolo. Nel 1711 venne istituito a New York il mercato di schiavi presso Wall Street, dove fornì laute occasioni di profitto anche ai primi banchieri che accettavano gli schiavi come “garanzia”. Il sistema di produzione del cotone, pur incentrato sul Sud, arricchiva anche banchieri, assicuratori e armatori del Nord. [10] Ha notato la storica Lisa Lindsay che in termini molto concreti, l’economia e la società di tutto il Paese erano condizionate dalla schiavitù degli stati meridionali.



Nell’anno 1800 in America del Nord il rapporto di schiavi neri nelle piantagioni sul totale della popolazione nera era di 1 a 10. Ma nel 1860 questo rapporto salì a 2 a 3. Con l’apporto della sgranatrice Eli Whitney la produzione del cotone infatti all’inizio del XIX secolo era divenuta sempre più fruttuosa diffondendo sempre più il sistema di piantagione.[11]

Lo scoppio della guerra d’Indipendenza tra coloni e Gran Bretagna al Nord fu letto come un’occasione per legare la battaglia per la libertà dei coloni contro gli inglesi con quella dei neri per la loro indipendenza dai bianchi. Il parallelismo dimostra una verità insopprimibile: la libertà dei coloni avrebbe comportato la schiavizzazione dei nativi e dei neri. Così la schiavitù fu usata contro la Gran Bretagna, l’impero che aveva imposto il commercio degli schiavi, come arma per reclamare la libertà da una madrepatria che sembrava tutelare più i neri e gli indiani, che i coloni di pelle bianca. [12]

Nel 1775 il Congresso approvò la risoluzione con la quale si fermava l’importazione degli schiavi; l’anno successivo Thomas Jefferson aveva preparato un discorso che si scagliava fortemente contro la schiavitù, ma fu considerato dalla delegazione delle colonie del Sud inaccettabile e quindi fu stralciato. A dispetto degli enunciati retorici però, Jefferson, così come altri padri fondatori come James Madison e George Washington, erano implicati nel commercio degli schiavi, essendone ampi possessore, avendo interesse affinché la schiavitù permanesse intatta nelle colonie.

Ciononostante, gli afroamericani combatterono nella guerra d’indipendenza. Dopo alcune riluttanze, George Washington si convinse ad arruolare nel suo esercito i neri soltanto dopo che il governatore inglese della Virginia offrì ai neri che si arruolavano vitto e libertà. Addirittura, alcuni stati come quello di New York promisero la libertà agli schiavi neri se si fossero arruolati. Alla fine della guerra circa cinquemila neri presero parte alla guerra, combattendo nell’esercito di Washington, mentre altri schiavi fuggirono dai loro padroni e altri ancora si nascosero dietro le linee inglesi. Molti scapparono dal Sud al Nord del Paese e alla fine della guerra alcuni schiavi avevano conquistato la libertà, mentre molti altri furono reclamati dai loro padroni.

Ci furono alcune figure politiche importanti che si batterono contro la schiavitù, ma solo alcuni stati come la Pennsylvania, il Massachusetts, New York, New Jersey, Connecticut e Rhode Island abolirono istantaneamente o gradualmente la schiavitù, infatti altri stati bandirono solo il traffico di schiavi. Gli stati del Sud passarono al contrattacco e nel 1787 si riunì il Congresso per varare la Costituzione e discutere le norme di rappresentanza politica, l’ordinamento del commercio degli schiavi e le pratiche sui servi afroamericani fuggiti durante la guerra.

Benjamin Franklin era stato incaricato di presentare e far approvare l’atto di abolizione del commercio degli schiavi, ma la reazione delle delegazioni Sudiste fu talmente forte che rinunciò, rischiando una totale rottura fra stati del Nord e del Sud. La Costituzione invitò gli stati ad abolire il commercio degli schiavi entro il 1808 (data dell’abolizione in Gran Bretagna della partecipazione dei propri cittadini alla tratta), ma la seduta del Congresso di Filadelfia del 1787, che condusse alla revisione della Costituzione federale, segnò ugualmente l’inizio della crisi morale degli Stati Uniti, non attribuendo ai neri alcun diritto civile, né tantomeno politico.[13] La costituzione degli Stati Uniti adottata nel 1787 poneva esplicitamente il divieto di modificare la norma che riguardava la tratta internazionale fino al 1808. [14]

Nel 1790 quasi la totale maggioranza della popolazione nera risiedeva al Sud, dove il sistema delle piantagioni richiedeva più manodopera. La fine della guerra di indipendenza avviò un processo di trasformazione economica che condusse alla progressiva industrializzazione. Nel 1783 il mercato del tabacco improvvisamente declinò, le piantagioni entrarono in recessione e il mercato degli schiavi si bloccò.

La grande fortuna dei proprietari del Sud fu che la Gran Bretagna stava vivendo la fase della Rivoluzione industriale: i progressi tecnici avevano permesso la lavorazione del cotone per i tessuti, così nel 1786 apparvero le prime piantagioni di cotone in Georgia, North e South Carolina e poi giorno dopo giorno andarono moltiplicandosi, portando presto tutto il Sud in una fase di crescita economica e di benessere.

Proprio in quegli anni gli schiavi di Haiti, dove risiedevano metà del milione di schiavi che popolavano le colonie dei Caraibi, e delle West Indies (le Indie Occidentali) erano in rivolta contro l’esercito francese di Napoleone e le notizie di queste rivolte portarono sconforto e timore negli Stati Uniti, dove da una parte gli schiavi erano diventati indispensabili per la produzione del cotone e dall’altro lato suscitavano paure irrazionali.[15] Alla fine prevalse la logica del profitto che guidava la produzione di cotone. I tassi di profitto erano così alti, specie nei Caraibi, dove imperversava la produzione saccarifera, che «i piantatori calcolarono che fosse più economico sfruttare uno schiavo fino alla morte e comperare un rimpiazzo piuttosto che garantire le condizioni che avrebbero consentito alla popolazione schiava di riprodursi».[16]

Volendo fare una breve incursione nella storia del capitalismo e dell’impero inglese, alcuni storici hanno sostenuto che il peso della schiavitù nell’impero, in termini economici e di profitto, fu tale che contribuì allo stesso sviluppo del capitalismo inglese e mondiale. Eric Eustace Williams, poi primo ministro di Trinidad, pubblicò nel 1943 uno studio intitolato Capitalismo e schiavitù in cui si sosteneva che i profitti della tratta degli schiavi e del sistema schiavistico inglese consentirono di accumulare il capitale originario (l’”accumulazione originaria” di cui parla Karl Marx), con cui fu poi finanziata la rivoluzione industriale inglese. Secondo Williams non fu semplicemente casuale che la Gran Bretagna sui trovò a essere alla fine del XVIII secolo il primo Paese industriale, la prima potenza negriera e a capo di un vasto impero in cui la circolazione di esseri umani commercializzati come schiavi era essenziale al suo funzionamento.[17]

Le delegazioni al Congresso bloccarono una prima volta nel 1790 la risoluzione per il blocco del mercato degli schiavi sul suolo americano, una seconda dieci anni dopo e un’ultima nel 1803, ma finalmente il 2 marzo 1807 la legge che proibiva il mercato degli schiavi (ovvero la tratta internazionale) fu approvata dal Congresso, entrando in vigore l’anno dopo. Formalmente era vietata così l’importazione di nuovi schiavi, ma la tratta interna di fatto proseguì. Dopo la fine dell’arrivo di nuovi schiavi dall’Africa lo schiavismo proseguì ugualmente, registrandosi un incremento naturale (per riproduzione) della popolazione di schiavi, che passarono da 1 a 4 milioni dal 1800 al 1860.[18] In più l’espansione degli Stati Uniti, ovvero del numero di stati in conseguenza della corsa all’Ovest, portò all’incremento di sei nuovi stati schiavisti fino al 1821. In conseguenza dell’espansione ad Ovest e del consolidamento del sistema al Sud, centinaia di migliaia di nuovi schiavi furono commercializzati e rivenduti sul mercato interno.

In conclusione, nei primi due secoli di storia americana, dall’avvio delle colonie alla guerra contro la Gran Bretagna e ai primi decenni d’indipendenza, la sorte degli afroamericani fu, al Sud come al Nord, la schiavitù. Il commercio degli schiavi era stato bandito formalmente nel 1807, ma restava ancora in piedi il fenomeno degli schiavi domestici (i famosi “neri da cortile” cui si rimanda nel discorso di Malcolm X) e nacquero inoltre le prime agenzie di commercio degli schiavi. Nel 1790, vent’anni prima dell’abolizione della tratta internazionale, solo l’8% della popolazione nera era di condizione libera. Dopo questa data tale percentuale sarebbe diminuita ulteriormente.[19]

L’educatore e scrittore americano Thomas R. Dew ha affermato che la Virginia esportava schiavi proprio grazie alle pratiche di gravidanza e doveva il suo benessere ai duecento dollari che ogni nascita procurava al padrone della madre[20]; il nuovo sistema della schiavitù si basava sulla presenza di grandi latifondi, l’esistenza di imponenti macchine, determinando un incremento dell’interesse intorno all’istituto della schiavitù.

I proprietari delle piantagioni e quindi degli schiavi costituivano il cuore dell’aristocrazia del Sud, poi c’erano altri bianchi che non potevano permettersi una piantagione e degli schiavi, per cui lavoravano come sorveglianti: costoro rappresentavano la classe media sfruttatrice della schiavitù. L’ultimo gradino della piramide sociale erano gli schiavi neri. Gli schiavi non erano assolutamente protetti dalla legge, né avevano il diritto di appellarvisi, inoltre non potevano testimoniare contro i bianchi ma soltanto contro i neri, non potevano giurare, non erano in grado di sottoscrivere contratti, non potevano possedere delle proprietà e non era loro possibile possedere un’arma da fuoco.

Queste serie di regole e provvedimenti contro gli schiavi neri portarono a delle rivolte nel 1800 in Virginia, nel 1822 in Louisiana, nel 1815 sempre in Virginia e nel 1822 in South Carolina, ma nonostante le rivolte, le insurrezioni furono scoperte e represse repentinamente. Il loro scoppio provocò un’ansia quasi isterica da parte dei bianchi; questo perché si creavano i presupposti per il ribaltamento della gerarchia razziale, dell’ordine sociale e in definitiva del sistema schiavistico. Ciò costituiva la più vera e profonda angoscia dei bianchi del Sud, che li spingeva ad adottare un regime di segregazione sempre più crudele della popolazione nera.

Al Nord la schiavitù era proibita, ma proseguì soltanto per qualche decennio, dileguando a partire dal 1830, mentre al Sud vi era la maggior presenza di neri schiavi e liberi. Il dato veramente indicativo fu un forte aumento dei neri liberi, questo perché molti afroamericani compravano la libertà. Benché questa situazione provocasse forte imbarazzo trai bianchi del Sud, i bianchi decisero di porre un freno all’aumento del numero dei neri liberi e di varare una serie di regolamenti e leggi per limitarne non soltanto il numero ma anche che il loro spazio di manovra. In pratica i coloni bianchi del Sud estesero ai neri liberi le stesse norme imposte ai neri schiavi.

Nel 1835 i bianchi del Sud continuarono a varare regolamenti e leggi contro i neri liberi. Ad esempio, fu revocato loro il diritto di riunione, non potevano avviare un’attività commerciale, la loro testimonianza era considerata nulla in casi che coinvolgevano i bianchi e furono assolutamente vietati i matrimoni misti (fenomeno dei matrimoni interrazziali detto “miscegenation”).

Il sentimento abolizionista cresceva al Nord, dove il sistema economico non richiedeva una grande quantità di lavoro a basso costo e dove la schiavitù veniva proclamata contraria alla dottrina cristiana. Per converso gli stati del Sud affermavano a gran voce che l’istituzione della schiavitù fosse la scelta giusta.

L’economia Sudista poggiava sulle piantagioni di cotone, sulle colture di tabacco e di riso e non poteva permettersi di perdere milioni di schiavi, l’intera società Sudista basava il suo benessere sulle piantagioni e aveva elaborato l’idea che il nero era un essere inferiore e che la schiavitù lo salvava dall’inferno del mondo della brutalità animale, quindi la schiavitù non era vista negativamente, anzi era un male necessario per la salvezza dell’intera civiltà del Sud.

La convivenza all’interno del Paese tra il Nord e il Sud schiavista divenne sempre più difficile sino allo scoppio della guerra civile. Alcune questioni agitarono gli anni precedenti lo scoppio della guerra civile: la prima questione era l’estensione dell’Unione agli stati dell’Ovest. Ciò avveniva perché in gioco c’era il controllo del Congresso; la seconda questione era che molti schiavi neri fuggirono dal Sud al Nord e infine la terza questione fu l’elezione a presidente degli Stati Uniti del repubblicano e sostenitore dell’abolizione della schiavitù Abraham Lincoln. Quando Abraham Lincoln giunse a Washington, trovò un Paese sulla soglia del disfacimento: tutti attendevano il suo discorso d’insediamento e le sue parole contro la schiavitù. [21]

Nei mesi successivi Lincoln aveva compreso quale sarebbe stato il suo vero obiettivo, non sarebbe stato l’abolizione della schiavitù ma l’unità del Paese. Lincoln temeva che una politica troppo radical contro gli schiavisti avrebbe alienato il sostegno degli unionisti del Sud. Gli abolizionisti rimasero logicamente delusi dal suo discorso d’insediamento, anche se Lincoln misurò le parole disinnescando così un possibile conflitto tra governo federale e stato del Sud e inoltre nei mesi immediatamente successivi all’insediamento lasciò addirittura che fossero riconsegnati al Sud gli schiavi neri fuggiti al Nord, ma tutto questo fu inutile.

Lo scoppio della guerra civile 

Il 4 marzo 1861 i sette stati del Sud, ovvero South Carolina, Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana e Texas procedettero alla secessione e pochi mesi dopo si aggiunsero altri quattro stati Virginia, Arkansas, North Carolina e Tennessee. Lincoln dopo lo scoppio della guerra affermò di non avere intenzione di interferire con l’istituzione della schiavitù negli stati dove essa esisteva, cercando con queste parole di contenere il conflitto, ma ormai la guerra era cominciata. Al momento dell’inizio della guerra molti schiavi si spostarono da Sud a Nord e decisero di arruolarsi. A beneficio di questi ultimi fu emanato il Proclama di Emancipazione. Una prima bozza fu stilata nel 1862 e pronunciata ufficialmente da Lincoln il 1° gennaio 1863, dichiarando la fine della schiavitù negli stati confederati. Essa semplicemente portava all’estensione dell’ordine esecutivo presidenziale che dichiarava abolita la schiavitù. Quest’ultima venne ufficialmente abolita però solo con la ratifica del XIII emendamento alla Costituzione nel 1865, a guerra conclusa, con cui veniva proibita ogni forma di schiavitù. In seguito, altri emendamenti estenderanno il diritto di voto e di cittadinanza agli ex schiavi. [22] Importante ideologo in questa fase della secessione del Sud schiavista fu John Calhoun (in particolare nell’opera Remarks), assertore dell’utilità di un sistema fondato sulla schiavitù e del modello sociale schiavista, ispirato a quello ateniese da impiantarsi a Charleston, capitale confederata.

Il ruolo della religione e delle  Chiese

Un ruolo importante nell’America antecedente alla guerra di secessione l’ha giocato inoltre la religione calvinista, come afferma lo storico inglese specializzato in storia delle religioni Mark Noll, secondo cui nella storia degli Stati Uniti spesso la religione calvinista si è inserita prepotentemente nella sfera pubblica del Paese[23]. Il calvinismo spingeva a sfidare le ingiustizie della vita e a tentare di correggerle quando provocano sofferenza, differentemente che nel cattolicesimo, dove invece si invita a farsene carico e condividerle. Se il cattolicesimo in ambito pubblico spinge a un accordo tra Stato e Chiesa, il calvinismo invita a un intervento nelle questioni che riguardano sia lo Stato sia la Chiesa.

Intorno alla questione della schiavitù si svilupparono due correnti di pensiero religioso: da una parte chi sosteneva che la schiavitù era sanzionata dalla Bibbia, dall’altra chi sosteneva il contrario. La guerra civile fu investita dalla coscienza profonda della religione, nel senso che la stessa diede significato alla guerra e a combatterla su temi religiosi. Mai tuttavia la religione fu la causa del conflitto, al massimo fece da sfondo alla guerra. La religione divenne parte integrante della battaglia intellettuale che si combatté fra unionisti e secessionisti e produsse conseguenze storiche importantissime: conclusione del periodo del dominio evangelico sulla vita religiosa americana, rottura del protestantesimo tra una chiesa Nordista e una Sudista e infine portò alla cosiddetta Chiesa nera (Black Church), che secondo lo storico americano Joseph Washington è il tesoro più prezioso della comunità afroamericana[24].

La nascita della Chiesa nera si deve all’avvento di nuove congregazioni, quelle dei metodisti e dei battisti, grazie ai quali i neri si avvicinarono maggiormente al cristianesimo in maniera più attiva: i metodisti si prodigarono nella conversione degli schiavi neri, mentre i battisti aprivano le porte delle loro chiese ai neri sulla base della totale parità razziale con i bianchi. I neri, anche se erano schiavi potevano partecipare alle funzioni, diventare pastori, venendo garantita loro in sostanza un’eguaglianza di natura religiosa che non metteva in discussione le disuguaglianze di status sociale.

Gli schiavi neri accolsero con grande gioia ed entusiasmo le nuove congregazioni religiose, alle quali non soltanto fornirono nuovi credenti ma anche giovani pastori. Prima guida nera del metodismo americano fu Francis Asbury di Philadelphia, che a poco a poco riuscì a raccogliere intorno a sé una notevole comunità nera, alla quale faceva da pastore.

Intorno alla comunità edificò una Chiesa e intorno a questa Chiesa un movimento ecclesiastico indipendente nero, l’African Methodist Episcopal Church (Chiesa Metodista Episcopale Africana) che da Philadelphia si diffuse in altre città come Baltimore, Wilmington, New Jersey e la Pennsylvania. Nel 1816 le comunità nere raccolsero intorno a sé altre Chiese metodiste, nel 1820 il numero delle Chiese metodiste nere raggiunse cifre notevoli, ma la stessa situazione si presentò anche per le Chiese battiste, dove sia a Boston sia a Philadelphia nel 1809 nacquero Chiese battiste indipendenti nere e nel decennio successivo sorsero anche in Maryland, Virginia, Georgia, Kentucky e New York.

La figura di spicco all’interno delle congregazioni religiose era il pastore, spesso l’unico afroamericano, che non dipendeva dal sostegno economico dei bianchi e inoltre godeva anche dell’autorevolezza conferitagli dal suo ministero e dalla sua persona. L’esperienza delle Chiese indipendenti nere è stata certamente il primo tentativo di creazione di una comunità non solo religiosa, ma anche sociale: le Chiese nere furono considerate le prime forme di aggregazione della comunità afroamericana.

La “Black Religion”, la religione nera, era nata molto prima della guerra civile, all’interno delle piantagioni. Essa aiutava i neri a interiorizzare i valori cristiani e a contestualizzarli nella situazione di oppressione e sofferenza umana che vivevano. Il 12° vescovo eletto dall’African Methodist Episcopal Church (Chiesa Metodista Episcopale Africana) poteva dire che Dio è nero e s’identifica con gli oppressi[25]. La vera e propria “Black Church” nacque solo alla fine della guerra civile.

L’abolizione della schiavitù creò i presupposti per un forte trauma per la Chiesa nera del Sud, questo perché i neri non dovettero più riunirsi di nascosto nelle foreste o ascoltare la Bibbia del padrone, ma potevano tranquillamente frequentare le stesse chiese dei loro fratelli neri liberi. La Chiesa del Nord allargò la chiamata missionaria al Sud. Il risultato finale di questa scelta fu l’istituzione di un unico organismo tra la Chiesa del Sud e la Chiesa del Nord. L’integrazione fra questi due organismi creò alla Chiesa come fattore di controllo e di sviluppo sociale della comunità afroamericana e da quel momento in poi fu questo il vero spirito della Chiesa nera. Come ha notato lo storico americano Eric Foner la  creazione di una vita religiosa nera indipendente ha dimostrato di creare conseguenze importanti e irresistibili di emancipazione[26].

La Chiesa nera dovette affrontare anche una serie di problemi all’interno delle comunità afroamericane: il primo problema riguardava le famiglie. Nelle piantagioni non vi era rispetto per il nucleo familiare, le famiglie erano attaccate al volere del padrone, mentre la violenza nei confronti delle donne nere avveniva di continuo. Così il primo impegno che si prefissò la Chiesa nera fu la creazione di un ambiente religioso e culturale favorevole ai rapporti familiari durevoli, permanenti nel tempo. L’obiettivo primario, principale della Chiesa nera fu la realizzazione di un’organizzazione sociale che sostenesse la crescita intellettuale e, la vita quotidiana, pratica delle comunità afroamericane, inoltre la Chiesa nera fu molto attiva anche in campo politico dove i pastori s’impegnavano a livello locale, nelle assemblee statali e in quelle federali.

La Chiesa nera rappresentò il perno, il fulcro della comunità afroamericana in un mondo ancora dominato dai bianchi. Nel momento dell’abolizione della schiavitù e del passaggio dei neri dal Sud alle città, nelle metropoli del Nord il servizio della Chiesa cambio, si modificò, si fece più sociale e meno religioso, la Chiesa si trasformò in agente sociale a vocazione religiosa. Ciò è confermato il sociologo americano Edward Franklin Frazier secondo cui è possibile parlare addirittura di secolarizzazione della Chiesa [27].

La prima ricostruzione e la difficile convivenza con la schiavitù 

Il periodo successivo alla fine della guerra civile è chiamato dagli storici il periodo della prima Ricostruzione, che va dal 1865 al 1877, caratterizzato dall’occupazione del Sud da parte dell’esercito del Nord. Qui secondo alcuni storici si verificò uno dei primi tentativi di “ingegneria sociale” ai danni del Sud, dove si tentava di estirpare un pregiudizio razziale atavico verso i neri tramite un regime di occupazione poliziesco. Alla fine della guerra il Sud era distrutto, era in ginocchio, gli schiavi avevano abbandonato in massa le piantagioni, mentre i padroni erano morti in guerra, o fatti prigionieri, o con la loro famiglia si erano spostati verso ovest per cercare fortuna. I terreni agricoli erano completamente devastati dalla guerra, le colture abbandonate e di conseguenza la gente soffriva la fame e inoltre mancavano abiti, beni di prima necessità e gente che non possedeva più una casa e una famiglia.

Il lavoro di ricostruzione che bisognava mettere in atto era immenso. Innanzitutto, si trattava di creare una struttura di governo del Sud che ridesse funzionalità all’amministrazione e fosse leale nei confronti di Washington. Il potere politico doveva essere riconsegnato ai delegati delle comunità locali, con la speranza che questo non comportasse un ritorno dei politici secessionisti. Era necessaria inoltre l’istituzione di un nuovo sistema economico, non più fondato sul lavoro forzato e infine decidere delle sorti degli ex schiavi. La ricostruzione del Sud poteva avvenire attraverso due linee guida: la prima della riconciliazione o la seconda della rivalsa.

Il presidente Lincoln era per la prima e, infatti, nel dicembre del 1863, aveva mandato al Congresso un piano di ricostruzione che prevedeva l’amnistia con gran parte degli stati del Sud e la nomina dei governatori militari al posto di quelli civili, ma il Congresso era di parere differente, cosicché decise di emanare leggi restrittive. Per tutta risposta Lincoln non firmò le proposte di legge del Congresso e si aprì una forte spaccatura tra potere esecutivo e potere legislativo.

La situazione non cambiò, non mutò con il nuovo presidente Andrew Johnson. Il programma di Johnson prevedeva l’abolizione della schiavitù, il diritto di voto ai neri e la nomina di governatori militari, ma al momento delle elezioni le assemblee invece di legiferare sul suffragio dei neri, emanarono i Black Codes (I Codici Neri), contenenti norme di comportamento dei neri e nel dicembre del 1865 il Congresso si riunì a Washington, decidendo per le dimissioni del presidente Johnson. Questa scelta segnò la fine di ogni possibilità di riconciliazione tra Sud e Nord.

Il piano di Ricostruzione del Congresso si basava sui seguenti punti: divisione dell’ex Confederazione in sette aree militari ognuna posta sotto la legge marziale, la concessione della cittadinanza agli ex schiavi del Sud e ai membri della classe politica ex confederata. Coloro che si rifiutavano di giurare sull’emendamento venivano banditi dalla vita pubblica del Paese. Le assemblee statali del Sud inoltre passarono nelle mani ai neri e ai bianchi del Nord e si abolì qualsiasi discriminazione razziale.

Il piano di Ricostruzione era semplicemente un palliativo al problema, perché il Congresso era il burattino nelle mani dei grandi industriali del Paese che chiedevano ferrovie, tariffe doganali favorevoli e contributi federali, quindi era la Rivoluzione industriale a modificare e a controllare il Sud. In definitiva la differenza tra il piano di Ricostruzione del presidente e quello del Congresso era che il primo faceva leva sullo spirito di riconciliazione e di pace mentre il secondo puntava tutto sull’industrializzazione e sulla prosperità economica che avrebbe portato al Sud e indirettamente anche al Nord.

Il XV emendamento della Costituzione fu ratificato il 3 febbraio 1870, composto di due articoli: il primo proibiva al governo federale degli Stati Uniti e a ciascuno stato dell’Unione di impedire a un cittadino di esercitare il proprio diritto di voto sulla base della razza e il secondo prevedeva che il Congresso esercitasse il proprio potere per far rispettare il primo articolo. Alcuni afroamericani forti della protezione del XV emendamento ritornarono al Sud dal Nord, dove in forma embrionale incominciarono a organizzarsi in una borghesia e addirittura alcuni di loro furono eletti nelle assemblee statali. Certamente il risultato più clamoroso della Ricostruzione fu la partecipazione degli afroamericani in ambito politico, dove parecchi di loro furono eletti come deputati o senatori statali.

Il governo federale istituì il Freedmen’s Bureau, un’agenzia federale che aveva il compito di aiutare i neri nel difficile passaggio dalla schiavitù alla libertà: per quasi quattro anni il Bureau forniva cibo, medicine, vestiti, mezzi di trasporto, assistenza legale e istruzione agli ex schiavi neri.

Il risentimento del Sud nei confronti del Nord era altissimo, le scelte fatte dal Congresso nei confronti del Sud erano viste come un’occupazione militare, un furto legalizzato e soprattutto era considerato un atto contro natura l’uguaglianza razziale tra bianchi e neri. I Black Codes avevano lo scopo di ripristinare le norme di comportamento dei neri e impedire l’uguaglianza razziale imposta dal Nord. La reazione del Sud si rese concreta nel 1866 con atti di violenza contro i neri e i rappresentanti del governo di Washington, bande di uomini mascherati, armati di pistole, spade, coltelli, bruciavano abitazioni, ammazzavano gli ex schiavi e molestavano gli ispettori del governo. Ad agire erano associazioni segrete che si riunivano in luoghi nascosti e avevano come obiettivi l’assoggettamento dei neri e la liberazione del Sud da Washington.

Nel 1871 queste associazioni segrete contro gli afroamericani concessero a tutti i rappresentanti neri eletti nello stato del South Carolina quindici giorni per dimettersi, pena la morte. Un altro esempio di intolleranza anti-nera si ebbe nel 1874, quando l’esercito entrò a New Orleans con l’obiettivo di eliminare definitivamente le associazioni segrete, ma il risultato fu esattamente l’opposto. Le truppe dell’Unione furono costrette a ritirarsi. Di fatto tra governo federale e organizzazioni segrete era in atto uno scontro per il controllo del Sud, dove un regime poliziesco e militare puntava a introdurre un’uguaglianza razziale dall’alto.

Nel 1871 le norme, le leggi, contenute nel piano di Ricostruzione varato dal Congresso furono abrogate, fu estesa l’amnistia agli ex confederati e questa scelta ebbe l’effetto di dotare il Sud di un corpo elettorale e di una classe dirigente, inoltre le azioni delle organizzazioni segrete, ad esempio quelle del famigerato Ku Klux Klan (KKK), si fecero più aggressive, bruciando le case dei neri, frustandoli o operando linciaggi ai loro danni.[28] Tra il 1872 e il 1876, l’intero Sud tornò nelle mani degli ex confederati, ma l’élite non era più composta soltanto dai grandi proprietari terrieri, ma affiancata dai nuovi ricchi, industriali e mercanti. Anche il mondo della politica stava cambiando e persino la Corte Suprema contribuì al ritorno a una situazione più favorevole, più morbida per gli ex confederati e nel 1875 dichiarò che il XV emendamento non equivaleva al suffragio universale maschile. Il Sud non si fece sfuggire all’occasione di interpretare la sentenza come strumento per restringere il voto ai neri.

L’occupazione del Sud da parte dell’esercito del governo federale terminò nel 1877, la storia americana stava voltando pagina, mentre era ancora in fase di sviluppo il processo di ricostruzione del Sud. La forte ventata di industrializzazione stava modificando l’orientamento politico del Paese. All’intero del Partito repubblicano che aveva chiesto e ottenuto con forza l’abolizione della schiavitù iniziava a emergere una corrente che gli storici, specializzati in politica americana, chiamano conservatrice (e in seguito reaganiana). Ciò portò al ridimensionamento dell’impegno del governo federale nel Sud.

Contemporaneamente al Sud si sviluppò quel processo che prende il nome nella tradizione antiabolizionista di “redenzione”, ovvero del ripristino del controllo del governo locale e statale da parte dei bianchi. Si venne a creare una forte alleanza d’interessi sostanzialmente economici tra repubblicani conservatori e democratici del Sud. Quest’alleanza voleva porre fine alla dipendenza del governo federale dalle richieste dei neri, in altre parole le politiche del governo erano a favore dei neri per garantirsi una forma di tutela, in quanto il governo aveva bisogno dei neri per la propria legittimazione (era necessario rompere questo forte legame che li teneva legati affinché gli interessi economici potessero prevalere), mentre i bianchi Sudisti volevano rientrare in possesso dei loro territori. Tutto questo fu possibile grazie all’elezione come presidente degli Stati Uniti di Rutherford Hayes.

La principale conseguenza dell’accordo tra repubblicani conservatori e democratici del Sud fu la riconsegna dei territori del Sud ai bianchi. Tornati al potere i bianchi vollero subito ripristinare la diversità razziale tra bianchi e neri; la loro seconda azione fu lo escludere i neri dalla vita politica locale e statale, terza azione rendere il voto elettorale dei neri irrilevante, introducendo vincoli amministrativi, economici, anagrafici e persino una soglia d’istruzione. Il risultato di tutto ciò fu la notevole riduzione degli afroamericani aventi diritto di voto e un netto peggioramento dei diritti civili della gente di colore. Il periodo della fine della Ricostruzione, a seguito del ritiro delle truppe federali, segna il ritorno alla supremazia razziale dei bianchi sui neri nel Sud degli USA.

Ciò poté avvenire anche grazie alla “benevola” neutralità del Nord in questa fase. Sentenze della Corte suprema stabilirono infatti che ai neri non spettava il diritto di uguaglianza previsto dal XIV emendamento e che i Civil Rights Acts del 1866 e del 1875 avevano cercato di difendere.[29] Nel 1883 una sentenza della Corte suprema dichiarò incostituzionale il Civil Rights Act del 1875, che proibiva le discriminazioni razziali nei luoghi pubblici. Secondo lo storico Maldwyn A. Jones questa sentenza «spianò la strada alla segregazione sociale». Sul finire dell’Ottocento quindi nel Sud si definì quel regime di segregazione che avrebbe dominato per diversi decenni.

La linea di confine razziale si basava sul tema della superiorità razziale bianca. Soltanto gli uomini con intelligenza, cioè istruzione superiore e possibilità economiche potevano votare, mentre i neri mancavano di entrambe le prerogative. La prima fase della Ricostruzione aveva offerto ai neri l’esperienza di una vita vissuta pienamente, ma i bianchi avevano interpretato tutto ciò come un crimine contro l’ordine costituito e ora che le forze governative federali erano partite e nessuno poteva più proteggere i neri, questi ultimi dovevano tornare al proprio posto all’ultimo gradino della classe sociale. La differenza razziale doveva essere ripristinata: i bianchi crearono una società separazionista divisa in due sezioni, da una parte i bianchi e dall’altra i neri.

I bianchi non volevano e non potevano vivere assolutamente insieme con i neri, inoltre i bianchi ripristinarono i Black Codes, rinominandoli “Jim Crow”, di etimologia incerta (da cui le Leggi di Jim Crow). Si trattava di leggi (la prima entrò in vigore in Florida nel 1887) che separavano i bianchi e neri sui treni, nei ristoranti, nelle sale d’aspetto, nelle scuole, nei parchi e nei bagni; questo comportò il raddoppiare dei costi, un prezzo economicamente molto alto ma accettabile per i bianchi che in cambio ottenevano il controllo della politica, della giustizia e dell’economia. Le Leggi di Jim Crow furono in vario modo confermate dalla Corte suprema americana, contribuendo al peggioramento della condizione dei neri in tutto il Paese e portando a un aumento dei casi di linciaggio e a veri e propri pogrom contro i ghetti dove erano confinate le persone di colore. [30] Tra Otto e Novecento, negli Stati Uniti, come riporta lo storico Comer Vann Woodward, i linciaggi erano diventati un vero spettacolo di intrattenimento di massa: «Notizie di linciaggi erano pubblicate sui fogli locali e carrozze supplementari erano aggiunte ai treni per spettatori, talvolta migliaia, provenienti da località a chilometri di distanza. Per assistere al linciaggio, i bambini delle scuole potevano avere un giorno libero».[31]

A cinquant’anni dalla abolizione ufficiale della schiavitù nel 1807 nel Sud i neri erano in gran parte ancora legati alle piantagioni di cotone, dove vivevano e lavoravano in condizioni di assoluta schiavitù. Anche nel Nord si consolidò il regime di segregazione. Allarmati dalla crescente immigrazione di neri dal Sud, i bianchi del Nord cercarono di confinarli in determinati rioni, finendo per rendere obbligatoria la segregazione con atti anche di legge a livello locale. [32] Secondo Maldwyn A. Jones: «La segregazione divenne una regola, non solo nelle chiese ma anche in altri luoghi dove in precedenza non esistevano barriere razziali. All’inizio del Novecento alberghi, ristoranti, parchi, altri luoghi pubblici delle città del Nord furono sempre più spesso vietati alla gente di colore. E i neri reagirono creando o ampliando le istituzioni (chiese, centri d’affari, locali pubblici, associazioni assistenziali, giornali) riservate alla loro razza»[33].

La segregazione acuì anche la divisione tra gruppi minoranze nelle grandi città, dove scoppiarono rivolte e crescevano gli odi tra comunità nere e gruppi di immigrati irlandesi. Gli scontri razziali all’inizio del Novecento divennero un serio problema nel Nord, facendo decine di vittime.

La popolazione nera cessò definitivamente di essere politicamente attiva, molti ex schiavi non trovando lavoro facevano ritorno al loro ex padrone, con cui stipulavano rapporti di mezzadria, mentre altri ex schiavi stipularono contratti a cottimo. A poco a poco il Sud si conformò nuovamente in un sistema dominato dall’economia agraria. Il risentimento della popolazione bianca Sudista nei confronti dell’espropriazione delle proprie risorse e le conquiste politiche dei neri, trovò sfogo nelle leggi segregazionistiche, espressione del proprio status costituito. La segregazione fu un tipo di violenza diversa rispetto alla schiavitù, ma non per questo meno dolorosa e lacerante della storia degli Stati Uniti d’America.


Note bibliografiche

[1] Il sistema delle piantagioni, preso a modello da quello già presente a Cipro e Madera, fu introdotto nelle Americhe dall’arrivo degli spagnoli nel XV secolo.

[2] I primi africani ad essere giunti sulle sponde atlantiche erano stati, ca. un secolo prima, qualche centinaio di schiavi tradotti con sé da Hernan Cortes, il conquistador spagnolo. Gran parte di questi primi africani erano cattolici ispanici nati in Spagna o Portogallo da genitori africani. Cfr. Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, Il Mulino, Bologna 2008, p. 40. Si calcola che in 34.850 viaggi avvenuti tra il 1519 e il 1867 siano stati trasbordati sulle sponde atlantiche circa 12,5 milioni di schiavi (una media di 360 schiavi a carico), 10,8 milioni dei quali sopravvissero alla traversata. Per la gran parte i negrieri erano di nazionalità o portoghese (in seguito il Portogallo divenne una semi colonia inglese) o inglese. Cfr. Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, cit., pp. 11-13

[3] Tali contrattisti erano immigrati bianchi europei che, in condizioni di disperazione, barattavano parecchi anni di lavoro forzato in cambio della promessa futura di terre da coltivare.

[4] L’aumento dei salari rendeva i neri schiavi molto più economici dei bianchi semiliberi. Inoltre la produttività dei neri era più alta. Cfr. Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, cit., pp. 53 e 61.

[5] Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, cit., p. 57.

[6] Lisa A. Lindsay, cit., pp. 57-60 ss.

[7] Enrico Beltramini, L’America post-razziale. Razza, politica e religione dalla schiavitù a Obama, Torino, Einaudi, 2010, p. 45. Cfr. Philip D. Morgan, Slave Counterpoint: Black Culture in Eighteenth Century, University of North Carolina Press, 1998.

[8] Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 51-52.

[9] Anne Farrow, Joel Lang, Jenifer Frank, Complicity. How the North, prolonged, promoted and profited from slavery, Ballantine, New York 2006

[10] Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, cit., p. 162.

[11] Lisa A. Lindsay, ivi, p. 55. La nuova sgranatrice poteva sgrezzare 25 kg di cotone al giorno, contro il mezzo chilo ottenuto manualmente.

[12] L’indipendenza delle colonie coincide infatti con un netto peggioramento della condizione di neri e nativi. In base al Naturalization Act del governo federale del 1790 solo i bianchi possono diventare cittadini statunitensi, mentre veniva abolita la sola schiavitù bianca. Ciò contraddiceva platealmente lo spirito di uguaglianza razziale che pure regolamentando la schiavitù permeava il Codice Nero di Luigi XIV. Sull'argomento e più in generale sulla storia del liberalismo si veda D. Losurdo, Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari 2005.

[13] Dopo lunghe diatribe sul computo degli schiavi nella popolazione (gli stati schiavisti volevano che gli schiavi venissero conteggiati nella popolazione per incrementare il numero di rappresentanti), si giunse all’accordo che prevedeva una proporzionalità di tre quinti sulla popolazione generale (in pratica a tre abitanti bianchi equivalevano tre schiavi).


[14] Il movimento abolizionista tra origine alla fine del XVIII secolo per poi dipanarsi per circa un secolo fino agli ultimi vent’anni del XIX secolo, quando la tratta atlantica scompare.

[15] La rivolta degli schiavi neri di Haiti alla fine del XVIII secolo rimane uno dei casi più eclatanti e celebri di rivolta di un popolo oppresso contro la violenza coloniale. A capeggiare la rivolta degli schiavi neri della colonia francese di Haiti nel 1791 vi fu Toussaint Louverture, ispirato agli ideali del giacobinismo e della Rivoluzione francese.

[16] Cfr. Lisa A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, cit., p. 51.

[17] Cfr. Eric Eustace Williams, Capitalismo e schiavitù, prefazione di Lucio Villari Laterza, Bari 1971. Piantatori, armatori e mercanti inglesi secondo Williams accumularono talmente tante fortune tramite i “commerci triangolari” che furono in grado di finanziare banchieri e industria all’origine della Rivoluzione industriale.


[18] Lisa A. Lindsay, cit., p. 161.

[19] Cfr. Lisa A. Lindsay, cit., p. 62.

[20] Enrico Beltramini, L’America post-razziale, cit., p. 55. Cfr. Thomas R. Dew (a cura di), Slavery in the United State. A social, political and historical encyclopedia, II voll., I, ABC CLIO, Santa Barbara, 2007.


[21] Sotto il predecessore di Lincoln, James Buchanan, la condizione dei neri era nettamente peggiorata e Washington conduceva una politica favorevole al Sud dell’Unione.


[22] Lisa A. Lindsay, cit., p. 164.

[23] Enrico Beltramini, L’America post-razziale, cit., p. 64. Cfr. Mark Noll, Protestants in America, Oxford University Press, Oxford, 2000.

[24] Enrico Beltramini, L’America post-razziale, cit., p. 83. Cfr. Joseph Washington, Black Religion. The Negro and Christianity in the United States, University Press of America, 1984.


[25] Enrico Beltramini, L’America post-razziale, cit., p. 98.


[26] Enrico Beltramini, L’America post-razziale, cit., p. 98. Cfr Eric Foner, Give Me Liberty, WW Norton & Co, New York, 2010.

[27] Enrico Beltramini, L’america post-razziale, cit., p. 100. Cfr. Edward F. Frazier, The Negro Church in America, Schocken Books Inc, New York, 1974


[28] La pratica abominevole del linciaggio continuerà ad essere un triste rituale di tortura contro i neri in tutti gli Stati Uniti molto dopo la fase della Ricostruzione. Si stima che tra il 1880 e il 1930 negli USA si siano verificati più di 3200 casi di linciaggio di neri. Uno dei casi più efferati fu quello di Jesse Washington avvenuto nel 1911 a Waco in Texas.


[29] Maldwyn A. Jones, The Limits of Liberty – American History 1607-1992, Oxford University Press, 1995, trad. it. Storia degli Stati Uniti d'America. Dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri, RCS Libri, Milano 2004, p. 345.


[30] Secondo lo storico Maldwyn A. Jones «fino al 1918 nessun bianco Sudista di razza bianca venne mai condannato per aver partecipato a un linciaggio».

[31] Cfr. Comer Vann Woodward, Le origini del nuovo Sud: 1877-1913, Il Mulino, Bologna 1963.

[32] A inizio Novecento ghetti di neri sorgevano nelle principali città del Nord a New York, Philadelphia, Chicago e Atlanta.

[33] Maldwyn A. Jones, The Limits of Liberty – American History 1607-1992, cit. p. 353.

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