martedì 28 aprile 2020

"La Confindustria punta sul M.E.C. per liquidare l'industria di Stato"


 "La Confindustria punta sul M.E.C. per liquidare l'industria di Stato"


 Si ripropone in questo post parte di un articolo di prima pagina dell'Unità del 21 luglio 1957 che pone in una prospettiva diversa (di classe) l'iniziativa di integrazione europea che allora, alla vigilia dei trattati di Roma, le forze politiche al potere nei paesi fondatori, principalmente cristiano sociali, intendevano portare avanti in particolar modo a beneficio dell'oligopolio - nell'ottica del PCI - industriale europeo e a danno dei lavoratori. Il PCI, in particolare, di cui l'Unità era organo d'informazione, intravedeva nei trattati la volontà di: "imporre una gestione 'economica' delle partecipazioni statali, cioè ridurle al minimo; astenersi da ogni tipo di nazionalizzazione e 'paranazionalizzazione' (...); 'arrivare al massimo della libertà nel campo agricolo' (...)". 


L’Unità, 21 luglio 1957


«II discorso dell'on. Malagodi sui trattati del Mercato comune e dell'Euratom ha caratterizzato la seduta di fine settimana della Camera. Nessuno meglio del leader liberale i cui legami con la Confindustria e la Confida sono noti a tutti, poteva esprimere giudizi indicativi sui trattati: ogni sua argomentazione ha mostrato con grande chiarezza il vero volto dell'operazione che il governo italiano si accinge a varare. Infatti, dopo le consuete generiche espressioni di fiducia del Mercato comune come risolutore di tutti i principali problemi italiani, dopo le insulse osservazioni sulle critiche che ai trattati muovono non solo i comunisti, ma anche i socialisti (queste critiche secondo il portavoce della Confintesa sarebbero “reazionarie”), Malagodi è arrivato al nodo. “Dai trattati — egli ha rilevato — non possono non derivare logiche conseguenze di politica interna poiché non è possibile seguire un indirizzo (che è quello della massima libertà ai potenti monopoli interni e interazionali) per applicare il Mercato comune e l'Euratom, e uno diverso all'interno del paese. Le “logiche Conseguenze” Malagodi le ha enunciate con tutta tranquillità: imporre una gestione “ economica” delle partecipazioni statali, cioè ridurle al minimo; astenersi da ogni tipo di nazionalizzazione e “paranazionalizzazione” (e egli ha indicato, come esempio, il riscatto delle concessioni telefoniche, “demagogico e senza alcuna utilità economica”); “arrivare al massimo della libertà nel campo agricolo” attraverso il rigetto di ogni norma democratica sui contratti agrari, la revisione del sistema fiscale delle sovraimposte locali, dei contributi unificati e dell’imponibile di mano d'opera e la fine di ogni suddivisione della terra: tutto ciò per “non togliere ai proprietari ogni interesse” e metterli in condizione di far fronte alla concorrenza straniera; ridimensionare il sistema previdenziale “perché costi di meno”: rivedere i “controlli inutili e vessatori” sulla produzione industriale e “riesaminare” in proposito le norme fiscali, per favorire i magnati dell’industria. Se non si agisse in tal modo, l'Italia non potrebbe usufruire dei “vantaggi” dei trattati europei; e, per poter seguire questo indirizzo — ha precisato il leader liberale — occorrerà anche “rivedere lo schema Vanoni”: il che, in parole povere, significa metterlo definitivamente da parte, dato che esso indica esattamente la via opposta a quella suggerita da Malagodi. Malagodi ha dato per scontato che quanto da lui indicato debba essere seguito se si vorranno applicare davvero i trattati. Di fronte a ciò, egli si è chiesto, perché mai i socialisti hanno deciso di non votare contro? Secondo Malagodi, ciò si deve al “tatticismo di chi vuole lasciarsi aperta qualche porticina” e all'istinto della realtà del quale “molti socialisti che non hanno provenienza marxista” sono forniti. Comunque, Malagodi se ne è mostrato soddisfatto, notando che “è la prima volta che concetti di libertà toccano questa parte"[…].»



(“La Confindustria punta sul M.E.C. per liquidare l’industria di Stato”, L’Unità, 21 luglio 1957)

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