venerdì 1 maggio 2020

Breve storia della colonizzazione francese e inglese




Breve storia della colonizzazione francese e inglese

Glenn J. Ames, la cui breve opera sull’”età delle scoperte” è utile nella ricostruzione dell’”espansione europea” nel mondo, sottolinea efficacemente a cosa si limitasse per tutto il XVI secolo l’attività colonizzatrice di inglesi e francesi: a né più né meno che episodi di pirateria a spese dei convogli portoghesi e spagnoli a largo dello stretto di Gibilterra. Pirati che all’assalto di altri pirati, in un certo senso, si «accontentavano delle briciole del sontuoso banchetto goduto da Spagna e Portogallo».[1]

In blu scuro paesi dove l'inglese è la lingua nazionale o la lingua madre della maggioranza.
In blu chiaro paesi dove l'inglese  è una delle lingue ufficiali.



Le esplorazioni inglesi erano cominciate già sul finire del XV secolo, ma non avevano portato a nulla di che. Giovanni Caboto, al servizio di Enrico VII, fece in tempo a reclamare le terre della costa settentrionale del Canada, presso Terranova, prima di morire stranamente in una spedizione nel 1498. Nel 1578 la spedizione di Humphrey Gilbert avrebbe toccato nuovamente il Canada, rivendicando Terranova agli inglesi. Qualche anno dopo, nel 1584, Walter Raleigh, favorito di Elisabetta I, “scoprì” le terre dell’America settentrionale comprese tra la Florida e la Carolina del Nord, reclamandole alla corona e intitolandole alla propria regina con il nome di Virginia. Sotto i successori di Elisabetta sarebbe cominciata una vera programmazione della colonizzazione, con l’istituzione di insediamenti permanenti.

Sulla prima colonizzazione inglese dell’America settentrionale fu posto un accento religioso, a differenza dell’esperienza olandese e di quella stessa degli inglesi in India (dove la libertà religiosa fu un fattore di attrazione di componenti etniche e culturali diverse), dimostrandosi i riformati inglesi (specie puritani) non meno zelanti dei cattolici iberici. Dalla colonizzazione olandese gli inglesi trassero il modello delle compagnie commerciali (le principali quelle di Londra e Plymouth, riunite nella Virginia Company), che furono il motore dell’espansione inglese.[2] Ciò nondimeno l’East India Company fu la prima Compagnia europea (nata nel 1600) con carte patenti reali o con concessione statale, due anni prima che nascesse la VOC.

In America settentrionale, al contrario dei colleghi iberici, i colonizzatori inglesi non trovarono oro e argento (che si limitavano a rapinare), ma al massimo risorse inesauribili di legname, pellicce e in particolare il tabacco, che ben presto fruttò lauti guadagni. Le prime coltivazioni vennero impiantate nel secondo decennio del 1600, con manodopera proveniente dall’Angola, dapprima assunta sotto contratto (indentured servants), ma poi esclusivamente composta da schiavi.[3] Per tutto il XVII secolo un numero sempre più ingente di abitanti delle isole britanniche avrebbe raggiunto le nuove colonie della Virginia e del New England, per la gran parte in fuga dalle persecuzioni religiose in patria, mentre attraverso le guerre (“dei Pequot” e “del re Filippo”) contro le tribù native, gli indigeni erano costretti alla sottomissione.

Nell’Oceano indiano i tentativi di creare nell’Insulindia qualcosa di paragonabile alla presenza olandese non andarono a buon fine. Dopo una prima spedizione nel 1602 e la negoziazione di un trattato commerciale con il sultano di Aceh, il comandante della prima flotta della EIC James Lancaster, poi fatto cavaliere da Elisabetta, istituì un fondaco a Bantam. Lungo tutta la prima metà del XVI secolo la EIC permase tuttavia una società per azioni provvisoria, che mobilitava le proprie risorse in occasione di ogni singola spedizione. Solo dopo il protettorato di Cromwell, che emise una carta di concessione specifica, essa divenne permanente. Gli insediamenti sparsi nelle isole della Sonda non bastarono a compromettere la presenza olandese, che rimase radicata saldamente nella regione. La fase del Commonwealth inglese (1649-53), sviluppatasi a seguito della Gloriosa rivoluzione, e poi quella del protettorato segnarono una più decisa politica anti-olandese e una evoluzione in senso monopolistico e mercantilistico (Atto di navigazione del 1651 che proibiva l’attracco nei porti inglesi del naviglio olandese), poi sfociata nella prima (1652-54), nella seconda (1664-67) e nella terza guerra anglo-olandese (1672-74). La restaurazione, con l’ascesa di Carlo II aveva inaugurato uno spirito di revanche e una politica mercantile sempre più aggressiva. Le basi della WIC in Africa occidentale erano state espropriate, mentre Nieuw Amsterdam veniva sottratta e ribattezzata New York, in onore del fratello eponimo di Carlo II, il duca di York. La creazione della Royal African Company segnò la partecipazione al mercato degli schiavi, col trasbordo di quantità sempre più ingenti di africani nel Nuovo mondo. In seguito, come parte del trattato di Utrecht, l’Inghilterra avrebbe preso parte attiva nel commercio degli schiavi, l’asiento, dell’America spagnola. [4]

Ma la concorrenza non era solo olandese. Presenti erano ancora le posizioni portoghesi, e per di più abbastanza vitali. Una prima spedizione esplorativa e diplomatica al comando di Ralph Fitch era finita con l’imprigionamento dello stesso Fitch a Goa nel 1583. L’impresa riuscì ad ogni modo a proseguire giungendo alla corte del leggendario imperatore moghul Akbar, visitando poi Bengala, la Birmania e infine giungendo a Malacca, nella penisola malese. Gli inglesi tentarono così di stabilire una propria rete di contatti con i sovrani locali, spesso insoddisfatti dello strapotere portoghese, trai quali lo scià di Persia, ancora l’imperatore moghul (dove operò l’ambasciatore di Giacomo I William Hawkins), lo zamorin di Calicut e il re del sultanato islamico di Golconda. L’India divenne ad ogni modo il principale mercato della EIC, incentrandosi nella regione di Surat.[5] Dall’India, gli inglesi, come i loro concorrenti, crearono reti di commerci intra-asiatici con il mar Rosso e il golfo Persico e altre regioni, sul modello degli omologhi asiatici (ad esempio venivano venduti tessuti di cotone indiani in Indonesia in cambio di spezie e in Africa in cambio di avorio e oro riscuotendo profitti che evitavano l’esborso ogni volta di argento).[6] Gli inglesi stabilirono relazioni proficue con lo scià di Persia Abbas. Qui essi vennero in possesso di Hormuz e Qeshm, strappandole ai portoghesi. Madras, Calicut, Ayutthaya nel Siam, regione a nord del Vietnam (qui grazie ai contatti con il re Sontagam), divennero tutte sedi di fondachi inglesi. Bombay, venduta da Carlo II alla EIC, diventerà dalla fine del XVII secolo la sede della presidenza della compagnia.

La strategia economica principale degli inglesi, adottata anche da olandesi e francesi, consistette nella triangolazione o “quadrangolazione” degli scambi tra colonie e madre patria. Prodotti finiti delle manifatture inglesi venivano scambiati in Africa in cambio di schiavi, dopodiché dopo un terribile “passaggio di mezzo” la ‘mercanzia’ umana veniva rivenduta ai piantatori dei Caraibi e del Brasile in cambio di zucchero, melassa e rum, e nell’America settentrionale venendo scambiata con materie prime (legname) e pesce. Naturalmente l’ordine non era rigoroso e ciascun mercato poteva interagire con gli altri secondo direzioni mutevoli (a livello intra-americano, tra America e Africa, tra Africa e Inghilterra).[7]
 
Nel corso del XVII secolo le basi nel Gujarat, nel Coromandel e in Bengala rappresentavano gli avamposti più significativi della presenza inglese in Asia, diventando i nuclei di un impero coloniale che raggiunse una propria consistenza nel XVIII secolo. [8] In questo secolo la Compagnia inglese fondò altre estese colonie in Australia (scoperta da James Cook), dove fu installata una colonia penale, Nuova Zelanda e nelle isole del Pacifico (Oceania). Gli inglesi fondarono in Australia una prima colonia nel 1788 a New South Wales e stabilendo avamposti in Nuova Zelanda, inizialmente come basi per la caccia alle balene. A metà Settecento in India, l’indebolimento dell’autorità dei Mughal aprì definitivamente la strada alla conquista assoluta da parte degli inglesi.[9] Nella battaglia di Plassey (1757), a nord di Calcutta, Robert Clive, che più tardi divenne noto come Clive of India (per Marx un «capobrigante in persona»[10]), al comando di un esercito di sepoy[11] e truppe britanniche sconfisse un esercito dieci volte più grande del nababbo locale (nawab) Siraj-ud-Daulah, che fu giustiziato, venendo sostituito da uno più gradito agli inglesi.[12] La vittoria consentirà più tardi di imporre un dominio territoriale su Bihar, Orissa e Bengala, autorizzando gli inglesi a estorcere imposte statali sempre più vessatorie. Per il penultimo decennio del XVIII secolo essi avevano ridotto la loro sproporzione militare in battaglia da 1:10 a 2:1, potendo ormai operare in tutto il subcontinente indiano.[13] Alla fine del secolo gli inglesi iniziavano ad affacciarsi in Cina: l’ambasceria presso l’imperatore Qianlong di George Macartney nel 1790 era rovinata dall’orgoglio del Lord inglese che rifiutava di genuflettersi dinnanzi al Figlio del Cielo.[14] Lo stile della missiva del «barbaro inviato» Macartney «doveva veramente apparire oltraggioso nella luce della storia come la conoscevano Ch’ien Lung e quelli che gli stavano attorno».[15] Tale gesto annunciava un’epoca nuova: «in India era già cominciata, nella più tenace Cina sarebbe presto arrivata con le balle di oppio e le cannoniere».[16] I contrasti in India tra interessi inglesi e francesi erano però destinati a ripercuotersi nelle colonie: «divenne inevitabile che, ogni qualvolta la Gran Bretagna e la Francia entrarono in guerra in Europa, il conflitto si estendesse nelle loro colonie». [17] Il riferimento è alla guerra dei Sette anni che infuriò tra il 1756 e il 1763 su tutti i teatri coloniali:

Le tensioni regionali fra le due potenze imperiali componevano un unico scenario nella lotta globale per il predominio in America del nord, Caraibi ed Europa. In Asia meridionale, fra il 1750 e il 1770 i conflitti tra Francia, Inghilterra e i loro alleati sul territorio indiano divorarono l’intera regione. [18]


Alla fine della guerra dei Sette anni gli inglesi avevano estromesso i francesi in Asia meridionale, mentre la Compagnia delle Indie aveva completato il suo processo di transizione dall’essere una “associazione di mercanti” al divenire una mera colonia militare. Con la pace di Parigi del 1763 sia la Francia sia la Spagna erano state poste in condizione non più di nuocere e il motto del “Rule, Britannia!” poteva solcare gli oceani come espressione di un «patriottismo più aggressivo ed espansivo».[19]

Meno fortunati furono i francesi nell’impiantare i loro possedimenti oltremare. Già nel primo Cinquecento, quando però la presenza portoghese e olandese era vieppiù radicata, Francesco I dichiarava: «mi piacerebbe conoscere la clausola del testamento di Adamo che mi taglia fuori dal nuovo mondo».[20] La spedizione da lui finanziata di Giovanni da Verrazzano, che si proponeva di trovare il “passaggio a nord-ovest”, rivendicò Terranova ai francesi e esplorò una porzione della costa orientale, che fu dedicata al re con il nome di “Francesca”. Un’altra spedizione nel 1534 al comando di Jacques Cartier scoprì il fiume san Lorenzo, rivendicandone la regione. Una seconda poi consentì di raggiungere Stadacona (Québec City) e Hochelega (Montreal), che diventeranno i due nuclei della colonia di Nuova Francia (attuale provincia di Québec a maggioranza francofona del Canada). Qui si rivelò fiorente il commercio delle pellicce. Gli insediamenti creati nel Canada, per lo più a carattere temporaneo, non riuscirono a diventare definitivi e per tutto il XVI secolo i francesi dovettero accontentarsi delle attività di pirateria (al largo delle Azzorre o nei Caraibi). Anche in Brasile, Fort Coligny, nella regione di Rio, prima presenza australe della Francia, resistette solo per qualche decennio, venendo sradicata dai portoghesi.

Enrico IV all’inizio del XVI secolo, pochi anni prima del suo assassinio, finanziò il progetto di Samuel de Champlain. Questi aveva partecipato ad una spedizione in Acadia che aveva portato alla fondazione di Port-Royal. Fu l’edificatore della colonia francese della Nouvelle France. Fondò una habitation a Québec, combatté le tribù irochesi, continuando nella ricerca vana del passaggio per l’India e la Cina. La concorrenza con gli inglesi, i problemi degli irochesi, la politica di uniformità religiosa che escludeva la presenza protestante, la disattenzione della corona impegnata sul fronte europeo della prima guerra dei Trent’anni non portarono benefici alle colonie canadesi. Solo con Luigi XIV e il suo ministro Jean-Baptiste Colbert, a partire dal 1660-1670 si generò una svolta nella creazione dei possedimenti d’oltremare francesi. La Nouvelle France fu posta sotto il controllo della corona e in pochi anni dal 1666 i coloni da 3.000 passarono a 8.000 nel 1690, ma ancora impallidivano di fronte agli oltre 100.000 coloni inglesi in Nord-America.[21] Alla fine del Seicento i francesi sotto la guida di René Robert Cavelier, esplorarono le valli dell’Ohio e del Mississipi e vi si stabilirono, fondando la “Luisiana”, in onore di Luigi XIV.

Per quanto attiene la presenza centro-americana, nel 1635 il cardinale de Richelieu attraverso la compagnia des Iles de l’Amérique entrò in possesso delle isole di Guadalupa e di Martinica dove furono piantati tabacco e cotone dove un tempo sorgevano boschi. Più tardi fu avviata anche la produzione saccarifera con l’inizio della tratta di schiavi, per la quale fu stabilita una presenza diretta in Senegal (1659). Passarono in mano francese anche Tortuga, gestita da bucanieri francofoni, Santo Domingo, limitatamente alla parte occidentale (attuale Haiti), dove veniva prodotto il 40% dello zucchero francese. In America meridionale i francesi stabilirono una presenza nella Guyana, incontrando la resistenza di olandesi e inglesi.

Nell’oceano Indiano le varie compagnie create lungo tutta la prima metà del XVII secolo non produssero alcunché. Fino a che Colbert, non a caso padre del mercantilismo, non dette avvio, di concerto con i propositi aggressivi sul continente del suo re Luigi, ad una politica bellicosa volta ad intaccare il predominio olandese. Da un lato imponendo dazi sulle merci delle Province Unite, dall’altro avviando una serie di spedizioni militari per la creazione di basi commerciali, che furono edificate in Persia, in India, nel Surat, nel Madagascar. Nel 1664 fu creata la Compagnia francese delle indie orientali. Ma le spedizioni francesi spesso erano troppo costose e eccessivamente grandi per gli scopi che si proponevano, da cui la loro scarsa efficacia. [22] Mentre in Europa si muoveva guerra contro le Province Unite via terra e gli olandesi davano filo da torcere ai francesi, nell’Oceano indiano la più grande flotta europea (escadre de Perse) che si fosse mai vista in quelle acque (5 vascelli da guerra, 1 fregata, 3 navi da carico con oltre 2.000 uomini di equipaggio) fu allestita per portare l’assalto ai domini dei concorrenti. La flotta era comandata da Jacob Blanquet de La Haye, nominato già pomposamente “tenente generale”. Nonostante i rallentamenti, la flotta raggiunse Goa, poi Ceylon, dopodiché il 20 luglio 1672 Sao Tomé (attuale Chennai), nel sultanato di Golconda. I portoghesi dopo un secolo di permanenza vi furono cacciati, innescando le ire anche degli inglesi, che avevano una base poco distante presso Madras. Come se non bastasse, l’impresa rivitalizzò le mire del sultano di Golconda Abul Hasan, il quale al comando di 8.000 uomini pose sotto assedio la città. La spedizione di La Haye, privato del sostegno della madre patria, impegnata in Europa, dovette arrendersi nel 1674. L’unico esito vantaggioso fu la creazione dell’insediamento di Pondicherry, che rimase uno dei possedimenti principali dell’India francese fino al 1954. La Compagnia francese riuscì a ritagliarsi territori anche nelle isole Mauritius al largo delle coste orientali dell’Africa e a Mahé sulle coste del Malabar.

Si può concludere affermando, come sottolinea Ames, che la dicotomia imposta in passato tra colonizzazione liberistica, dunque “proto-capitalistica”, inglese e olandese, e colonizzazione monopolistico-monarchica portoghese e spagnola non ha alcun fondamento, in quanto gli olandesi, e in misura inferiore gli inglesi, tesero a emulare l’operato degli iberici nel corso del XVII secolo. La stessa competizione scatenatasi durante il secolo tra le potenze europee in Asia dimostra che esse perseguivano una prassi monopolistica: ciascuna intendeva scalzare l’altra dalle proprie posizioni e imporre il proprio monopolio sul commercio dei prodotti. Non solo, ma il sistema olandese divenne una «fedele riproduzione», come scrive Ames, dell’Estado da India portoghese, «più che una sua confutazione capitalistica».[23] Il massiccio ricorso alla violenza degli europei contro concorrenti stranieri ed anche europei, non conforta la tesi della loro supposta superiorità in materia di commercio e di finanza:

Dove la presunta superiore organizzazione commerciale degli europei del XVIII secolo si trovò a competere con altri marcanti del Vecchio Mondo senza potere ricorrere alla forza, i risultati furono modesti.[24]


Note bibliografiche

[1] G. J. Ames, L’età delle scoperte geografiche. 1500-1700, Il mulino, Bologna, 2011 , p. 128.

[2] C. M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale, Il mulino, Bologna 2002 , p. 233.

[3] Ames G. (2011), p. 135.

[4] Ivi, p. 146.

[5] Ivi, p. 143.

[6]J. A. Goldstone, Perché l’Europa. L’ascesa dell’Occidente nella storia mondiale 1500-1850, Il mulino, Bologna 2010, p. 91

[7] Ames G. (2011), p. 138

[8] C. H. Parker, Relazioni globali nell’età moderna 1400-1800, Il mulino, Bologna 2012, p. 32

[9] Ivi, p. 33.

[10] K. Marx, F. Engels, India Cina Russia. Le premesse per tre rivoluzioni, Il saggiatore, Milano 2008 , p. 108.

[11] Il termine sepoy (dal persiano sipāhī, “cavaliere”) definiva gli indigeni arruolati nell’esercito inglese; essi erano per la maggior parte «indù di casta elevata, bramini o Rajput e non relitti della società come la maggior parte dei soldati inglesi». Cfr. V. G. Kiernan, European empires from conquest to collaps 1915-1960, London 1982, trad. it. Eserciti e imperi. La dimensione militare dell'imperialismo europeo 1815-1960, Il mulino, Bologna 1985 , p. 26. In seguito sarebbero aumentati anche i musulmani reclutati tra le loro file.

[12]G. Parker, La rivoluzione militare, Il mulino, Bologna, 1999 , p. 236.

[13] Ibidem.

[14] G. Abbattista, L’espansione europea in Asia (secc. XV-XVIII), Carocci, Roma 2002, p. 125. Scrive C. A. Bayly, La nascita del mondo moderno. 1780-1914, Einaudi, Torino 2009, p.17, a proposito di Qianlong che «la vera grandezza del sovrano si rifletteva nella sua monarchia universale in qualità di gran khan dei mongoli e dei manciù e come padre confuciano per i cinesi han».

[15] A. Toynbee, Civiltà al paragone, Bompiani, Milano 1983 , p.102.

[16] Abbattista G. (2002), ivi.

[17] Parker G. (1999), p. 234.

[18] Parker C. (2012), p. 33. Bayly A. C. (2009), p. 57.

[19] A. Caioli (a cura di), Alle soglie dell’espansione europea. La concezione dell’impero in John Robert Seeley (1883), Università degli studi di Trieste, Trieste 1994 , p.8.

[20] Ames G. (2011), p. 147.

[21] Ivi, pp. 153-154.

[22] Ivi, p. 159.

[23] Ivi, p. 52, 167-168. Prova ne sia anche che gli olandesi impiegarono essi stessi il sistema dei permessi, sulla scorta delle cartazas lusitane. Per di più la WOC, che avrebbe dovuto secondo i propositi iniziali evitare l’espansione territoriale, finì per divenire anch’essa una potenza territoriale e non puramente commerciale, con costi militari e amministrativi, guerre all’ordine del giorno, desiderio ossessivo di monopolizzazione dei prodotti e primato delle scelte geopolitiche su quelle economiche.

[24] K. Pomeranz, La grande divergenza. La Cina, l’Europa e la nascita dell’economia mondiale moderna, Il Mulino, Bologna 2004, p. 39.

Nessun commento:

Posta un commento

La distruzione del Serapeo di Alessandria (391 d.C.)

  Il S erapeo era un tempio dedicato alla divinità greco-egiziana Serapide . Il Serapeo di Alessandria in particolare, realizzato dall’a...