lunedì 4 maggio 2020

Discorso di Lelio Basso del 13 luglio 1949



Discorso di Lelio Basso del 13 luglio 1949 in occasione della ratifica del trattato sul Consiglio d’Europa (1949)



In un intervento alla Camera dei deputati in occasione della ratifica del trattato sul Consiglio d’Europa (1949) il deputato socialista Lelio Basso chiarì la differenza tra internazionalismo e cosmopolitismo e suggerì come le classi borghesi tornassero in quel tempo al cosmopolitismo (inteso come abbattimento delle frontiere nazionali), dopo aver esaltato il nazionalismo sotto il fascismo, al fine di meglio contrastare le conquiste dei lavoratori ottenute sul piano nazionale quale esito della lotta antifascista.


Lelio Basso

E' iscritto a parlare l'onorevole Basso. Ne ha facoltà.

BASSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, confesso che, quando il mio gruppo mi ha dato l'incarico di prendere la parola, sono rimasto per un momento incerto se convenisse adottare il tono serio della critica o quello leggero dell’ironia. Certo, se noi ci attenessimo letteralmente alla lettura dello strumento che siamo chiamati a discutere e lo paragonassimo al messaggio radiofonico con cui l'onorevole Sforza ne diede l'annunzio al paese il 29 gennaio scorso, saremmo piuttosto tentati a seguire la via dell'ironia. L'onorevole Sforza iniziava quel radiomessaggio con le parole: « Voi avete appreso la costituzione europea ». E in quella stessa occasione l'onorevole presidente del Consiglio, in una intervista, scomodava addirittura la divina provvidenza, la quale diceva - supera le capacità umane. Ora, noi abbiamo sotto i nostri occhi ii testo dell'accordo, e vediamo che siano ben lontani dai disegni provvidenziali di cui parlava l'onorevole De Gasperi, e anche dall' Unione europea di cui parlava l'onorevole Sforza. Non è Unione europea non solo perché ne è esclusa una larga parte dell'Europa, non solo perché dalla rappresentanza dei paesi aderenti sono esclusi tutti coloro che non la condividono, ma anche perché le clausole dell'accordo riducono veramente a ben poco il contenuto di questo Consiglio d'Europa.

Sono intanto escluse le questioni militari, alle quali provvede il patto atlantico; sono escluse anche tutte le questioni per cui esistono altri organismi internazionali: in modo particolare sono quindi di fatto escluse le questioni economiche, per le quali ha competenza l'O. E. C. E.; sono escluse due questioni fondamentali della vita europea. Il comitato dei ministri non ha il potere di prendere deliberazioni, ma soltanto di fare raccomandazioni ai governi, ed e soggetto alle regole dell'unanimità. L’assemblea poi non ha il potere di fissare neppure l'ordine del giorno delle proprie discussioni; essa può fare raccomandazioni al comitato dei ministri, ma soltanto su materie che questo ponga all'ordine del giorno dell'assemblea, oppure su quelle richieste dall'assemblea ma solo dopo che il comitato dei ministri vi abbia consentito. Siamo quindi presso a poco sullo stesso piano, sul quale si erano già messe d'accordo le cinque potenze che denunciano il più assoluto disprezzo del patto di Bruxelles, secondo il comunicato, mi pare, del 5 febbraio, prima cioè che intervenissero alle trattative l'Italia, i paesi scandinavi e l'Irlanda, e cioè i cinque paesi successivamente invitati dagli iniziatori (Inghilterra, Francia e Benelux). Credo sarebbe utile che l'onorevole ministro degli esteri dicesse perché, essendo intervenuto successivamente in queste trattative, egli abbia, completamente accettato uno schema che non risponde alle sue impostazioni; the anzi, in certo senso, l'accordo definitivo e più limitativo ancora dell'abbozzo del febbraio: in quel comunicato delle cinque potenze di Bruxelles, del 5 febbraio, si parlava per esempio, di decisioni dell'assemblea da prendere a semplice maggioranza, mentre dal testo risulta che occorre la maggioranza qualificata dei due terzi, e quindi il già scarso potere di quest'organo ne risulta ancora indebolito.

Se, quindi, volessimo fare veramente dell'ironia, la potremmo fare agevolmente, poiché a Strasburgo per ora nasce soltanto un'accademia. E se volessimo addirittura fare dell'ironia amara, potremmo leggere l'articolo 3 dell'accordo, dove è detto che i paesi membri del Consiglio d'Europa riconoscono il principio della preminenza del diritto e il principio in virtù del quale ogni persona posta sotto la loro giurisdizione deve godere dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Potremmo fare dell'amara ironia, se leggessimo questo articolo 3 e pensassimo che paesi come la Turchia e la Grecia, che si sa quale rispetto abbiano per questi principi, hanno manifestato l'intenzione di aderire e le potenze the hanno preso l'iniziativa del Consiglio si sono subito dichiarate d'accordo nell'annetterli. Potremmo fare dell'ironia amara, del resto, anche soltanto rilevando come fra i paesi stessi che hanno preso questa iniziativa, fra le potenze cioè che vogliono fon dare il consiglio d'Europa sulla base del rispetto di questi principi, in virtù dei quali ogni persona posta sotto la loro giurisdizione deve godere dei diritti e delle libertà fondamentali, vi sia un paese come la Francia, che recentemente ha massacrato 85.000 malgasci in forme più crudeli di quelle naziste, calpestando qualsiasi norma di legge e di civiltà, e ha violato anche le immunità parlamentari per far condannare a morte dei deputati malgasci. Potremmo fare dell'amara ironia, se rilevassimo che le potenze che ci invitano a rispettare questi principi sono le stesse potenze the conducono in questo momento guerre coloniali che denunciano il più assoluto disprezzo dei con metodi principi stessi, la Francia al Vietnam, l'Olanda in Indonesia e in Malesia.

Ma io voglio andare al fondo dell'esame del problema che ci interessa. Se le parole dell'accordo hanno una scarsa portata, io voglio occuparmi delle cose che hanno senso e portata e che stanno dietro a queste parole. Non si può non riconoscere la scarsa importanza pratica di questi accordi. E’ stato detto, però, dai soliti uomini di buona volontà che in fondo sarebbe questo soltanto un primo passo verso la realizzazione dei postulati dell'unita europea, e che per il momento bisogna contentarsi di quel po' che si può ottenere, ma che su questa strada potremo raggiungere risultati molti più concludenti.

Ebbene, onorevoli colleghi, per giudicare del valore del primo passo noi dobbiamo sapere in quale direzione stiamo comminando e verso quali mete ci conducono gli altri passi successivi che si potrebbero e vorrebbero fare. E, per renderci conto di quale sia la direzione nella quale questo primo passo si compie, noi abbiamo un unico strumento di indagine: esaminare cioè il corso degli avvenimenti attraverso cui siamo arrivati nel dopoguerra a questo accordo. Ieri, mi pare che un oratore della maggioranza attribuisse all'onorevole Sforza una specie di paternità spirituale di questa unità europea.

Me ne duole per l'onorevole Sforza se ha delle ambizioni in questo senso, ma il vero padre spirituale del Consiglio d'Europa l'ex premier Churchill. Churchill nel suo di-scorso del 5 maggio 1946 a Fulton ha preconizzato un formidabile blocco antisovietico fondato su una triplice, e cioè sugli USA, sul Commonwealth e sull'Europa, e, successivamente, nel discorso di Zurigo del 19 settembre 1946, egli faceva la descrizione dell'Europa a cui egli pensava, una Europa necessariamente unita in vista di un obiettivo comune, della quale deve far parte anche la Germania, affinché meglio possa assolvere al compito di diventare uno degli elementi su cui poggia questa triplice antisovietica. Churchill pensava evidentemente allora ad una triplice in cui due membri, il Commonwealth e l'Europa unita, avessero alla loro testa la Gran Bretagna, per permettere all'Inghilterra di giuocare un ruolo di primo piano, e di porsi sullo stesso piano degli Stati Uniti, per trattare da pari a pari con gli Stati Uniti, avendo dietro di se da un lato il Commonwealth e dall'altro l'Europa unita.

Noi sappiamo che le cose si sono svolte in modo diverso da come l’Inghilterra desiderava. L'Inghilterra non riuscì a diventare la guida degli altri paesi, ma al contrario ebbe essa medesimo bisogno di ingenti aiuti dagli Stati Uniti. Sopravvenne il piano Marshall, come strumento della dottrina Truman, e l'America pose nettamente la candidatura ad essere sola ed esclusiva guida, sola ed esclusiva dominatrice e dirigente della politica mondiale, trasformando praticamente il resto del mondo ancora soggetto al capitalismo in una serie di dominions americani. L'America latina e già praticamente in gran parte un dominion americano. In Asia l'occupazione militare del Giappone e di parte della Corea e il loro asservimento economico; la penetrazione del capitalismo americano in India, grazie agli accordi con la politica della borghesia indiana guidata da Nehru, come testimonia la recente conferenza di Nuova Delhi; in Africa la penetrazione nelle cosiddette aree arretrate che sta diventando la preoccupazione principale del governo di Washington, sono altrettante espressioni di questa politica in virtù della quale il mondo soggetto ancora al capitalismo si trasforma praticamente in una serie cli semi colonie o se più vi piace di dominions americani. E in questa frase e come strumento di questa politica di dominazione americana, che nasce e si concreta il progetto francese di Unione europea, nasce cioè la proposta di una vera unione europea con parziali rinunce alle sovranità particolari, e con un proprio Parlamento eletto. L'Inghilterra resiste perché non si e ancora rassegnata a subire anch'essa in pieno il nuovo dominio del capitale americano, non si e ancora rassegnata a perdere effettivamente il suo passato rango mondiale e a ridursi al rango comune degli altri paesi dell'Europa occidentale. L'Inghilterra e disposta ad accettare l'Unione europea per quel tanto che le serve in funzione della sua politica antisovietico ed eventualmente per smerciare merci inglesi, ma non è disposta ad accettare una Unione europea che valga a ridurre la personalità inglese al livello degli altri paesi.

In questo senso non vie dubbio che la borghesia inglese resiste ancora all'imperialismo americano, come in certo modo resiste ancora quella svizzera e quella svedese, e di là dell'Oceano, quella argentina, ciascuna con i suoi mezzi e con le sue possibilità. E non vie dubbio che potremmo essere tentati di seguire con simpatia gli sforzi che la borghesia inglese fa per resistere all'imperialismo americano che tende a estendersi ovunque, se non sentissimo troppe volte che gli strumenti che l'Inghilterra appresta per la propria difesa hanno un suono che ci ricorda un passato recente. Quando noi sentiamo parlare di area della sterlina, di scambi bilaterali, di moneta non convertibile, di restrizioni delle importazioni, di politica di austerity, noi sentiamo riecheggiare quella che fu una recente, politica imperiale in Europa, che con altri nomi diceva le stesse cose: invece di parlare di area della sterlina e di restrizioni di importazioni parlava di spazio vitale e di autarchia (ed. erano sostanzialmente le stesse cose); anziché dire « austerità », diceva « non burro ma cannoni », e non era cosa, molto diversa.

Si tratta cioè della politica degli spazi chiusi, che fanno le econome deboli, contro la politica della porta aperta, che fa le economie forti e aggressive; ma quando questa politica la facevano i nazisti, essa suscitava la virtuosa indignazione dei gentlemens britannici. Praticamente, il conflitto nelle trattative per il Consiglio europeo fra Francia e Inghilterra riecheggia questo conflitto fra la politica americana e quella inglese. La Francia è la più favorevole a spingere più oltre la realizzazione di certi principi di unità europea per un doppio ordine di considerazioni: in parte in obbedienza alle direttive della politica americana, che essa subisce integralmente, in parte per lo stesso interesse egoistico francese, nel senso cioè che, come l’Inghilterra spera di potersi appoggiare ai paesi dell'Europa occidentale per salire qualche gradino e poter parlare da pari a pari con gli Stati Uniti, alto stesso modo la Francia spera di potersi appoggiare agli altri paesi dell'Europa occidentale, in modo particolare all’Italia, che è cosi servizievole, per poter parlare da pari a pari con la potenza britannica.

Ma, non vi è dubbio che attraverso questi contrasti, che riflettono contrasti più vasti, anche il Consiglio europeo tende ad inquadrarsi come uno strumento di questa stessa politica, uno strumento della politica atlantica, e quindi dobbiamo considerare l'accordo oggi sottoposto alla nostra ratifica come manifestazione di politica atlantica. Credo non vi sia bisogno di soffermarsi dare di ciò molte dimostrazioni. Basterebbe pensare all'origine; il Consiglio europeo nasce dall'unione occidentale, dal patto di Bruxelles, dal patto delle cinque potenze ( Inghilterra, Francia e Benelux), che hanno preso l’iniziativa di convocare le altre potenze. Basterebbe leggere il preambolo del Consiglio europeo, che ad un certo punto cosi dice: « attaccati ai valori' spirituali e morali, che sono il patrimonio comune dei loro popoli, e che sono all'origine dei principi di libertà individuale, di preminenza del diritto su cui si fonda ogni vera democrazia ecc. » e confrontarlo con il preambolo del patto atlantico, il quale ugualmente dice: « gli Stati contraenti sono decisi a salvaguardare la libertà dei popoli, la loro comune eredità e la loro civiltà fondate sui principi della democrazia », per sentire che unico è il motivo ispiratore. Sono gli stessi preamboli della santa alleanza e del patto anticomintern. È sempre cosi: quando la reazione vuole giustificare se stessa, si fa appello alla tradizione, all’eredità, agli elementi del passato, e si chiama tutto questo difesa della civiltà, della civiltà cristiana, della civiltà occidentale, a seconda delle circostanze. Ma la sostanza è sempre la stessa. Ma è, del resto, lo stesso ministro Sforza, che in un discorso pronunciato a Bruxelles il 20 giugno disse che il Consiglio europeo è uno strumento della politica atlantica; anzi, disse che la vera unione europea è quella che si manifesta attraverso il patto atlantico.

Disse testualmente l'onorevole Sforza il problema della unità europea si e imposto progressivamente in tutti gli ambienti, nei parlamenti, tra gli scrittori politici, ed anche presso vari governi europei. Nel breve giro di poche settimane ho firmato un trattato per la creazione di un'unione doganale tra L’Italia e la Francia, un'unione doganale concepita nello spirito che vi ha animato all'epoca del vostro accordo con i Paesi Bassi e con il Lussemburgo. Ho firmato gli atti che garantiscono la vita della organizzazione economica per la cooperazione europea che ha sede a Parigi, la quale speriamo divenga il ministero dell'economia europea. Ho firmato a Washington con altri 11 ministri degli esteri il patto atlantico, che rappresenta, sotto alcuni aspetti, l'autentico inizio di una Unione europea ed infine, il mese scorso, ho firmato per l' Italia, come il mio collega Speak ha firmato per il Belgio, l'atto costituivo del Consiglio europeo e dell'Assemblea europea ». Non v'e dubbio quindi che l'onorevole Sforza considera il Consiglio europeo come uno strumento di questa politica atlantica, e lo considerano tale anche gli americani - il che è pia importante - come ad esempio un autorevole ex ministro degli affari esteri americano, Summers Welles, il quale in un articolo dell'11 febbraio, dopo il primo comunicato che annunciava gli accordi per il Consiglio europeo, diceva: « Il progetto attuale e un debole compromesso. Esso respinge la tesi francese, secondo cui bisogna creare un potente parlamento europeo. II progetto non contiene nessuna disposizione che preveda la limitazione delle sovranità nazionali. Un'ombra di unione europea del genere di quella che si progetta attualmente, ha delle chances di essere di qualche utilità pratica per gli Stati uniti ? Esiste una ragione valida perché non si dica francamente a quei paesi che ricevono aiuti a titolo E.R.P., e che riceveranno armi per la loro difesa in conseguenza del patto atlantico, che uno dei principali risultati ricercati dal popolo americano, in cambio dei sacrifici che esso consente per I ‘Europa occidentale, è una federazione reale dei paesi dell' Europa occidentale?».

E’ chiaro quindi che nelle intenzioni del ministro Sforza e nella realtà dei fatti il Consiglio europeo è uno strumento per la realizzazione delle stesse finalità che i ‘imperialismo americano si e assegnato col patto atlantico. E’ uno strumento per sviluppare la stessa politica mondiale dell'America, e contro la quale le resistenze inglesi hanno lo stesso significato delle resistenze di un imperialismo che tramonta contro un imperialismo che si afferma vittorioso, resistenze di un egoismo conservatore, contro un egoismo aggressivo e conquistatore.

Ora, quale è il posto che questo Consiglio europeo occupa nel quadro generale di questa politica atlantica; quale è la funzione che gli compete ? E’ indubbiamente ed essenzialmente per ora (in attesa di ulteriori sviluppi) una funzione di copertura. Il patto atlantico parla anche esso di ideali, ma parla anche di armi, che sono un elemento molto più realistico; il piano Marshall parla di cooperazione, di ideali, di mutuo appoggio, ma parla anche di quattrini, che sono qualche cosa di prosaico. Ora è bene invece avere uno sfogo per i puri ideali, un'assemblea dove si può parlare soltanto di ideali europeistici, e non di armi né di quattrini.

Questo piace all'opinione pubblica; questo piace a certi strati soprattutto della piccola e media borghesia. Perché non ci rendiamo meglio conto dell'importanza fondamentale che queste cose hanno nel quadro generale della politica capitalistica, è necessario pensare che tutta la società è borghese costruita essenzialmente su due piani: il piano della lotta di classe, il piano ove si svolgono le cose così come sono realmente nella loro dura brutalità, e il piano in cui questi rapporti di classe, in cui le contradizioni della società, in cui tutti i conflitti che ci dilaniano, sono, viceversa, espressi e risolti in termini puramente formali e puramente giuridici. La vecchia society precapitalistica chiamava più brutalmente le cose col loro nome, aveva anch'essa una divisione in classi, delle contradizioni interne, una oppressione di classi su altre classi; ma chiamava privilegi i privilegi, diceva apertamente che il servo della gleba era legato alla terra, dava apertamente agli ordini privilegiati, nobiltà e clero, maggiori diritti che al Terzo Stato, proclamava in tutte lettere quali erano le restrizioni dei diritti dei cittadini non appartenenti agli ordini privilegiati. Era una società che confessava apertamente le sue contraddizioni, perché rimandava la soluzione di queste contradizioni all'oltre tomba: l'uomo che sentiva la sua disuguaglianza su questa terra, si consolava pensando che era uguale agli altri nell'aldilà e si rassegnava a un'oppressione che riguardava solo il breve periodo di passaggio su questa terra.

La society borghese è sorta negando questi principi, e sorta chiedendo che la società risolvesse le sue contradizioni in questo mondo e che cessassero gli ordini privilegiati e l'oppressione che ne derivava.

Perciò essa ha dovuto risolvere queste con-tradizioni su questa terra; ma poiché d'altro lato ha creato nuovi privilegi economici, essa ha potuto risolverle solo su un piano giuridico formale, cioè il contrasto esiste ancora, l'oppressione è ancora più dura, il proletario di oggi è in condizioni pia gravi di quelle del servo della gleba; ma esso è formalmente uguale agli altri uomini. L'uguaglianza non si realizza più soltanto dinanzi alla tomba, ma dinanzi alla legge: formalmente la società borghese risolve tutte le sue contraddizioni e per ogni soperchieria brutale che il capitalismo compie, per ogni forma di sfruttamento che il capitalismo impone alle classi oppresse, esso deve sempre trovare una giustificazione ideate. Di fronte ad una contradizione che si aggrava sul piano sociale, bisogna sempre trovare una apparenza di soluzione valida sul piano formale: ed e questo il servigio che i ceti medi rendono alle classi capitaliste, e appunto il servigio di tradurre in questo linguaggio ideale e formale le contradizioni brutali della società.

E non c’è nulla di più assurdo nella situazione d’oggi del buon piccolo e medio borghese che ogni giorno e brutalmente spogliato della sua proprietà dal grande capitale attraverso la pressione fiscale, le svalutazioni monetarie, il giuoco di borsa, e, ciononostante, si proclama ,difensore della proprietà e naturalmente della proprietà, così com'è, cioè della proprietà capitalistica, contro il socialismo.

Non v'e nulla di più assurdo nella posizione di questo medio e piccolo borghese oppresso nella sua libertà, perché ogni giorno più ridotto a mero strumento della politica capitalistica - sulla quale non esercita alcuna influenza -, costretto perfino ad assimilare le idee che gli fornisce bell'e fatte la stampa dell'imperialismo, la cui possibilità di informazione è annullata e la cui libertà di giudizio è violata sin nell'intimo delle coscienze, e che ogni giorno di più si fa difensore della libertà esistente, cioè dell'ordine stabilito, contro le minacce che gli verrebbero dal socialismo.

E veramente una situazione assurda e io la sottolineo in questo dibattito, perché credo che essa ci aiuti a mettere in rilievo quello che, secondo me, è l'elemento che va denunciato nello strumento che è sottoposto alla Nostra ratifica. Il Consiglio europeo, cioè, è la maschera progressista, idealista che deve coprire due realtà brutali: la manomissione economica che l'imperialismo, il grande capitale americano esercita sull'Europa e la politica del blocco occidentale in funzione antisovietica.

Tradurre questa politica nel linguaggio del federalismo, esprimere cioè questa realtà di sopraffazione e di soperchieria in termini ideali, è un mezzo che serve a fare accettare questa politica, a molta gente in buona fede per poi servirsi di tutta questa gente in buona fede come specchio per le allodole onde trascinare certi strati della popolazione della stessa parte. Ed è in questo spirito che si parla dell'Unione europea come della terza forza possibile fra Stati Uniti e l’U.R.S.S. Se ne parla veramente sempre meno, ma l'onorevole Sforza a Bruxelles il 20 giugno ha ripreso questo concetto, affermando che l'Europa unita ha la possibilità di porsi sullo stesso piano degli Stati Uniti e dell'U.R. S.S. In realtà l'onorevole Sforza sa che politicamente questo non è vero: basta pensare che questa Unione europea, che l'onorevole Sforza vede rappresentata soprattutto dal patto atlantico, riceve dall'America persino i mezzi per armarsi, ed e chiaro che gli Stati Uniti non ci danno le armi perché noi diveniamo una potenza politica sul piede di parità, ma ci danno le armi perché essi pensano di farci servire ai loro fini. Ma non è poi vero neppure economicamente che si possa pensare all'Unio-ne europea come ad un elemento che possa controbilanciare la potenza americana. Noi sappiamo che l'Europa occidentale, cosi come e uscita dalla guerra, e senza rapporti di scambi con l'Europa orientale, è un'Europa incapace di vivere. Rinunciando agli scambi con l'Oriente, cioè le zone con cui sarebbe possibile stabilire un regolare rapporto di vendite di prodotti industriali e di acquisto di prodotti agricoli, i governi dell'Europa occidentale si sono messi deliberatamente alla merce degli Stati Uniti. Noi sappiamo che su questa via l'Europa occidentale non si ricostruirà più, non acquisterà più la sua indipendenza ma, al contrario, si infeuderà, sempre più agli Stati Uniti. Infatti, neppure net 1952, alla fine del piano Marshall, l'Europa occidentale avrà potuto trovare il suo equilibrio economico, perché la bilancia commerciale dell'Europa occidentale è desinata su questa base a rimanere in perpetuo squilibrio e la bilancia dei pagamenti si equilibrerà, soltanto con gli apporti americani, i quali ci verranno sia a titolo di prestito, sia a titolo di investimento diretto di capitali, principalmente nei paesi che hanno materie prime o là dove c’è la possibilità di meglio sfruttare la mano d'opera, secondo il sistema classico del colonialismo. L'impossibilita, di trasferire in America sia gli interessi dei capitali prestati, sia il profitto di quelli direttamente investili determinerà un acceleramento nel ritmo degli investimenti stessi e della colonizzazione dell'Europa.

Naturalmente, perché gli investimenti siano più allettanti, l'America ha bisogno di grandi mercati e l'interesse che l'America dimostra per le unioni doganali, la pressione che l'America esercita per ottenere un'Europa unite, in questo modo, l'interesse ad annullare le frontiere, non hanno per scopo di creare una terza forza, ma semplicemente attestano il suo bisogno di dominare i mercati dell'Europa, di avere, un grande spazio a sua disposizione, per poter governare meglio e più economicamente il dominion europeo. Hitler faceva la stessa politica e la chiamava Gleichschaltung. Di tutto ciò noi troviamo anche un'eco nei congressi dei federalisti, dove tanta brava gente applaude a mozioni in cui in cui parla indifferentemente dei diritti della personalità umana e della libera circolazione delle merci, e si vuole intendere la libera circolazione delle merci americane o fabbricate da industrie che siano sotto il controllo del capitale americano. È un'illusione quindi pensare che l'Unione europea possa favorire, per esempio, una cartellizzazione dell'industria europea capace di vera indipendenza di fronte agli Stati Uniti.

La cartellizzazione dell'industria è un fenomeno che si manifesta sotto la pressione del capitale finanziario, che noi sappiamo essere dominato oggi dagli Stati Uniti d'America, perché la cartellizzazione anche dell'industria europea si può fare soltanto nella misura in cui piaccia agli Stati Uniti. Pensare il contrario significa ignorare anche gli aspetti più semplici della fase attuale del capitalismo.

Per apprezzare l'identità della politica della cosiddetta Unione europea con quella americana, basta vedere le dichiarazioni fatte da uomini politici esponenti delle due correnti. Andre Philip, noto europeista francese, dice: « La Ruhr è veramente la pietra di paragone di questa Europa unita che vogliamo creare ». E Acheson, l'attuale segretario di Stato americano diceva, quando ancora non era segretario di Stato, all'epoca del lancio del piano Marshall: « La ricostruzione prioritaria della Ruhr è la pietra angolare del piano Marshall ». È chiaro quindi che questa cartellizzazione dell'industria europea e questa Unione europea (chi dice Ruhr dice cartello dell'acciaio) si spiegano e si manifestano nella direzione che l'America vuol loro dare. È superfluo sottolineare l'importanza di questa cartellizzazione dell'industria della Ruhr per la politica europea.

La Ruhr è stata negli ultimi decenni veramente la pietra angolare del dominio dell'Europa. Hitler ha potuto conquistare l'Europa perché aveva la Ruhr. La sua importanza spiega la politica francese e la politica americana di occidente. L'America infatti ha rapidamente abbandonato la politica antinazista e antifascista che aveva fatto in Germania, cosi, come per le stesse ragioni, l'ha abbandonata in Giappone. Ha rimesso in auge i grandi industriali fascisti, e ha ricostruito le industrie monopolistiche della Germania e del Giappone, non pin in servizio dell'imperialismo tedesco e giapponese, ma dell'imperialismo americano, che si assume il controllo finanziario di queste industrie, pur concedendo una partecipazione agli industriali fascisti tedeschi e giapponesi, che erano i vecchi proprietari e che sono ora degli associati minori alle fortune del capitale finanziario americano.

E’ ora attorno a questa posizione che si fa una politica di Unione europea; e attorno a questa, posizione che si fa una, politica di cartellizzazione delle industrie, che significa dominio del capitale monopolistico americano in Europa. I due termini, Unione europea e dominio del capitale americano, coincidono.

Se questa politica è desinata a fare altri passi avanti, noi assisteremo a profonde riforme nella struttura dell'Europa occidentale. In ogni paese sopravviveranno soltanto le industrie che l'America avrà interesse di far sopravvivere, e del resto fin da ora noi assistiamo in Italia al crollo di molte industrie in gran parte per questa ragione. in Francia già vediamo le preoccupazioni che sorgono di fronte alla sorte che potrebbe attendere, in un'Europa di questa natura, le industrie aeronautiche e le industrie idroelettriche, desinate a cartellizzarsi nel massiccio alpino.

Un'Europa che cammina su questa, strada, un'Europa che tende ad unificarsi in funzione del capitate americano, è un'Europa che tende a far sparire, che tende a distruggere le piccole e medie industrie; che tende a portare all'esasperazione i contrasti di classe, e a far sentire sempre più la pressione brutale del capitale finanziario monopolistico. La lotta di classe non può che venirne accresciuta, e non può che accrescersi la disoccupazione, che accompagna sempre i fenomeni di concentrazione e di cosiddetta razionalizzazione dell’industria. Ma la piccola e la media borghesia ne sarebbero anch'esse inesorabilmente schiacciate. D’altra parte, si accrescerebbe anche un altro aspetto della politica dell'imperialismo: la manomissione dei grandi trusts, dei grandi monopoli sullo Stato e sui pubblici poteri.

Quanto più lo Stato si ingigantisce, quanto più i suoi compiti si fanno vasti e complessi, tanto più la politica dello Stato sfugge al controllo diretto delle masse popolari, tanto più diventa facile la pressione, la manomissione e l'esercizio diretto del potere da parte dei gruppi monopolistici.

Ed anche quella decadenza del Parlamento, di cui si è parlato motto in questi ultimi tempi qui da noi, è in funzione di questi fenomeni. I grandi trusts e i grandi monopoli preferiscono risolvere i grossi problemi dell'economia, della finanza e della politica nel chiuso dei consigli d'amministrazione e dei gabinetti dei ministri. Che cosa sanno, per esempio, oggi, il proletariato inglese e americano, che cosa sa lo stesso parlamento inglese della reale portata degli enormi conflitti di interessi che si nascondono dietro la lotta fra sterlina e dollaro?

Abbandoniamo quindi questa illusione di una Unione europea in funzione di terza forza ! Noi sappiamo che ogni passo avanti che si fa verso questa cosiddetta unione è un passo avanti sulla via dell’assoggettamento - dell'Europa al dominio del capitale finanziario americano ed e altresì un passo avanti verso la formazione di una piattaforma europea in funzione antisovietica.

Ridotta a questa espressione, l'Unione europea somiglia profondamente all'Europa di Hitler: anche allora « Europa in marcia» era una delle espressioni care alla dominazione nazista, cosi come oggi « Europa in marcia » è espressione cara alla dominazione americana.

So che a questa nostra impostazione si è fatta e si fa questa obiezione: ma allora, voi socialisti avete abbandonato l'internazionalismo, siete diventati i difensori e custodi gelosi della sovranità dello Stato, the è una concezione ormai superata? Ebbene, no: noi siamo fermi più che mai nella nostra posizione internazionalistica, noi siamo sempre perfettamente coerenti con la nostra concezione. Noi sappiamo che Marx scrisse: « gli operai non hanno patria », ma Marx ci insegnò altresì che ii proletariato deve acquistare la sua coscienza nazionale e che esso l'acquista a misura che esso si emancipa, a misura che esso strappa delle mani della borghesia l'esercizio esclusivo del potere politico e si presenta sulla scena della storia come classe che esercita la pienezza dei suoi diritti. Perciò l'internazionalismo del proletariato si fonda sull'unita, e sulla solidarietà di popolo in cui tutti i cittadini, attraverso l'abolizione dello sfruttamento di una società classista, conquistano la propria coscienza nazionale.

In questo senso, oggi, la lotta che combattiamo sul terreno della lotta di classe, la lotta per l'emancipazione del proletariato è un tutt'uno con la lotta per difendere il nostro paese dalla invadenza del capitalismo americano. I lavoratori che lottano, lottano congiuntamente contro to sfruttamento di classe e contro lo sfruttamento che di essi pretende fare il capitalismo americano, il quale vuole essere associato al capitalismo nostrano nella spartizione dei profili ottenuti attraverso lo sfruttamento delle classi lavoratrici.

Noi sappiamo che in questa lotta il proletariato combatte insieme per due finalità e che in questa lotta esso acquista contemporaneamente la coscienza di classe e la coscienza nazionale, ponendo le basi per un vero internazionalismo, per una federazione di popoli liberi che non potrà, essere che socialista ! In altre parole, il movimento operaio si inizia in un'epoca in cui l'operaio è quasi poste al bando della società, in cui l'operaio è sfruttato fino al punto di essere praticamente escluso da ogni diritto da una classe che in questo modo gli nega veramente l'appartenenza alla patria, in quanta fa dello Stato e della nazione uno strumento della sua politica e uno strumento del suo dominio e del suo sfruttamento, ma l'evoluzione del movimento operaio porta il proletariato ad inserirsi sempre più vivamente nel tessuto della vita nazionale per strapparne il monopolio alla borghesia, e, fa coincidere sempre più la lotta per emancipazione, la lotta di classe con l'acquisto della coscienza nazionale, nel senso che toglie alla nazione il carattere di espressione esclusiva della classe dominante.

Il cammino, viceversa, della borghesia, è l'opposto. La borghesia nasce con una coscienza nazionale all'origine e, si pone come classe nazionale; lotta per superare le divisioni the erano retaggio della vecchia organizzazione feudale, lotta per abbattere le dominazioni straniere che erano retaggio delle vecchie contese dinastiche, e soprattutto lotta perché il capitalismo si assicuri le condizioni di un libero sviluppo sulla base di un sufficiente mercato. E questa soprattutto opera del capitalismo, industriale; ma a misura che il capitale finanziario si sovrappone al capitale industriale ed esercita il suo diretto donino nell'apparato statale, esso rivendica sempre nuove posizioni. Lo Stato nazionale diventa nazionalistico e imperialistico. Il capitale finanziario, per sua natura aggressivo, espansivo, esce dai limiti del proprio paese e tende a conquistare altre terre, assoggettare altri paesi, tende ad estendere la sua sfera di influenza economica; entra in conflitto con il capitalismo di altri paesi. Siamo nella fase delle guerre imperialistiche in cui la coscienza nazionale si esaspera a nazionalismo e in cui la borghesia considera più che mai lo Stato come strumento per questa sua politica di conquista, di aggressione, di sfruttamento non soltanto, delle classi lavoratrici proprie ma anche delle classi lavoratrici di altri paesi. Ma attraverso queste guerre imperialistiche tutte le borghesie dei paesi capitalistici esclusa quella americana, sono uscite stremate. Sono uscite incapaci di reggere le posizioni raggiunte e di superare le contraddizioni interne che lacerano in mode spaventoso ogni paese.

La situazione di questo dopoguerra è caratterizzata dal fatto che riesce impossibile alle borghesie, alle classi dominanti, indebolite dell'Europa occidentale, di conciliare la legge del profitto capitalistico con la necessità di garantire un sufficiente tenore di vita alle classi popolari, riesce impossibile difendere ancora i propri privilegi contro la pressione di classi che hanno acquistato la coscienza dei propri diritti e che non potendoli soddisfare nel quadro delle antiquate strutture minacciano di farle saltare. È allora che interviene il capitale finanziario americano per sorreggere queste classi decadenti condannate dalla storia e che non hanno più la forza di assolvere al loco compito storico, che difendono soltanto posizioni superate.

Interviene il capitale finanziario americano, il più forte, il più aggressivo, il più potente, il solo che non conosca rivali nel mondo capitalistico, il quale garantisce, sì, ad ognuna delle borghesie di questi paesi la difesa dell'ordine sociale, ma vuole assicurare a se stesso la più larga parte del profitto, disposto a chiamare le borghesie capitalistiche dei singoli paesi quali associate allo sfruttamento sempre più intenso che esso fa delle classi lavoratrici. È questa politica - come ho ricordato in occasione della discussione sul patto atlantico- che gli USA hanno sempre applicato per un secolo all’America latina, dove ben pochi paesi godono ancora, qualche margine di indipendenza, ed è la politica che essi intendono applicare anche in Europa. Ed ecco che noi assistiamo a questo punto al passaggio improvviso di quelle borghesie occidentali dal vecchio esasperato nazionalismo, ad un'ondata di cosmopolitismo.

Ma cosi come il sentimento nazionale del proletariato non ha nulla in comune con il nazionalismo della borghesia, cosi il nostro internazionalismo non ha nulla in comune con questo cosmopolitismo di cui si sente tante parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale.

L 'internazionalismo, proletario non rinnega il sentimento nazionale, non rinnega la storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni di vivere pacificamente insieme. Il cosmopolitismo che oggi che le borghesie, nostrana e dell'Europa, affettano è tutt’altra cosa: è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera.

Non v'e oggi popolo al mondo che sia, pin internazionalista del popolo americano. Oggi negli USA chi non crede che questo sia il secolo americano, chi non crede che il popolo americano sia il popolo desinato a dominare il mondo, è considerato un non americano ed è messo al bando della vita civile. Eppure questo popolo degli Stati Uniti, presto popolo che in casa sera sua è il più nazionalista dei popoli della terra, oggi, quando si rivolge ai popoli dell’Europa parla con affrettato dispregio dei pregiudizi nazionali, come di un elemento di arretratezza, e trova subito nei capitalisti europei dei loro servi che sono pronti ad applaudire al cosmopolitismo. Le stesse borghesie italiane e francesi, che furono per molti anni accese scioviniste, e si trovarono poi con la massima indifferenza pronte a subire la dominazione hitleriana per difendere i propri interessi e privilegi, oggi con la stessa indifferenza sfacciataggine proclamano il verbo del cosmopolitismo e dell'europeismo per servire gli interessi del capitalismo americano. Esse cercano di pervertire con questo veleno il vero sentimento nazionale. Noi possiamo leggere, per esempio, sotto la penna di uno dei più smaccati servitori della borghesia francese di oggi, il Malraux, frasi di questo genere: “L'uomo diventa tanto più uomo quando non è unito al suo paese».

Anche la propaganda hitleriana era basata come quella americana, di oggi, su questo stesso dualismo. il popolo tedesco parlava di sé come di un popolo eletto, popolo desinato a dominare il mondo; quando si rivolgeva agli altri popoli, parlava viceversa, di europeismo.

Io vorrei ricordare in questa nostra discussione le parole che net 1941, a questo proposito, scriveva un eroe e un martire della Resistenza francese, Giorgio Politzer, su un fascicolo clandestino di una delle riviste più autorevoli della cultura francese La Pensee libre, esse si attagliano proprio al caso nostro: « Noi non abbiamo bisogno - diceva parlando in polemica con gli hitleriani e interpretando il concetto hitleriano - non abbiamo bisogno di tante nazionalità in Europa. La loro esistenza è perfettamente assurda. Dal punto di vista « dell'organizzazione razionale dell'industria » due nazionalità sono sufficienti, una per gli sfruttatori e una per gli sfruttati, una per i padroni e l’altra per gli schiavi. Francesi, belgi, olandesi, russi, polacchi, cechi, servi, bulgari, sloveni, croati, rumeni, albanesi, bosniaci, ungheresi, turchi, norvegesi, svedesi, danesi, finlandesi, portoghesi, inglesi e anche italiani e spagnoli, costituiscono un lusso. È necessario capire. Questi popoli hanno il loro assurdo sentimento nazionale e le loro assurde aspirazioni patriottiche. Perché e bene il termine « assurdo » che bisogna adoperare. Ne risultano perturbazioni nella produzione, quindi una diminuzione di rendimento... Le cause di spreco e di «diminuzione di efficienza » che rappresentano il sentimento nazionale e le aspirazioni patriottiche degli schiavi devono dunque essere eliminate. Per sopprimere le lotte nazionali bisogna sopprimere le nazioni. Bisogna dunque che « la tecnica tedesca di provata superiorità » intervenga per creare, dopo il piatto unico per i tedeschi, la nazionalità unica per i popoli oppressi. A titolo di consolazione, questa nazionalità unica destinata agli schiavi, può chiamarsi « la nuova nazionalità europea ».

Queste parole, scritte nel 1941, si possono applicare perfettamente al caso nostro. Sostituite alla tecnica tedesca la tecnica americana e voi avete lo stesso risultato, la stessa coscienza cosmopolita, la stessa, coscienza europea che ci viene oggi cosi caldamente raccomandata. Il nome di cosmopolitismo, del resto, che si dà, oggi a giustificazione di questa politica borghese di capitolazione, mi suggerisce un altro paragone storico, che va, naturalmente preso con tutte le debite riserve che ci sono sempre in questi paragoni storici, e senza nessuna ombra di schematismo.

Quando la classe dirigente greca, che aveva vissuto fino allora nei quadri della polis, giunse alla decadenza e si mostrò incapace di guidare ulteriormente le sorti del popolo greco, si piegò sotto la pressione dell'impero macedone ed accettò di federarsi nella lega di Corinto - come noi oggi ci federiamo nel Consiglio d'Europa - una lega che avrebbe dovuto essere una lega ellenica, ma che anche essa, come il nostro Consiglio di Europa, aveva un capo extra-ellenico.

Gli appelli all’unità ellenica avevano risuonato anche prima del IV secolo in Grecia, come hanno risuonato in Europa prima di oggi, ma le classi dirigenti greche finché avevano potuto svolgere la propria politica di arricchimento e di dominio nel quadro della polis avevano irriso alle « utopie » del cosmopolitismo. Soltanto quando si trovarono impotenti anch’esse ad assolvere al proprio compito storico, quando si trovarono condannate dalla, storia, accettarono, sotto la pressione di un imperialismo straniero, di inquadrarsi in questa nuova disciplina che veniva ad esse imposta, e chiamarono questa disciplina cosmopolitismo. Anche allora non mancavano gli pseudo democratici, come Eschina, che suggerivano a Filippo di Macedonia di svolgere la sua politica cli conquista, ma di fare largo uso della parola « libertà ». E non mancavano uomini, come Isocrate, che facevano bellissime orazioni in difesa dell'ellenismo e salutavano in Filippo di Macedonia, conquistatore e padrone, il realizzatore dell’unità ellenica. E anche allora la lega di Corinto dichiarava di sorgere, come si fa oggi, per difendere due principi ideali: la pace e la concordia. La pace! La prima cosa che decretò fu la guerra contro la Persia in ottemperanza ai desideri espansionistici di Filippo.

La concordia! La concordia significava allora impedire qualunque tentativo cli modificare l'ordine sociale costituito nelle singole citte; la concordia significava allora consolidare il dominio delle oligarchie esistenti e irrigidire i rapporti sociali a tal punto che, nel piano di fondazione della lega, si prescrisse perfino il divieto di affrancamento degli schiavi, perché sembrava una misura troppo rivoluzionaria. Questo, dice un grande storico della Grecia, il Glotz, perché «il synedrion degli Elleni non è che uno strumento nelle mani di un padrone. E Filippo, che lo conduce o lo fa convocare, perché egli e il comandante militare. E lui, probabilmente, che nomina, come missi dominici, i personaggi incaricati di sorvegliare le città sospette. Egli è tutto, perché è e resterà il comandante dell'esercito, il capo di guerra. Per cominciare, fa fare in tutte le città un censimento degli uomini in grado di portare le armi al fine di stabilire i contingenti da esigere. Eccola l'unita della Grecia, dice Glotz, come si è fatta «sull'ordine del Macedone ». I greci giustificarono anche allora, come dicono oggi le nostre classi dirigenti, questa loro politica di capitolazione e conservazione con il nome di cosmopolitismo.

E in nome di questo andarono a combattere per i loro padroni. E quando i greci, combattendo nelle file macedoni, ebbero invasa la Persia, trovarono dall'altra parte altri 20 mila greci che combattevano nell'esercito del Gran Re. Quelli che erano i valori spirituali che la vecchia civiltà greca aveva elaborato durante il suo splendore, non andarono certo perduti, ma questa politica di asservimento allo straniero, dopo avere ridotto i greci a semplici mercenari, li condannò a una decadenza da cui non si sono più risollevati.

Le condizioni storiche oggi sono molto diverse. Vi sono oggi classi progressive, capaci d’imprimere un nuovo corso alla storia di Europa. Ma lo spirito con cui la nostra borghesia, nazionalista fino a ieri, difende oggi questo suo preteso cosmopolitismo, non è diverso dallo spirito con cui le decadenti classi dominanti nella Grecia cercarono di salvare i propri privilegi sotto la protezione di un padrone. Anche la nostra borghesia, finché ha trovato la possibilità di difendere i suoi privilegi e di realizzare la sua politica nel quadro dello stato nazionale, si è irrisa di questi progetti di unità europea, cd super-nazionalità.

I progetti di Briand del 1930 sono falliti, onorevole Sforza, non come ella ha detto Bruxelles, perché troppo complicati - ella sa molto meglio di me che al tavolo diplomatico ci è sempre modo di risolvere questi problemi puramente formali - sono falliti perché il capitale finanziario allora si muoveva ancora nel quadro dello stato nazionale; eravamo ancora in fase di grave conflitto tra i capitali finanziari del singoli paesi; il capitale europeo non aveva ancora trovato un capitale più forte, come quello americano che lo riducesse all'obbedienza. L'Europa non aveva ancora allora trovato la sua vera capitale a Wall Street. Questa la ragione per la quale nel 1930 sono falliti i progetti di Briand. Questa la ragione per cui oggi si realizzano i nuovi progetti.

Ecco pertanto la mia conclusione. Noi non vogliamo assurdi ritorni al passato. il processo di concentrazione capitalistica e in atto; il processo di predominio del capitale finanziario segue il suo corso; esso ingigantisce le contradizioni di classe, ingigantisce le contradizioni del mondo capitalistico. E noi socialisti siamo la coscienza vivente di queste contradizioni, che nascono da questo mondo e da questa società. Il capitalismo tende a coprire la sua brutale politica con un'apparenza ideale, cerca di risolvere su questo piano puramente formale le sue 'interne contradizioni. Coloro che, coscientemente o incoscientemente, sono al servizio degli interessi del grande capitale, sono sempre pronti a tradurre in linguaggio idealistico le brutali soperchierie e le imprese del capitalismo. E’ il compito di un Leon Blum e di un Andre Philip.

Il compito nostro, il compito di un partito di classe è quello di ritradurre in linguaggio di classe queste contradizioni del mondo capitalistico, è, per esprimersi con frase marxista, quello di rendere ancora più oppressiva l'oppressione reale aggiungendovi la coscienza dell'oppressione, di lottare cioè non per contrastare il cammino della storia; ma, per fare sfociare le contradizioni, che lacerano questo mondo, nella loro vera soluzione, per risolverle non sul terreno formate e giuridico; ma sul terreno reale del superamento delle contradizioni, cioè dell'avvento di una società migliore.

Noi voteremo quindi contro questa ratifica, perché nel Consiglio europeo vediamo molto più di quanto non sia scritto in questi articoli: vediamo una unità europea che vuol raggiungersi al servizio dei trusts americani; vediamo i passi già fati e quelli ancora da fare semplicemente come condizioni per la migliore attuazione di una politica di classe, che noi condanniamo.

Voi passerete oltre alla nostra opposizione, come passerete oltre alla nostra opposizione al patto atlantico. Gli strumenti di questa politica di dominazione, di questa politica di lacerazione interna, di profondi conflitti continueranno ad accumularsi nelle vostre mani e nelle mani dei vostri amici di oltre Atlantico; e nella misura in cui voi li accumulate, voi esasperate le contraddizioni della società, voi acuite la lotta di classe; nella, misura con la quale li accumulate, voi avvicinate la nostra vittoria.

E’ stato detto che quando la notte appare più buia, l'alba è vicina; quanto più voi crederete di aver garantito la vostra sicurezza, quanto più voi crederete di avere assicurato il vostro dominio e di avere steso sull'Europa l'ombra buia di questa reazione, tanto più vicina sarà l’alba del nuovo giorno che sta per spuntare. Noi ne abbiamo la certezza, signori del Governo, perché noi siamo fra coloro che non hanno bisogno di aspettare che il sole sorga, per credere alla luce. (Vivissimi applausi all'estrema sinistra - Molte congratulazioni)



[Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, I legisl., Discussioni, seduta del 13 luglio 1949, p. 10292-10302]




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