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Dalla colonizzazione portoghese a quella spagnola: i primordi della colonizzazione europea
La prima apertura di una via
marittima per l’India avvenne grazie alla scoperta del “Capo delle tempeste”,
che Bartolomeo Diaz doppiò nel 1487-1488 e che venne ribattezzato da Giovanni
II di Portogallo “Capo di Buona Speranza”.
Circa un decennio dopo il nuovo re portoghese Emanuele I inviò Vasco da
Gama nelle Indie, il quale raggiunse Calicut nel 1498, ritornando a Lisbona con
un primo carico di spezie. [1] Fu solo però grazie ai «consigli dei navigatori indiani e arabi che
egli incontrò nei porti di Malindi e Mombasa, già esistenti in Africa
orientale, e che lo istruirono su come sfruttare i venti monsonici», che Da
Gama poté giungere in India.[2]
Cristoforo Colombo, che
era stato testimone dell’impresa di Diaz, tornò a Lisbona nel 1493 dal suo
primo viaggio sostenendo di avere raggiunto le Indie effettuando la navigazione
verso ovest (per usare l’espressione spagnola “buscando el levante por el ponente”).[3] Lo stesso anno una bolla
di papa Alessandro VI stabiliva un confine a un centinaio di leghe a est delle
Azzorre, considerando ciò che stava ad ovest di esclusiva pertinenza spagnola.
Il trattato di Tordesillas nel 1494 fisserà a 270 il limite di leghe a partire
dalle Azzorre, assegnando al Portogallo vasti possedimenti nel Nuovo Mondo, nonché
il passaggio per l’India.
L’esperienza portoghese
La scoperta di Da Gama,
consentendo il periplo dell’Africa, garantiva ai lusitani di affrancarsi
dall’intermediazione musulmana e italiana negli scambi lungo la rotta
carovaniera d’Oriente.[4] Essa giungeva alla fine di
una lunga serie di conquiste e esplorazioni rivolte lungo la costa atlantica
dell’Africa e condotte tra il 1432 e il 1485. In cinquant’anni i portoghesi
avevano costruito una rete di basi commerciali lungo la costa africana,
scoprendo giacimenti auriferi in Guinea e Costa d’oro (Ghana), dove il metallo
poteva essere barattato con prodotti di scarso valore. [5] L’area dell’Africa
sahariana fino alla linea meridionale della palma e del Sahel era interessata
da una rete di traffici carovanieri che conducevano il pepe e l’oro africano
alla costa mediterranea dell’Africa (e poi in Europa), da Timbuctu a Tunisi
attraverso carovane composte da migliaia di cammelli e dromedari.[6]
La nuova spedizione di
Pedro Alvarez Cabral iniziata nel 1500 consentì di scoprire fortuitamente il
Brasile in marzo, giungendo in settembre a Calicut, precedentemente toccata da
Da Gama, che non fu il primo a giungervi, dato che durante il primo viaggio di Da
Gama gli indiani compresero subito che un uomo dell’equipaggio mandato in
avanscoperta era iberico. [7] Scrive infatti Charles H.
Parker:
L’imperialismo europeo era cominciato molto tempo prima che Vasco da Gama giungesse sulle rive di Calicut nel 1498. Nelle terre più occidentali dell’Eurasia, i navigatori portoghesi avevano iniziato a cercare rotte più veloci per l’Asia già nel XIV secolo.[8]
Intanto un incidente
occorso a Calicut, retta dallo zamorin locale (samudri in sanscrito), il quale attaccò il presidio portoghese, fu
il primo episodio del conflitto che opporrà i portoghesi ai sovrani costieri
indiani. Il samudri del vicino centro di Cochin concesse la costruzione di un
fondaco da cui Cabral tornò a Lisbona con un ingente carico di spezie. Una
nuova spedizione comandata da Da Gama imporrà brutalmente il dominio su Calicut
e Cochin e in generale sull’intera costa di Malabar tra il 1502 e il 1504. La
risposta islamica fu in qualche modo tardiva e lasciata all’iniziativa del
sovrano locale di Gedda, nel Mar Rosso, che faceva parte del sultanato
mamelucco del Cairo. [9]
Emauele I intanto
nominava Francisco de Almeida proprio viceré per i nuovi possedimenti asiatici.
Questi, dopo aver consolidato le conquiste esistenti e fattene di nuove, creò
il sistema dei permessi di transito (cartazes)
nell’Oceano Indiano, in base al quale si tentava di imporre un monopolio
portoghese, e strinse accordi col sultano della Malacca. La risposta dei
sovrani musulmani contro i franchi,
come erano noti ancora gli europei dal tempo delle crociate, fu infelice.[10] Forze ingenti (per un
totale di ca. 200 vascelli) ma inadeguate del sultanato del Gujarat, affiancate
da truppe ottomane, furono inaspettatamente sconfitte nella battaglia di
Cannanore del 1506. Solo nel 1507 le forze dell’emiro di Gedda Husein Mushrif
al-Kurdi si congiunsero a quelle del governatore di Diu Malik Ayaz, che agiva
per conto del sultano di Gujarat. [11] L’anno dopo la flotta
portoghese comandata da Lourenco de Almeida, figlio del viceré, si scontrò
nella battaglia di Chaul con quella musulmana patendo una pesante sconfitta.[12] La morte del figlio nella
battaglia acuì il senso di vendetta in Almeida, il quale nel 1509 si presentò
davanti alla città di Diu, distruggendo la flotta islamica ancorata nel porto.
Durante il governatorato
di Alfonso de Albuquerque le conquiste portoghesi furono ulteriormente
incrementate. I lusitani vennero in possesso di città strategiche all’imbocco
del golfo Persico e del mar Rosso, come Hormuz (ma non di Aden), nonché delle
posizioni all’incrocio dei traffici malesi e indonesiani, in particolare
Malacca e le isole della Sonda, centrando il potere in India nella ricca città
di Goa (occupata nel 1510), precedentemente sotto controllo della dinastia di
Bijapur. [13]
L’iniziativa di
Albuquerque pose le fondamenta di quello che sarà noto come Estado da India, con capitale Goa, da
dove partiva il carico annuale della Carreira
da India (comprendente prodotti come pepe, cannella, gemme, manufatti
cinesi, tessuti pregiati), e un’estensione dal Mozambico a Macao, in Cina. Il
dominio portoghese, dovette almeno inizialmente limitarsi a una organizzazione
puntiforme, con il controllo dei punti chiave delle rotte mercantili, senza prevedere
una colonizzazione dell’interno, anche se in seguito esso comportò un controllo
territoriale con relativo impegno militare e amministrativo.[14] Del resto i portoghesi
erano consapevoli che «l’Asia non era l’America:
gli avversari non erano armati di clave di legno e di coltelli di ossidiana,
bensì di armi da fuoco e di spade d’acciaio». [15] Di conseguenza la loro
presenza fu sempre avversata non solo e non tanto dai sovrani musulmani, ma
anche dai concorrenti europei (os
enemigos de Europa).[16] Va detto che, almeno
nell’Oceano indiano, gli europei riportarono vittorie contro regni isolati (in
particolare i piccoli stati dei raja indù della fascia del Malabar, isolati
dalla catena dei Ghati occidentali rispetto al subcontinente) e che le loro
iniziative, limitate ad aree periferiche, potevano essere derubricate a né più
né meno che atti di pirateria da parte dei sultani ottomani, mamelucchi e
moghul, i quali non videro mai intaccati i loro grandi traffici via terra, né
compromessi i loro introiti (per di più gli europei non acquistarono mai più
del 10% del mercato del pepe o più che modeste quote di quello di altri
prodotti come riso, cotone, cavalli, seta e porcellana).[17] Gli europei poterono
peraltro giovarsi della “moneta forte” rappresentata dall’argento americano e
africano e dei bassi prezzi dei prodotti asiatici, fintantoché i profitti in
Europa si ridussero con il calo dei prezzi e il potere d’acquisto dell’argento
si ridusse con la sua sempre maggiore diffusione in Asia.
In altre parole, per
usare una similitudine ardita, «i
portoghesi erano come pulci sopra un cammello».[18] Fu il brutale ricorso
all’artiglieria di grosso calibro a bordo delle navi a fornire un vantaggio
decisivo sul naviglio indigeno e consentire di impiantare terre franche e basi
commerciali in territori stranieri nell’Oceano indiano, dove il commercio si era
tradizionalmente svolto sempre in condizioni di tolleranza e di convivenza tra
gruppi e interessi diversi. [19] Di conseguenza non si può
parlare di “primato europeo” rispetto al contesto asiatico per il periodo che
attiene alla fase dell’inizio dell’irraggiamento europeo, ovvero quella che va
dal XV al XVIII secolo. [20] Anzi, all’alba dell’età
moderna l’Europa può dirsi tributaria dell’Asia per quanto attiene tecnologia e
sapere scientifico. [21]
In Brasile invece la
penetrazione portoghese fu più lenta. Qui essi non trovarono oro, come gli
spagnoli in Messico e in Perù, ma costruirono il sistema delle coltivazioni
saccarifere (e poi anche del tabacco), fondato sull’importazione di schiavi
dalla colonia regia dell’Angola, e sfruttarono la produzione del legno locale
per la manifattura di mobili in Europa. Solo 48 anni dopo la spedizione di
Cabral fu creato il primo governatorato generale con sede a Salvador e i
francesi, giunti intanto anch’essi sulle coste brasiliane, furono espulsi nel
1567. [22] In India la presenza
portoghese, come poi quella olandese e inglese, si limitava inizialmente
all’acquisto di prodotti locali in cambio di argento, raro in Asia, non
comportando il controllo diretto della produzione. Solo in seguito, nel XVIII
secolo, quando il valore dei prodotti asiatici sarebbe crollato, gli europei
iniziarono a prendere il controllo della produzione in loco e ad espandersi
perciò nell’entroterra. [23] Già alla fine del XVII
secolo, con la scoperta di giacimenti auriferi nell’interno, cominciò l’espansione
in Brasile (condotta dai banteirantes,
esploratori che presero parte alle spedizioni dette bandeiras che si spinsero ben oltre le frontiere di Tordesillas), dando
vita a una vera “corsa all’oro”.[24]
Un lungo periodo di
declino dell’Estado da India coincise
con l’annessione armata della corona portoghese da parte di Filippo II nel
1580. Durante quest’epoca, la corona spagnola, nel suo intento di perseguire il
progetto di una “monarchia universale”, annetté il Portogallo e tutto il suo
impero. La guerra condotta in quel momento con l’Inghilterra e quella già in
atto con l’Olanda portò a trascurare i possedimenti lusitani, che finirono
facile preda degli appetiti coloniali olandesi e inglesi.[25] Durante la “cattività
spagnola” le colonie chiave portoghesi andarono perdute. Solo alla metà del
XVII secolo esse iniziarono ad essere recuperate, proprio in coincidenza con il
ritorno al potere della dinastia di Braganza (1640). Le colonie portoghesi non
solo furono riprese, ma fiorirono nuovamente in Angola e Brasile nel XVIII e
XIX secolo. [26]
Anche l’Estado riprese gradatamente
stabilità, ma ciò di certo non ridusse le mire dei rivali.
Atlante catalano (1375 ca.), Abraham Cresques |
L’esperienza spagnola
Quando il conquistatore
spagnolo Vasco Nunez de Balboa per primo passò l’istmo di Panama nel 1513
comprese di essere di fronte ad un altro oceano, oltre quello atlantico alle
proprie spalle. Fu chiaro che le Americhe non erano le Indie, come sostenne Colombo
fino alla sua morte, ma che erano un’altra parte del mondo, un vero continente
frapposto fra l’Europa e l’Asia. I viaggi di Amerigo Vespucci (1499-1502) lungo
le sterminate coste americane confermavano la dimensione continentale della
nuova scoperta. Sarebbe stato però solo con la spedizione di Ferdinando
Magellano, al servizio di Carlo V, che gli spagnoli nel 1520 poterono accedere
al Pacifico passando lo stretto che aggirava a sud il continente americano.[27] La spedizione di
Magellano, morto durante l’impresa, completò la circumnavigazione del globo,
smentendo definitivamente la tesi di Colombo.
La distruzione
dell’impero azteco ad opera di Hernan Cortes e di quello inca ad opera di
Francisco Pizarro ha dell’incredibile. Furono una serie di fattori a
determinare il collasso delle due civiltà meso e sud-americane, primitive sì,
ma fiorenti e con popolazioni di milioni di uomini. Tali fattori sono stati
riassunti da Jared Diamond nel combinato fatale “armi, acciaio, malattie”. [28] Sarebbe da aggiungere un
quarto fattore, quello dell’astuzia degli europei, derivante dalla maggiore
conoscenza di culture esterne, grazie alla pratica della scrittura e della
tradizione libraria, che gli abitanti del nuovo mondo non possedevano, essendo pochissimi
coloro che sapevano scrivere. [29] Inoltre le civiltà
precolombiane possedevano un livello tecnologico del tutto inferiore a quello
degli spagnoli, che si servirono di cavalli, anch’essi sconosciuti in America,
armi da fuoco in misura minore e spade capaci di fendere come il burro i
farsetti intessuti dei nativi, nonché della strategia del “divide et impera” per schiacciare la resistenza indigena,
fomentando la ribellione dei popoli sottomessi ora agli Inca, ora agli Aztechi
(cempoaltechi e tlaxcaltechi più altre popolazioni, che parteciparono in decine
di migliaia alla conquista).[30] A quanto pare queste
civiltà vivevano isolate e sembra che Atahuallpa, il re inca catturato da
Pizarro, non avesse idea del fatto che i popoli del centro-America fossero stati
annichiliti dai conquistadores
guidati da Cortes ben diciassette anni prima. [31] Parte del tesoro del re
azteco Montezuma, spettante a Carlo V prese la via del mare al comando di due
spagnoli che avevano preso parte alla conquista di Tenochtitlàn, ma durante la
traversata vari incidenti, tra cui la liberazione di un giaguaro e qualche
contesa per motivi di donne, prelusero alla perdita completa del carico per
mano francese presso Cabo Sao Vicente. Forse le affermazioni sulla grandezza
dell’impero di Carlo V dovrebbero tenere conto anche di queste vicende
miserande legate a piccoli sudditi della monarchia asburgica (e per estensione
all’intera vicenda coloniale), che magari farebbero riconsiderare l’idea di un’Europa
con radici storiche nell’”impero su cui non tramontava mai il sole”,[32] o su un’Europa che affonderebbe
le proprie radici nientemeno che nell’impero di Carlo Magno, anche se questi non
aveva in mente alcuna idea di Europa, ma semmai avendo a riferimento l’antico Impero
romano.[33]
I due vice regni creati
nelle Americhe, quello della Nuova Spagna e del Perù fecero incamerare una
somma enorme di ricchezze alla monarchia spagnola, in particolare di argento
(ca. 2.000 tonnellate l’anno erano importate sul finire del XVI secolo[34]), ma anche di oro
(181.000 le tonnellate estratte entro il 1650[35]). [36] Ma furono le Filippine,
conquistate definitivamente negli anni 60’ del XVI secolo dalla spedizione di
Miguel Lopez de Legazpi, giunto dal Messico, a fornire alla Spagna un canale
importante di comunicazione con l’Oriente, in particolare con la Cina. Dalla
città di Canton gli spagnoli importavano prodotti pregiati cinesi, pagati con
l’argento messicano (miniere di Zacatecas, Santa Barbara, San Luis) e peruviano
(estratto per la maggiore a Potosí) proveniente da Acapulco sotto forma di reales de a ocho, dopodiché attraverso
le colonie spagnole d’America queste merci giungevano assieme alle spezie in
Spagna, nei porti di Siviglia, dove aveva sede la Casa de la Contratacion, a Cadice.[37] Qui erano prevalentemente
rivendute per il mercato europeo con percentuali di profitto all’inizio
notevoli.[38]
Lo scenario dell’arcipelago filippino era piuttosto composito all’arrivo degli
spagnoli. L’impero majapahit, incentrato sull’isola di Giava, ultima
testimonianza degli imperi indo-buddhisti dell’Asia sud-orientale, era crollato
da quale decennio sotto la spinta del sultanato di Malacca, esteso sulla
penisola malese.[39]
La parte meridionale delle Filippine era interessata dal dominio majapahit, di cultura
malese e indiana, ma alla fine del XIV secolo l’islam iniziò la sua
penetrazione, condotto dai mercanti musulmani. Il nord del paese era governato
da città stato spesso tributarie della dinastia Ming cinese, mentre l’isola di
Luzon subiva l’influenza giapponese. [40]
A livello economico, lo
sfruttamento intensivo (per non dire predatorio) delle risorse minerarie era
accompagnato dalla pratica dell’agricoltura e dell’allevamento. L’encomienda, per la prima volta
sperimentata nelle Canarie e in Spagna nei territori strappati ai musulmani,
che furono il laboratorio della successiva macchina coloniale spagnola, era la
base del controllo delle vaste distese di terre del Nuovo mondo.[41] L’encomienda era uno strumento di concessione feudale, in quanto
prevedeva, esattamente come nella pratica feudale del medioevo, la fornitura
del servizio militare (servitium)
come forma di risarcimento al sovrano in cambio del beneficium. Lo sfruttamento delle piantagioni era l’altro cespite lucroso
per la monarchia spagnola. Accanto alle coltivazioni saccarifere nelle pianure
costiere, il tabacco divenne sempre più piantato nel corso del XVII secolo.[42] Tentativi della monarchia
spagnola di limitare lo sfruttamento dei nativi non produssero grossi
risultati. Prima le Leggi di Burgos, emanate nel 1512, primo esperimento di
regolamentazione del sistema dell’encomienda
nel Nuovo mondo, poi le Leyes Nuevas,
emanate nel 1542, non poterono risolvere in problema della separatezza
territoriale e della sostanziale autonomia in cui operavano le colonie. [43]La tratta degli schiavi, inoltre,
essenziale per i carichi di lavoro disumani nella coltura di piantagione, era
assegnata a compagnie private su concessione regia (asiento). Se il commercio
nefando di esseri umani era assegnato ai negrieri, attenuando il monopolio
reale, di certo il monopolio religioso - il Padroado
Real - faceva interamente capo alla corona spagnola (in virtù della
concessione papale), che si intestava la nomina dei vescovi e controllava
l’emigrazione del clero, curandosi di evitare che vi giungessero ebrei (tranne
i marranos, poi ugualmente
perseguitati dall’Inquisizione) e eretici. [44]
Resta da dire che la
caduta degli imperi portoghese e spagnolo fu dovuta, più che a fattori interni,
a eventi esterni. La fine dei grandi imperi iberici poté dirsi definitiva già
nel terzo decennio XIX secolo (anche se un impero portoghese resistette in
Africa in Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, isole di Capo Verde, con enclave in
Asia a Goa, Macao e Timor Est). Addirittura nel Novecento, negli anni trenta,
vi fu una risistemazione dei resti dell’impero lusitano nell’ambito dell’Estado novo proclamato da Antonio de
Oliveira Salazar, ma questi territori costituivano parte della Repubblica
portoghese. [45]
L’invasione napoleonica segnò la campana a morto per l’imperialismo iberico.
Sarà proprio una sollevazione di militari spagnoli in partenza per le Americhe
(gennaio 1820), dove avrebbero dovuto sedare la paurosa rivolta di Simon
Bolivar, guidati da Rafael del Riego a sancire il pronunciamento di Cadice con il quale si chiedeva la fedeltà del re
alla legge costituzionale del 1812, emanata durante l’occupazione napoleonica.
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[1] G. J. Ames, L’età delle scoperte geografiche. 1500-1700, Il mulino, Bologna, 2011, p. 33.
[2] J. A. Goldstone, Perché l’Europa. L’ascesa dell’Occidente nella storia mondiale 1500-1850, Il mulino, Bologna 2010, p. 85.
[3] L’idea originaria era quella che, proseguendo sulla latitudine delle Canarie, si sarebbe imbattuto nell’isola di Cipango, il Giappone descritto da Marco Polo, parte estrema dell’Asia.
[4] Ivi, pp. 33-35.
[5] C. M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale, Il mulino, Bologna 2002, p. 255-257.
[6] Ivi, p. 257.
[7] C. H. Parker, Relazioni globali nell’età moderna 1400-1800, Il mulino, Bologna 2012, p. 7.
[8] Ivi, p. 26.
[9] Ames G. (2011), pp. 36-37.
[10] P. G. Donini, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Laterza, Bari 2003, ed. RCS libri, Milano 2005, p. 120.
[11] Ames G. (2011), p. 38.
[12] Donini G. P. (2005), p. 119.
[13] Ames G. (2011), p. 39-41.
[14] Ivi, p. 167.
[15]G. Parker, La rivoluzione militare, Il mulino, Bologna, 1999 , p. 229.
[16] Ivi, p. 183.
[17] Goldstone J. (2010), pp. 86-91: «Alle potenze dell’Asia non interessava molto chi gestiva i traffici lungo le coste, purché le tasse e il commercio continuassero ad affluire all’interno».
[18] Ivi, p. 87. All’apogeo dell’”impero portoghese” (definizione insussistente in termini storici), il suo commercio fu pari in termini di entità a un terzo delle entrate doganali del sultanato del Gujarat. Cfr. Abbattista G. (2002), p. 61.
[19] Parker G. (1999), pp. 183-185. G. Abbattista, L’espansione europea in Asia (secc. XV-XVIII), Carocci, Roma 2002, p.51.
[20] Abbattista G. (2002), p.13.
[21] Ivi, p. 28.
[22] Ames G. (2011), p. 47-48.
[23] Goldstone J. (2010), pp. 90-91.
[24] Ames G. (2011), p. 57.
[25] Geoffrey Parker, La «grande strategia» di Filippo II, Edizioni scientifiche italiane, Napoli-Roma 2003, pp. 5-29.
[26] Ivi, p. 59.
[27] Ames G. (2011), pp. 71-73.
[28] J. Diamond, Armi, acciaio, malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi, Torino 2006 , pp. 48-58.
[29] Ivi, p. 57.
[30] Goldstone J. (2010), p. 96. P. Bairoch, Economia e storia mondiale. I miti e i paradossi delle leggi dell'economia in un saggio polemico e provocatorio, Garzanti, Milano 2003, p. 138, sottolinea nonostante tutto «…l’alto livello delle civiltà precolombiane prima dell’arrivo degli europei. È opinione di molti studiosi che le città del Nuovo Mondo precolombiano fossero più grandi, più ricche e meglio organizzate delle città europee coeve».
[31] Diamond J. (2006), p. 57.
[32] Cfr. F. Cardini, S. Valzania, Le radici perdute dell’Europa. Ca Carlo V ai conflitti mondiali, Mondadori, Milano 2006.
[33] F. Gambaro, Le Goff: "Non è vero che Carlo Magno fu padre dell'Europa", La repubblica, 27 gennaio 2014. Cfr. A. Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Laterza, Roma-Bari 2000.
[34] Cipolla C. M. (2002), p. 331.
[35] Ames G. (2011), p. 86.
[36] L’aumento dell’inflazione che seguì (“rivoluzione dei prezzi”) in Europa all’afflusso consistente di metallo prezioso fu dovuto, più che all’aumento del circolante, all’aumento della domanda causata dall’incremento demografico, cfr. Cipolla C. M. (2002), p. 332.
[37] F. Braudel, Espansione europea e capitalismo. 1450-1650, Il mulino, Bologna 2011, p. 42. L’argento era raro in Oriente, in Cina e India, mentre l’Europa lo produceva in quantità industriale non solo nelle colonie ma nella stessa Europa centrale, dove era stato scoperto di recente (Tirolo, Carinzia, Ungheria, Germania, Boemia). Cfr. Cipolla C. M. (2002), p. 253. In Cina il rapporto tra argento e oro è ancora nel 1600 di 1:6. Cfr. Braudel F. (2011), ivi. Va detto tuttavia che la Cina non era assolutamente dipendente dall’argento europeo, in quanto essa lo importava per la gran parte dal Giappone e lo stesso accadeva per l’India, che se ne approvvigionava in larga misura da altre regioni dell’India e dell’Asia centrale. Cfr. Goldstone J. (2010), p. 89. Si stima ad ogni modo che tra l’inizio del Cinquecento e il 1640 le navi europee abbiano trasportato in Cina 100.000 tonnellate di argento dalle miniere in Europa, Giappone e America, in cambio di prodotti cinesi. Ciò avrebbe favorito la conversione in economia monetaria della Cina. Vd. S. Babones, Trade and Trouble, in «Foreign Affairs», 14 June 2015. Web. 14 June 2015, accessibile on line all’indirizzo https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2015-06-07/trade-and-trouble.
[38] Ames G. (2011), pp. 84-85.
[39] Ivi, pp. 83-84.
[40] Ibidem.
[41] Secondo questo sistema la corona rimaneva titolare della terra, concedendone una parte all’encomendero, al quale erano assegnati anche gli indios ivi presenti.
[42] Ames G. (2011), p. 87.
[43] La “giunta di Valladolid”, convocata nel 1550, sul tema della presenza dell’anima negli indios, con la contrapposizione tra Las Casas, sostenitore dei diritti dei nativi e Sepulveda, fautore della loro schiavizzazione, esprimeva la presenza di un dibattito in Spagna sullo sfruttamento delle popolazione native ad opera del regime coloniale.
[44] Ames G. (2011), p. 90.
[45] B. Droz, Storia della decolonizzazione nel XX secolo, Mondadori, Milano 2007, p. 5.
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