sabato 25 aprile 2020

Dalla colonizzazione portoghese a quella spagnola: i primordi della colonizzazione europea




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 Dalla colonizzazione portoghese a quella spagnola: i primordi della colonizzazione europea

La prima apertura di una via marittima per l’India avvenne grazie alla scoperta del “Capo delle tempeste”, che Bartolomeo Diaz doppiò nel 1487-1488 e che venne ribattezzato da Giovanni II di Portogallo “Capo di Buona Speranza”.  Circa un decennio dopo il nuovo re portoghese Emanuele I inviò Vasco da Gama nelle Indie, il quale raggiunse Calicut nel 1498, ritornando a Lisbona con un primo carico di spezie. [1] Fu solo però grazie ai «consigli dei navigatori indiani e arabi che egli incontrò nei porti di Malindi e Mombasa, già esistenti in Africa orientale, e che lo istruirono su come sfruttare i venti monsonici», che Da Gama poté giungere in India.[2]

Cristoforo Colombo, che era stato testimone dell’impresa di Diaz, tornò a Lisbona nel 1493 dal suo primo viaggio sostenendo di avere raggiunto le Indie effettuando la navigazione verso ovest (per usare l’espressione spagnola “buscando el levante por el ponente”).[3] Lo stesso anno una bolla di papa Alessandro VI stabiliva un confine a un centinaio di leghe a est delle Azzorre, considerando ciò che stava ad ovest di esclusiva pertinenza spagnola. Il trattato di Tordesillas nel 1494 fisserà a 270 il limite di leghe a partire dalle Azzorre, assegnando al Portogallo vasti possedimenti nel Nuovo Mondo, nonché il passaggio per l’India.



L’esperienza portoghese

La scoperta di Da Gama, consentendo il periplo dell’Africa, garantiva ai lusitani di affrancarsi dall’intermediazione musulmana e italiana negli scambi lungo la rotta carovaniera d’Oriente.[4] Essa giungeva alla fine di una lunga serie di conquiste e esplorazioni rivolte lungo la costa atlantica dell’Africa e condotte tra il 1432 e il 1485. In cinquant’anni i portoghesi avevano costruito una rete di basi commerciali lungo la costa africana, scoprendo giacimenti auriferi in Guinea e Costa d’oro (Ghana), dove il metallo poteva essere barattato con prodotti di scarso valore. [5] L’area dell’Africa sahariana fino alla linea meridionale della palma e del Sahel era interessata da una rete di traffici carovanieri che conducevano il pepe e l’oro africano alla costa mediterranea dell’Africa (e poi in Europa), da Timbuctu a Tunisi attraverso carovane composte da migliaia di cammelli e dromedari.[6]
La nuova spedizione di Pedro Alvarez Cabral iniziata nel 1500 consentì di scoprire fortuitamente il Brasile in marzo, giungendo in settembre a Calicut, precedentemente toccata da Da Gama, che non fu il primo a giungervi, dato che durante il primo viaggio di Da Gama gli indiani compresero subito che un uomo dell’equipaggio mandato in avanscoperta era iberico. [7] Scrive infatti Charles H. Parker:


L’imperialismo europeo era cominciato molto tempo prima che Vasco da Gama giungesse sulle rive di Calicut nel 1498. Nelle terre più occidentali dell’Eurasia, i navigatori portoghesi avevano iniziato a cercare rotte più veloci per l’Asia già nel XIV secolo.[8]

Intanto un incidente occorso a Calicut, retta dallo zamorin locale (samudri in sanscrito), il quale attaccò il presidio portoghese, fu il primo episodio del conflitto che opporrà i portoghesi ai sovrani costieri indiani. Il samudri del vicino centro di Cochin concesse la costruzione di un fondaco da cui Cabral tornò a Lisbona con un ingente carico di spezie. Una nuova spedizione comandata da Da Gama imporrà brutalmente il dominio su Calicut e Cochin e in generale sull’intera costa di Malabar tra il 1502 e il 1504. La risposta islamica fu in qualche modo tardiva e lasciata all’iniziativa del sovrano locale di Gedda, nel Mar Rosso, che faceva parte del sultanato mamelucco del Cairo. [9]
Emauele I intanto nominava Francisco de Almeida proprio viceré per i nuovi possedimenti asiatici. Questi, dopo aver consolidato le conquiste esistenti e fattene di nuove, creò il sistema dei permessi di transito (cartazes) nell’Oceano Indiano, in base al quale si tentava di imporre un monopolio portoghese, e strinse accordi col sultano della Malacca. La risposta dei sovrani musulmani contro i franchi, come erano noti ancora gli europei dal tempo delle crociate, fu infelice.[10] Forze ingenti (per un totale di ca. 200 vascelli) ma inadeguate del sultanato del Gujarat, affiancate da truppe ottomane, furono inaspettatamente sconfitte nella battaglia di Cannanore del 1506. Solo nel 1507 le forze dell’emiro di Gedda Husein Mushrif al-Kurdi si congiunsero a quelle del governatore di Diu Malik Ayaz, che agiva per conto del sultano di Gujarat. [11] L’anno dopo la flotta portoghese comandata da Lourenco de Almeida, figlio del viceré, si scontrò nella battaglia di Chaul con quella musulmana patendo una pesante sconfitta.[12] La morte del figlio nella battaglia acuì il senso di vendetta in Almeida, il quale nel 1509 si presentò davanti alla città di Diu, distruggendo la flotta islamica ancorata nel porto.
Durante il governatorato di Alfonso de Albuquerque le conquiste portoghesi furono ulteriormente incrementate. I lusitani vennero in possesso di città strategiche all’imbocco del golfo Persico e del mar Rosso, come Hormuz (ma non di Aden), nonché delle posizioni all’incrocio dei traffici malesi e indonesiani, in particolare Malacca e le isole della Sonda, centrando il potere in India nella ricca città di Goa (occupata nel 1510), precedentemente sotto controllo della dinastia di Bijapur. [13]
L’iniziativa di Albuquerque pose le fondamenta di quello che sarà noto come Estado da India, con capitale Goa, da dove partiva il carico annuale della Carreira da India (comprendente prodotti come pepe, cannella, gemme, manufatti cinesi, tessuti pregiati), e un’estensione dal Mozambico a Macao, in Cina. Il dominio portoghese, dovette almeno inizialmente limitarsi a una organizzazione puntiforme, con il controllo dei punti chiave delle rotte mercantili, senza prevedere una colonizzazione dell’interno, anche se in seguito esso comportò un controllo territoriale con relativo impegno militare e amministrativo.[14] Del resto i portoghesi erano consapevoli che «l’Asia non era l’America: gli avversari non erano armati di clave di legno e di coltelli di ossidiana, bensì di armi da fuoco e di spade d’acciaio». [15] Di conseguenza la loro presenza fu sempre avversata non solo e non tanto dai sovrani musulmani, ma anche dai concorrenti europei (os enemigos de Europa).[16] Va detto che, almeno nell’Oceano indiano, gli europei riportarono vittorie contro regni isolati (in particolare i piccoli stati dei raja indù della fascia del Malabar, isolati dalla catena dei Ghati occidentali rispetto al subcontinente) e che le loro iniziative, limitate ad aree periferiche, potevano essere derubricate a né più né meno che atti di pirateria da parte dei sultani ottomani, mamelucchi e moghul, i quali non videro mai intaccati i loro grandi traffici via terra, né compromessi i loro introiti (per di più gli europei non acquistarono mai più del 10% del mercato del pepe o più che modeste quote di quello di altri prodotti come riso, cotone, cavalli, seta e porcellana).[17] Gli europei poterono peraltro giovarsi della “moneta forte” rappresentata dall’argento americano e africano e dei bassi prezzi dei prodotti asiatici, fintantoché i profitti in Europa si ridussero con il calo dei prezzi e il potere d’acquisto dell’argento si ridusse con la sua sempre maggiore diffusione in Asia.
In altre parole, per usare una similitudine ardita, «i portoghesi erano come pulci sopra un cammello».[18] Fu il brutale ricorso all’artiglieria di grosso calibro a bordo delle navi a fornire un vantaggio decisivo sul naviglio indigeno e consentire di impiantare terre franche e basi commerciali in territori stranieri nell’Oceano indiano, dove il commercio si era tradizionalmente svolto sempre in condizioni di tolleranza e di convivenza tra gruppi e interessi diversi. [19] Di conseguenza non si può parlare di “primato europeo” rispetto al contesto asiatico per il periodo che attiene alla fase dell’inizio dell’irraggiamento europeo, ovvero quella che va dal XV al XVIII secolo. [20] Anzi, all’alba dell’età moderna l’Europa può dirsi tributaria dell’Asia per quanto attiene tecnologia e sapere scientifico. [21]
In Brasile invece la penetrazione portoghese fu più lenta. Qui essi non trovarono oro, come gli spagnoli in Messico e in Perù, ma costruirono il sistema delle coltivazioni saccarifere (e poi anche del tabacco), fondato sull’importazione di schiavi dalla colonia regia dell’Angola, e sfruttarono la produzione del legno locale per la manifattura di mobili in Europa. Solo 48 anni dopo la spedizione di Cabral fu creato il primo governatorato generale con sede a Salvador e i francesi, giunti intanto anch’essi sulle coste brasiliane, furono espulsi nel 1567. [22] In India la presenza portoghese, come poi quella olandese e inglese, si limitava inizialmente all’acquisto di prodotti locali in cambio di argento, raro in Asia, non comportando il controllo diretto della produzione. Solo in seguito, nel XVIII secolo, quando il valore dei prodotti asiatici sarebbe crollato, gli europei iniziarono a prendere il controllo della produzione in loco e ad espandersi perciò nell’entroterra. [23] Già alla fine del XVII secolo, con la scoperta di giacimenti auriferi nell’interno, cominciò l’espansione in Brasile (condotta dai banteirantes, esploratori che presero parte alle spedizioni dette bandeiras che si spinsero ben oltre le frontiere di Tordesillas), dando vita a una vera “corsa all’oro”.[24]
Un lungo periodo di declino dell’Estado da India coincise con l’annessione armata della corona portoghese da parte di Filippo II nel 1580. Durante quest’epoca, la corona spagnola, nel suo intento di perseguire il progetto di una “monarchia universale”, annetté il Portogallo e tutto il suo impero. La guerra condotta in quel momento con l’Inghilterra e quella già in atto con l’Olanda portò a trascurare i possedimenti lusitani, che finirono facile preda degli appetiti coloniali olandesi e inglesi.[25] Durante la “cattività spagnola” le colonie chiave portoghesi andarono perdute. Solo alla metà del XVII secolo esse iniziarono ad essere recuperate, proprio in coincidenza con il ritorno al potere della dinastia di Braganza (1640). Le colonie portoghesi non solo furono riprese, ma fiorirono nuovamente in Angola e Brasile nel XVIII e XIX secolo. [26] Anche l’Estado riprese gradatamente stabilità, ma ciò di certo non ridusse le mire dei rivali.
Atlante catalano (1375 ca.), Abraham Cresques


L’esperienza spagnola

Quando il conquistatore spagnolo Vasco Nunez de Balboa per primo passò l’istmo di Panama nel 1513 comprese di essere di fronte ad un altro oceano, oltre quello atlantico alle proprie spalle. Fu chiaro che le Americhe non erano le Indie, come sostenne Colombo fino alla sua morte, ma che erano un’altra parte del mondo, un vero continente frapposto fra l’Europa e l’Asia. I viaggi di Amerigo Vespucci (1499-1502) lungo le sterminate coste americane confermavano la dimensione continentale della nuova scoperta. Sarebbe stato però solo con la spedizione di Ferdinando Magellano, al servizio di Carlo V, che gli spagnoli nel 1520 poterono accedere al Pacifico passando lo stretto che aggirava a sud il continente americano.[27] La spedizione di Magellano, morto durante l’impresa, completò la circumnavigazione del globo, smentendo definitivamente la tesi di Colombo.
La distruzione dell’impero azteco ad opera di Hernan Cortes e di quello inca ad opera di Francisco Pizarro ha dell’incredibile. Furono una serie di fattori a determinare il collasso delle due civiltà meso e sud-americane, primitive sì, ma fiorenti e con popolazioni di milioni di uomini. Tali fattori sono stati riassunti da Jared Diamond nel combinato fatale “armi, acciaio, malattie”. [28] Sarebbe da aggiungere un quarto fattore, quello dell’astuzia degli europei, derivante dalla maggiore conoscenza di culture esterne, grazie alla pratica della scrittura e della tradizione libraria, che gli abitanti del nuovo mondo non possedevano, essendo pochissimi coloro che sapevano scrivere. [29] Inoltre le civiltà precolombiane possedevano un livello tecnologico del tutto inferiore a quello degli spagnoli, che si servirono di cavalli, anch’essi sconosciuti in America, armi da fuoco in misura minore e spade capaci di fendere come il burro i farsetti intessuti dei nativi, nonché della strategia del “divide et impera” per schiacciare la resistenza indigena, fomentando la ribellione dei popoli sottomessi ora agli Inca, ora agli Aztechi (cempoaltechi e tlaxcaltechi più altre popolazioni, che parteciparono in decine di migliaia alla conquista).[30] A quanto pare queste civiltà vivevano isolate e sembra che Atahuallpa, il re inca catturato da Pizarro, non avesse idea del fatto che i popoli del centro-America fossero stati annichiliti dai conquistadores guidati da Cortes ben diciassette anni prima. [31] Parte del tesoro del re azteco Montezuma, spettante a Carlo V prese la via del mare al comando di due spagnoli che avevano preso parte alla conquista di Tenochtitlàn, ma durante la traversata vari incidenti, tra cui la liberazione di un giaguaro e qualche contesa per motivi di donne, prelusero alla perdita completa del carico per mano francese presso Cabo Sao Vicente. Forse le affermazioni sulla grandezza dell’impero di Carlo V dovrebbero tenere conto anche di queste vicende miserande legate a piccoli sudditi della monarchia asburgica (e per estensione all’intera vicenda coloniale), che magari farebbero riconsiderare l’idea di un’Europa con radici storiche nell’”impero su cui non tramontava mai il sole”,[32] o su un’Europa che affonderebbe le proprie radici nientemeno che nell’impero di Carlo Magno, anche se questi non aveva in mente alcuna idea di Europa, ma semmai avendo a riferimento l’antico Impero romano.[33]
I due vice regni creati nelle Americhe, quello della Nuova Spagna e del Perù fecero incamerare una somma enorme di ricchezze alla monarchia spagnola, in particolare di argento (ca. 2.000 tonnellate l’anno erano importate sul finire del XVI secolo[34]), ma anche di oro (181.000 le tonnellate estratte entro il 1650[35]). [36] Ma furono le Filippine, conquistate definitivamente negli anni 60’ del XVI secolo dalla spedizione di Miguel Lopez de Legazpi, giunto dal Messico, a fornire alla Spagna un canale importante di comunicazione con l’Oriente, in particolare con la Cina. Dalla città di Canton gli spagnoli importavano prodotti pregiati cinesi, pagati con l’argento messicano (miniere di Zacatecas, Santa Barbara, San Luis) e peruviano (estratto per la maggiore a Potosí) proveniente da Acapulco sotto forma di reales de a ocho, dopodiché attraverso le colonie spagnole d’America queste merci giungevano assieme alle spezie in Spagna, nei porti di Siviglia, dove aveva sede la Casa de la Contratacion, a Cadice.[37] Qui erano prevalentemente rivendute per il mercato europeo con percentuali di profitto all’inizio notevoli.[38] Lo scenario dell’arcipelago filippino era piuttosto composito all’arrivo degli spagnoli. L’impero majapahit, incentrato sull’isola di Giava, ultima testimonianza degli imperi indo-buddhisti dell’Asia sud-orientale, era crollato da quale decennio sotto la spinta del sultanato di Malacca, esteso sulla penisola malese.[39] La parte meridionale delle Filippine era interessata dal dominio majapahit, di cultura malese e indiana, ma alla fine del XIV secolo l’islam iniziò la sua penetrazione, condotto dai mercanti musulmani. Il nord del paese era governato da città stato spesso tributarie della dinastia Ming cinese, mentre l’isola di Luzon subiva l’influenza giapponese. [40]
A livello economico, lo sfruttamento intensivo (per non dire predatorio) delle risorse minerarie era accompagnato dalla pratica dell’agricoltura e dell’allevamento. L’encomienda, per la prima volta sperimentata nelle Canarie e in Spagna nei territori strappati ai musulmani, che furono il laboratorio della successiva macchina coloniale spagnola, era la base del controllo delle vaste distese di terre del Nuovo mondo.[41] L’encomienda era uno strumento di concessione feudale, in quanto prevedeva, esattamente come nella pratica feudale del medioevo, la fornitura del servizio militare (servitium) come forma di risarcimento al sovrano in cambio del beneficium. Lo sfruttamento delle piantagioni era l’altro cespite lucroso per la monarchia spagnola. Accanto alle coltivazioni saccarifere nelle pianure costiere, il tabacco divenne sempre più piantato nel corso del XVII secolo.[42] Tentativi della monarchia spagnola di limitare lo sfruttamento dei nativi non produssero grossi risultati. Prima le Leggi di Burgos, emanate nel 1512, primo esperimento di regolamentazione del sistema dell’encomienda nel Nuovo mondo, poi le Leyes Nuevas, emanate nel 1542, non poterono risolvere in problema della separatezza territoriale e della sostanziale autonomia in cui operavano le colonie. [43]La tratta degli schiavi, inoltre, essenziale per i carichi di lavoro disumani nella coltura di piantagione, era assegnata a compagnie private su concessione regia (asiento).  Se il commercio nefando di esseri umani era assegnato ai negrieri, attenuando il monopolio reale, di certo il monopolio religioso - il Padroado Real - faceva interamente capo alla corona spagnola (in virtù della concessione papale), che si intestava la nomina dei vescovi e controllava l’emigrazione del clero, curandosi di evitare che vi giungessero ebrei (tranne i marranos, poi ugualmente perseguitati dall’Inquisizione) e eretici. [44]
Resta da dire che la caduta degli imperi portoghese e spagnolo fu dovuta, più che a fattori interni, a eventi esterni. La fine dei grandi imperi iberici poté dirsi definitiva già nel terzo decennio XIX secolo (anche se un impero portoghese resistette in Africa in Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, isole di Capo Verde, con enclave in Asia a Goa, Macao e Timor Est). Addirittura nel Novecento, negli anni trenta, vi fu una risistemazione dei resti dell’impero lusitano nell’ambito dell’Estado novo proclamato da Antonio de Oliveira Salazar, ma questi territori costituivano parte della Repubblica portoghese. [45] L’invasione napoleonica segnò la campana a morto per l’imperialismo iberico. Sarà proprio una sollevazione di militari spagnoli in partenza per le Americhe (gennaio 1820), dove avrebbero dovuto sedare la paurosa rivolta di Simon Bolivar, guidati da Rafael del Riego a sancire il pronunciamento di Cadice con il quale si chiedeva la fedeltà del re alla legge costituzionale del 1812, emanata durante l’occupazione napoleonica.


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[1] G. J. Ames, L’età delle scoperte geografiche. 1500-1700, Il mulino, Bologna, 2011, p. 33.

[2] J. A. Goldstone, Perché l’Europa. L’ascesa dell’Occidente nella storia mondiale 1500-1850, Il mulino, Bologna 2010, p. 85.

[3] L’idea originaria era quella che, proseguendo sulla latitudine delle Canarie, si sarebbe imbattuto nell’isola di Cipango, il Giappone descritto da Marco Polo, parte estrema dell’Asia.

[4] Ivi, pp. 33-35.

[5] C. M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale, Il mulino, Bologna 2002, p. 255-257.

[6] Ivi, p. 257.

[7] C. H. Parker, Relazioni globali nell’età moderna 1400-1800, Il mulino, Bologna 2012, p. 7.

[8] Ivi, p. 26.

[9] Ames G. (2011), pp. 36-37.

[10] P. G. Donini, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Laterza, Bari 2003, ed. RCS libri, Milano 2005, p. 120.

[11] Ames G. (2011), p. 38.

[12] Donini G. P. (2005), p. 119.

[13] Ames G. (2011), p. 39-41.

[14] Ivi, p. 167.

[15]G. Parker, La rivoluzione militare, Il mulino, Bologna, 1999 , p. 229.

[16] Ivi, p. 183.

[17] Goldstone J. (2010), pp. 86-91: «Alle potenze dell’Asia non interessava molto chi gestiva i traffici lungo le coste, purché le tasse e il commercio continuassero ad affluire all’interno».

[18] Ivi, p. 87. All’apogeo dell’”impero portoghese” (definizione insussistente in termini storici), il suo commercio fu pari in termini di entità a un terzo delle entrate doganali del sultanato del Gujarat. Cfr. Abbattista G. (2002), p. 61.

[19] Parker G. (1999), pp. 183-185. G. Abbattista, L’espansione europea in Asia (secc. XV-XVIII), Carocci, Roma 2002, p.51.

[20] Abbattista G. (2002), p.13.

[21] Ivi, p. 28.

[22] Ames G. (2011), p. 47-48.

[23] Goldstone J. (2010), pp. 90-91.

[24] Ames G. (2011), p. 57.

[25] Geoffrey Parker, La «grande strategia» di Filippo II, Edizioni scientifiche italiane, Napoli-Roma 2003, pp. 5-29.

[26] Ivi, p. 59.

[27] Ames G. (2011), pp. 71-73.

[28] J. Diamond, Armi, acciaio, malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi, Torino 2006 , pp. 48-58.

[29] Ivi, p. 57.

[30] Goldstone J. (2010), p. 96. P. Bairoch, Economia e storia mondiale. I miti e i paradossi delle leggi dell'economia in un saggio polemico e provocatorio, Garzanti, Milano 2003, p. 138, sottolinea nonostante tutto «…l’alto livello delle civiltà precolombiane prima dell’arrivo degli europei. È opinione di molti studiosi che le città del Nuovo Mondo precolombiano fossero più grandi, più ricche e meglio organizzate delle città europee coeve».

[31] Diamond J. (2006), p. 57.

[32] Cfr. F. Cardini, S. Valzania, Le radici perdute dell’Europa. Ca Carlo V ai conflitti mondiali, Mondadori, Milano 2006.

[33] F. Gambaro, Le Goff: "Non è vero che Carlo Magno fu padre dell'Europa", La repubblica, 27 gennaio 2014. Cfr. A. Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Laterza, Roma-Bari 2000.

[34] Cipolla C. M. (2002), p. 331.

[35] Ames G. (2011), p. 86.

[36] L’aumento dell’inflazione che seguì (“rivoluzione dei prezzi”) in Europa all’afflusso consistente di metallo prezioso fu dovuto, più che all’aumento del circolante, all’aumento della domanda causata dall’incremento demografico, cfr. Cipolla C. M. (2002), p. 332.

[37] F. Braudel, Espansione europea e capitalismo. 1450-1650, Il mulino, Bologna 2011, p. 42. L’argento era raro in Oriente, in Cina e India, mentre l’Europa lo produceva in quantità industriale non solo nelle colonie ma nella stessa Europa centrale, dove era stato scoperto di recente (Tirolo, Carinzia, Ungheria, Germania, Boemia). Cfr. Cipolla C. M. (2002), p. 253. In Cina il rapporto tra argento e oro è ancora nel 1600 di 1:6. Cfr. Braudel F. (2011), ivi. Va detto tuttavia che la Cina non era assolutamente dipendente dall’argento europeo, in quanto essa lo importava per la gran parte dal Giappone e lo stesso accadeva per l’India, che se ne approvvigionava in larga misura da altre regioni dell’India e dell’Asia centrale. Cfr. Goldstone J. (2010), p. 89. Si stima ad ogni modo che tra l’inizio del Cinquecento e il 1640 le navi europee abbiano trasportato in Cina 100.000 tonnellate di argento dalle miniere in Europa, Giappone e America, in cambio di prodotti cinesi. Ciò avrebbe favorito la conversione in economia monetaria della Cina. Vd. S. Babones, Trade and Trouble, in «Foreign Affairs», 14 June 2015. Web. 14 June 2015, accessibile on line all’indirizzo https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2015-06-07/trade-and-trouble.

[38] Ames G. (2011), pp. 84-85.

[39] Ivi, pp. 83-84.

[40] Ibidem.

[41] Secondo questo sistema la corona rimaneva titolare della terra, concedendone una parte all’encomendero, al quale erano assegnati anche gli indios ivi presenti.


[42] Ames G. (2011), p. 87.

[43] La “giunta di Valladolid”, convocata nel 1550, sul tema della presenza dell’anima negli indios, con la contrapposizione tra Las Casas, sostenitore dei diritti dei nativi e Sepulveda, fautore della loro schiavizzazione, esprimeva la presenza di un dibattito in Spagna sullo sfruttamento delle popolazione native ad opera del regime coloniale.

[44] Ames G. (2011), p. 90.

[45] B. Droz, Storia della decolonizzazione nel XX secolo, Mondadori, Milano 2007, p. 5.

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